2024-12-21
Il Pd resta su Marte: serve più green. «Adesso avanti con i sussidi statali»
Gli europarlamentari Giorgio Gori e Stefano Bonaccini hanno la soluzione per la crisi delle quattro ruote: procedere più velocemente nella transizione energetica. Le difficoltà dipendono da stagnazione e invecchiamento.Non c’è una sola crisi dell’auto. Bensì due. Scenario apocalittico da film di Hollywood. La prima crisi, ovviamente, è quella continentale: l’auto sta morendo in tutta Europa, a cominciare dalla Germania che paga il suo ruolo di leader (proprio ieri la Volkswagen ha raggiunto l’accordo con i sindacati: niente licenziamenti, uno stabilimento chiuso e un altro venduto ad un fabbricante d’armi). La seconda, invece, è tutta italiana, e coinvolge Stellantis, secondo cui produrre auto in Italia non è più tanto di moda, e ha scelto di spostarsi, giusto per farci sentire ancora più speciali.Le ragioni della doppia crisi sono spiegate in un lungo articolo pubblicato sul Quotidiano Nazionale. A firmarlo tre esponenti di punta del Pd con argomentazioni che sembrano provenire da un’altra galassia. Un angolo remoto e raffinato delle città chiamato Ztl. A firmare sono Giorgio Gori (europarlamentare ed ex sindaco di Bergamo), Stefano Bonaccini (europarlamentare, ex presidente della Regione Emilia Romagna, sconfitto da Elly Schlein nella corsa alla segreteria) Vincenzo Colla (vice presidente dell’Emilia Romagna). Lanciano un allarme decisamente inedito: «Il governo deve intervenire subito!». Una folgorazione. Che cosa serve per far ripartire l’auto? Semplice: più soldi e più incentivi. Suggeriscono pertanto di «ritirare il taglio del Fondo automotive di 4,6 miliardi». Soldi che evidentemente si trovano nel cassetto segreto di Giorgetti. Non si sono però accorti, stando chiusi nello studiolo a scrivere l’articolo, che buona parte di quei soldi sono già stati recuperati visto che al tavolo dell’auto aperto martedì al Mimit, Urso ha messo a disposizione due miliardi.Ma, attenzione, non è finita. In mezzo al dramma Stellantis, i tre autori non dimenticano di inquadrare la crisi come una «situazione complessa». Secondo Gori, Bonaccini e Colla non possiamo attribuirla al Green deal, poverino. No, la vera causa del disastro è un mix di fattori impossibili da comprendere senza una laurea in economia globale, tipo: la stagnazione economica (chi l’avrebbe mai detto?), l’invecchiamento della popolazione (se solo i giovani comprassero più auto, invece di perdere tempo con TikTok), e un ritardo di competitività con Stati Uniti e Cina, che a quanto pare sanno far funzionare le loro fabbriche. Ma non è colpa loro e nemmeno dell’estremismo ambientalista che ha invaso le stanze dei palazzi della Ue. È colpa nostra che siamo troppo indietro con l’innovazione. Cina e Usa hanno imparato a costruire auto che parlano, noi invece ci accontentiamo di un motore che muove la macchina.Ci permettiamo sommessamente di far notare che, anche su questo fronte i tre autori, troppo impegnati a scrivere, non hanno fatto in tempo a leggere i giornali o a guardare i notiziari tv. Per questa ragione ci pregiamo informarli che anche Ursula von Der Leyen si è resa conto che insistere sul Green deal è una scelta sconsiderata. Così, dopo il nuovo crollo delle immatricolazioni a novembre ha annunciato che, con l’anno nuovo aprirà un tavolo di confronto sul futuro dell’auto. Il cancelliere Scholz è stato ancora più categorico: vanno annullate le multe alle case automobilistiche che dovrebbero scattare nel 2025. Forse perché non ancora informati o forse perché ben piantati nelle loro convinzioni i nostri tre autori non arretrano. Propongono un bel piano d’azione europeo, con tanto di fondo straordinario per «spingere» la trasformazione del settore. Ma attenzione, non basta solo migliorare la produzione, no no. Serve anche formare nuovi talenti e potenziare le infrastrutture (anche quelle per la ricarica delle auto elettriche, che, seppur all’avanguardia, restano misteriosamente difficili da trovare). Insomma, non solo risorse per le auto, ma anche per chi le costruisce e le ricarica. Perché se non c’è un futuro brillante per i nuovi ingegneri, chi produrrà le auto del futuro? Siamo veramente pronti per passare dai motori a combustione a una vera rivoluzione elettrica, o forse dovremmo fermarci a rimpiangere i bei vecchi tempi in cui il motore a benzina era il sogno di ogni giovane?La parte più divertente, però, arriva quando i tre autori parlano della «neutralità tecnologica». Un concetto che in teoria sembra bello, ma è pura astrazione. I carburanti sintetici, tanto decantati dai sognatori, sono più costosi dell’oro. E l’idrogeno? Beh, ne riparliamo fra qualche decennio. Secondo i tre espone ndi del Pd, invece, bisogna fare presto, perché nel 2040, quando il mondo sarà già cambiato, avremo ancora il 45% di auto a combustione. La rivoluzione green sarà già in atto, ma, per fortuna, avremo ancora il «buon vecchio» motore a benzina a scaldarci.In sintesi, il futuro del settore automobilistico non è così grigio come lo dipingono, anzi, è quasi brillante. Basta seguire i consigli dei nostri esperti, che ci dicono di non rallentare ma accelerare sulla transizione energetica. E se, nel frattempo, qualche fabbrica italiana chiude, beh, la colpa non è di chi ha deciso di investire altrove, ma della politica che non ha abbastanza soldi da distribuire per fare funzionare tutto.
Francesca Albanese (Ansa)
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)