Il cda scade a giugno: dem e M5s, che dominano l'azienda, si preparano a occuparla ancora di più. La rivoluzione dovrebbe concretarsi nel conquistare il 10% che manca per vincere al Risiko dei direttori.
Il cda scade a giugno: dem e M5s, che dominano l'azienda, si preparano a occuparla ancora di più. La rivoluzione dovrebbe concretarsi nel conquistare il 10% che manca per vincere al Risiko dei direttori.«È partita la questua poltronaria». Maurizio Gasparri ha una certa fantasia ma la pennellata dà l'idea dello sport in atto nei corridoi della Rai a poche settimane dal rinnovo delle cariche di vertice. Il cda scade a giugno e al grido «fuori i partiti dall'azienda», Pd, Italia viva e Movimento 5 stelle che la dominano si preparano a occuparla ancora di più, con famelica bulimia, fin nei sottoscala e nei ripostigli delle scope. In questo caso vale il motto contadino «gallina che canta ha fatto l'uovo» e non c'è giorno in cui Enrico Letta non alzi la voce sul tema. L'ultima uscita contro Rai 2 per il servizio antieuropeista di Anni 20: «Intollerabile, serve un cambiamento radicale». Nella sua testa, la rivoluzione dovrebbe concretizzarsi nel conquistare il 10% che manca per vincere al Risiko dei direttori in carica. Forse a Parigi, mentre passeggiava sui lungo Senna con la baguette sottobraccio, aveva rimosso la realtà italiana e si era dimenticato che il centrosinistra da decenni ha fatto bistecche con il cavallo morente di Viale Mazzini. Meglio rinfrescargli la memoria. Rai 1 è già saldamente nelle mani del Pd, guidata con pessimi risultati da Stefano Coletta che meno di due anni fa era stato trasferito da Rai 3 con il compito di impiantare - neanche fosse una trasformazione genetica - i caratteri di TeleKabul nell'ammiraglia. L'operazione è fallita, chi non sopporta indottrinamenti di genere, sinfonie Lgbt e assoli inginocchiati da Black live matter sta scappando su Mediaset. I principali indicatori sono due: Unomattina è stabilizzato su percentuali di ascolto deficitarie (lo conduce Monica Giandotti arrivata da Agorà, Rai 3) con Mattinocinque a regnare sovrano, e il Tg1 non è più una corazzata dell'informazione ma l'unico terminale funzionante dell'accordone fra dem e grillini. L'alleanza non decolla nel Paese ma a Saxa Rubra tiene banco da tempo. A guidare il Tg1 è Giuseppe Carboni, scelto dai 5 stelle e del tutto a suo agio nella traversata del Conte 2 a Palazzo Chigi quando la sintonia con Rocco Casalino era totale. Uno scenario che trasforma automaticamente in barzelletta la richiesta di Roberto Fico ai partiti di fare un passo indietro.Rai 2 dovrebbe essere in quota opposizione, ma dentro le redazioni Rai l'80% dei giornalisti ha un'estrazione fortemente progressista, quindi l'equilibrio si trasforma immediatamente in equilibrismo. Il direttore di rete è Ludovico Di Meo, in azienda da quasi 40 anni, grande navigatore nel mar dei Sargassi vicino a Giampaolo Rossi (Fratelli d'Italia), consigliere liquido nel senso che non disdegna accordi trasversali. Il direttore del Tg2 è Gennaro Sangiuliano, non allineato a sinistra. E forse è questa la spina nel fianco del tenero Enrico, perché se si rivolge l'attenzione a Rai 3, a Rainews24 e a Radio Rai si torna nel magma rosso.Il numero uno di Rai 3, Franco Di Mare (campione di polemiche e di pasticci, dal caso Corona al caso Fedez) è stato nominato dall'ad Fabrizio Salini - a sua volta in quota pentastellata - su proposta di Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora, e con la benedizione di Dario Franceschini, vero proconsole del Nazareno nell'azienda culturale più importante d'Italia. Di Mare ha sostituito un anno fa Silvia Calandrelli, professionista vicina ai dem, rimossa dopo quattro mesi per fargli posto al termine di un braccio di ferro tutto interno alla sinistra. La vicedirettrice della telefonata registrata con Fedez è Ilaria Capitani, già portavoce di Walter Veltroni. Sul Tg3 domina Mario Orfeo, giornalista di valore, solido punto di riferimento sia di Matteo Renzi (ai suoi tempi a Palazzo Chigi era direttore generale), sia dell'ala riformista del Pd. Ed ora in pole position per tornare sulla tolda del Tg1.Rainews 24 è un altro possedimento gauchiste, con il direttore Andrea Vianello da poco arrivato dal feudo di Rai 3. Il numero uno di Radio Rai è Roberto Sergio, molto stimato al Nazareno. La direttrice del Giornale radio Rai è Simona Sala, ex quirinalista del Tg1, promossa negli ultimi giri di valzer del Conte bis dopo accordi tra Franceschini, Crimi e Renzi. Un telegiornale senza impronta politica, quindi una mosca bianca, è il TgR guidato da Alessandro Casarin, che punta sul credito professionale delle redazioni Rai sul territorio, racconta l'Italia profonda con le sue cento identità. E ha ottimi numeri.Quando il tenero Letta parla di rivoluzione i casi sono tre: o bluffa, o ha virato a destra la notte scorsa o vuole semplicemente cambiare i calzini degli amici lottizzati. Un altro dei suoi obiettivi è il nuovo ad; sta spingendo per Simona Agnes (figlia di Biagio, il Buddha democristiano) e Eleonora Andreatta, detta Tinny, figlia dell'economista Beniamino che fondò l'Ulivo. Una corsa a senso unico dal cromatismo rosè. Con due ostacoli, i mal di pancia dei 5 stelle in ritirata e la «clausola di non concorrenza». Andreatta oggi è a Netflix (scontenta) ma dentro la Rai si sostiene che «chi se n'è andato non può rientrare a piacimento». Anche le questue poltronarie dei partiti hanno un limite.
Ansa
Centinaia di tank israeliani pronti a invadere la Striscia. Paesi islamici coesi contro il raid ebraico in Qatar. Oggi Marco Rubio a Doha.
iStock
Considerato un superfood, questo seme (e l’olio che se ne ricava) combatte trigliceridi, colesterolo e ipertensione. E in menopausa aiuta a contrastare l’osteoporosi. Accertatevi però di non essere allergici.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Parla Roberto Catalucci, il maestro di generazioni di atleti: «Jannik è un fenomeno che esula da logiche federali, Alcaraz è l’unico al suo livello. Il passaggio dall’estetica all’efficienza ha segnato la svolta per il movimento».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci