2022-06-24
Da cinque anni paghiamo la cassa integrazione al Pd
Enrico Letta da premier ha abolito il finanziamento pubblico ai partiti, che oggi sono spesso in crisi. Infatti il suo ha 122 dipendenti in Cigs, iniziata nel 2017. In autunno scadrà: una grana in più in campagna elettorale. Parte la guerra delle pensioni: il pressing per indicizzarle all’inflazione. Si annuncia un autunno caldo per il Pd. Nel 2014 il governo di Enrico Letta ha tagliato il finanziamento ai partiti, quello di Matteo Renzi ha dato fondo alle ultime risorse del partito per vincere il referendum sulla riforma costituzionale e adesso, come il gatto che si morde la coda, lo stesso Pd si trova sull’orlo dell’abisso con la cassa integrazione straordinaria agli sgoccioli (la scadenza degli ammortizzatori sociali è prevista per l’autunno) per i suoi 122 dipendenti. Lavoratori che nel 2020 dovrebbero essere costati circa 6,5 milioni di euro, per una media di 53.000 euro l’uno. Il più noto dei cassaintegrati è Gianni Cuperlo, ex candidato ( perdente alla segreteria contro il fu Rottamatore. Il decreto 149 del 28 dicembre 2013, convertito in legge nel febbraio del 2014, ha abolito, sull’onda della demonizzazione dei costi per la politica, il finanziamento pubblico e introdotto un sistema di contribuzione volontaria. Il medesimo decreto estendeva ai partiti politici la normativa sulla cassa integrazione salariale e i contratti di solidarietà. A tal fine, il provvedimento autorizzava la spesa di 15 milioni di euro per il 2014, di 8,5 milioni per il 2015 e di 11,25 milioni di euro a decorrere dal 2016, alla quale si provvedeva attraverso l'utilizzo di quota parte dei risparmi conseguenti alla progressiva riduzione del finanziamento pubblico.Non sappiamo se ci troviamo di fronte a una nemesi, a un contrappasso o a una norma scritta con astuzia, fatto sta che a quel piccolo tesoretto in questo momento sta attingendo soprattutto il Pd. Purtroppo non è facile avere una quadro chiaro della situazione, anche perché sia all’Inps (presieduta da Pasquale Tridico) che al ministero del Lavoro, guidato dal piddino Andrea Orlando, il dicastero che emette i decreti autorizzativi di pagamento e quindi conosce anche gli importi, non sono stati particolarmente generosi con le informazioni. Anzi si sono chiusi a riccio e per questo c’è da augurarsi che qualche parlamentare faccia un’interrogazione su un tema che evidentemente viene ritenuto particolarmente sensibile. Sul portale del ministero si legge che l’intervento straordinario di integrazione salariale può essere chiesto quando la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa sia causato da riorganizzazione o crisi aziendale, da contratti di solidarietà. La durata per il primo motivo può essere al massimo di 24 mesi «anche continuativi, in quinquennio mobile». Per lo stato di crisi sono previsti solo 12 mesi e per avere una seconda autorizzazione devono essere passati almeno altri otto mesi dalla precedente. Nel terzo caso si oscilla dai 24 ai 36 mesi. L’unico che ci ha degnati di una risposta (all’ufficio stampa per una settimana si sono comportati come le tre note scimmiette), è stato il direttore generale dell’Inps Vincenzo Caridi: «Le difficoltà di risposta probabilmente riguardano l’oggetto della richiesta. Le scelte relative alla cassa integrazione attengono all’azienda così come il contingente di personale da destinare ad essa. Per questo motivo il dato che chiede può reperirlo esclusivamente presso i diretti interessati. L’Inps, in quanto ente di previdenza può fornire solo dati statistici opportunamente anonimizzati sui servizi di sua competenza». Quando abbiamo fatto notare che si trattava di un dato di sicuro interesse pubblico, Caridi ha replicato così: «Certo che sì. Ma non può essere l’ente previdenziale a fornire numeri individuali se non lo fa il datore di lavoro». E allora ci siamo rivolti ai principali partiti per fare chiarezza. Lega, Fratelli di Italia e Movimento 5 stelle hanno negato di avere lavoratori in cassa integrazione. Da Forza Italia, invece, nessuna risposta. Comunque la situazione più delicata è, a quanto ci risulta, quella del Pd. Nei giorni scorsi il tesoriere Walter Verini e la responsabile delle risorse umane Antonella Trivisonno ci hanno fatto pervenire la loro versione su carta intestata del partito. Dalla tesoreria ci tengono subito a far sapere di aver rispettato tutte le norme sull’accesso agli ammortizzatori sociali e sulle loro proroghe. «Il Pd, come altri partiti, ha avuto la necessità di richiedere la cassa integrazione» ammettono. E precisano che la Cigs riguarda tutti i 122 dipendenti e che la percentuale di riduzione oraria è in media del 40 %. Quindi puntualizzano il motivo del ricorso alla Cassa a partire dal settembre del 2017: «È stato necessario a causa delle difficoltà finanziarie derivanti dalle uscite della campagna referendaria del 2016 e accentuate - a seguito delle elezioni politiche del 2018 - dalla consistente riduzione dei parlamentari e delle conseguenti entrate attraverso le “erogazioni liberali”». Dal Nazareno precisano che «all’epoca fu deciso di intraprendere questo percorso di tutela occupazionale perché il Partito democratico non ha mai voluto considerare l’ipotesi di procedere a riduzione del personale attraverso licenziamenti dei propri lavoratori». E così l’1 settembre 2017 il Pd ha avviato la cassa integrazione con la causale «crisi». Successivamente l’ha mutata in «riorganizzazione» fino al periodo della pandemia, quando ha fatto ricorso alla cassa Covid. Terminata l’emergenza sanitaria, il partito ha richiesto «un’ulteriore proroga della Cigs per la riorganizzazione». Dal Pd rimarcano, però, «di aver usufruito, nel pieno rispetto della normativa, di sole due proroghe della Cigs» e che «queste sono state motivate dalla necessità di aver maggior tempo per dare attuazione al programma di risanamento, evitando così l’avvio di procedure di licenziamento collettivo». E che cosa prevede questo piano? «Azioni finalizzate all’incremento della raccolta fondi mediante il 2x1000» e delle «erogazioni liberali, a partire da quelle degli eletti»; «riorganizzazione interna di uffici e strutture»; «attivazione di percorsi di ricollocamento». La capa del personale Trivisonno, contattata dalla Verità, sottolinea: «Confermiamo che il partito non ha alcuna intenzione di licenziare i propri lavoratori, indipendentemente dalla campagna elettorale».Dagli uffici di via Sant’Andrea delle Fratte aggiungono: «Il finanziamento l’ha tolto non Letta, ma il Parlamento che approvò quasi all’unanimità il decreto del governo…». Al Pd è rimasto un ricco 2x1000 che nelle dichiarazioni del 2021 valeva 6,9 milioni di euro (davanti Fratelli d’Italia -2,7 milioni - e Lega - 1,8-), una voce, però, in discesa rispetto agli anni precedenti: nel rendiconto del 2020 il 2x1000 valeva 7,4 milioni, nel 2019 addirittura 8,4. Una diminuzione prevista dal tesoriere Verini, il quale nella relazione al rendiconto del 31 dicembre 2020 aveva annotato: «Per quanto riguarda i proventi, e in particolare il 2x1000, è ragionevole e prudente prevedere una riduzione dello stesso legata alla riduzione del reddito medio pro capite dei contribuenti, conseguente alla difficile situazione economica derivante dalla pandemia». Il Pd, come detto, si troverà senza Cigs alla vigilia delle elezioni. Ma Verini getta acqua sul fuoco: «Per noi la prima cosa è tutelare il lavoro. Cercheremo di risolvere il problema con il contributo dei militanti. Siamo un partito che può contare su mezzo milione di cittadini che spontaneamente inseriscono il codice M20 nella loro dichiarazione dei redditi. Siamo la formazione politica che ha più sottoscrittori e lavoreremo per incassare ancora di più dal 2x1000». Ma come si è visto, negli ultimi anni, queste entrate sono diminuite anziché aumentare. Gli altri proventi, circa 2,3 milioni di euro l’anno, provengono dai versamenti dei parlamentari che portavano gli introiti del 2020 derivanti dalla militanza a circa 9,8 milioni, contro gli 11,2 dell’anno prima. Gli oneri per la «gestione caratteristica» del partito ammontano complessivamente a 7.731.000, di cui 4,43 milioni destinati al personale, tra stipendi (2,3), contributi (0,9), trattamenti di fine rapporto (0,34) e altri costi (0,88). E se il conto non va in passivo è proprio grazie alla Cigs che smaltisce il 40 per cento del lordo complessivo di salari e oneri sociali (5,3 milioni), ovvero, a spanne, circa 2,1 milioni l’anno, per un totale di oltre 10 in un lustro. Alla fine, nell’ultimo esercizio reso pubblico, risulta un avanzo di quasi 2 milioni di euro. Sul futuro, però, sembrano addensarsi nuvoloni neri. Ma dal Pd predicano tranquillità: «Abbiamo, con accordi sindacali, intavolato protocolli di incentivi all’uscita. Noi una sola parola non prendiamo in considerazione: licenziamenti. Altra cosa è accompagnare alla pensione con qualche incentivo, in pieno accordo con l’Rsu interna e con i lavoratori. In questo senso abbiamo alleggerito il carico dei costi. È vero che oggi questi sono ancora superiori alle entrate e che siamo riusciti a tenere la baracca in equilibrio anche grazie agli ammortizzatori sociali. Ma quando questi termineranno, nel prossimo autunno, cercheremo di aumentare le entrate, sempre in maniera iper trasparente». Il messaggio è chiaro: se gli elettori del Pd vogliono evitare il licenziamento dei lavoratori del loro partito del cuore devono aprire il portafogli, anche attraverso il 2x1000. Prima che sia troppo tardi.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)