2019-03-19
Pd e 5 stelle si alleano contro la famiglia
I dem approvano una mozione dei senatori Monica Cirinnà e Sergio Lo Giudice e aderiscono alla protesta del 30 marzo verso il Congresso di Verona. Luigi Di Maio: «Nessuno del Movimento parteciperà». Alfonso Bonafede attacca: «Con il convegno si torna indietro di secoli».Dopo aver abbandonato gli operai e gli abitanti delle periferie assediati dall'immigrazione selvaggia, il Pd sposa (con unione civile) l'agenda Lgbt. La prima mossa della segreteria di Nicola Zingaretti, infatti, è l'impegno ad aderire alla contromanifestazione del 30 marzo prossimo a Verona, dove si svolgerà il Congresso delle famiglie. Sono due le mozioni approvate dai dem. Una, alla cui stesura ha collaborato l'ex eurodeputata Donata Gottardi, docente di diritto del lavoro, era stata proposta proprio dalle piddine veronesi: Sabrina Ugolini, Alessia Rotta, Valeria Fedeli e Valeria Valente. Al contempo, dall'assemblea che ha incoronato il governatore del Lazio, Monica Cirinnà e Sergio Lo Giudice (noto per essere ricorso due volte all'utero in affitto), è partito un ordine del giorno che invitava a «promuovere iniziative di approfondimento e dibattito sulle minacce ai diritti, alla libertà e all'uguaglianza implicate dall'azione del governo», a cominciare dal ddl Pillon sull'affido condiviso. Anche la mozione dei due senatori pd, infine, proponeva l'adesione alla protesta del 30 marzo. Il partito, dando il via libera alle interpellanze, si è schierato ufficialmente contro il convegno di Verona. Una scelta che rivela la strategia politica di Zingaretti: dividere la maggioranza gialloblù sfruttando gli attriti ideologici tra Lega e 5 stelle, per poi cercare di agganciarsi proprio alla locomotiva grillina. Confidando, ovviamente, nella svolta a sinistra del Movimento. Una manovra che può iniziare in un momento favorevole per i dem: ieri un sondaggio Swg, commissionato da La7, certificava il sorpasso del Pd (21,1%) sul M5s (21%). È la prima volta dal 2017.D'altronde, il vicepremier, Luigi Di Maio, si era già espresso duramente contro l'evento di Verona. Qualche giorno fa aveva parlato sprezzantemente di «destra di sfigati». Ieri, su Facebook, ha assicurato che al convegno non andrà «nessun parlamentare M5s», visto che al Forum delle famiglie «si arriva persino a negare il tema della violenza contro le donne». Una stoccata che ha suscitato la viva reazione degli organizzatori del Congresso, Toni Brandi e Jacopo Coghe. In un comunicato, i due hanno lamentato una vera e propria «diffamazione» da parte del leader M5s. E hanno chiarito che l'immagine delle donne costrette «a lavare e stirare» è «una macchietta che dipingono certi giornali, neanche più utili a incartare le uova».Che l'evento di Verona metta in fibrillazione i gialloblù è un fatto acclarato. Dopo le sparate sul rifiuto del patrocinio da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Vincenzo Spadafora e gli affondi di Di Maio, ieri è stato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, a sparare a zero sulla conferenza di Verona.In un'intervista a Repubblica, il Guardasigilli ha commentato: «Io, in un convegno di quel tipo, non andrei mai, perché considerando alcuni ospiti mi pare che le lancette dell'orologio sulla concezione della donna vengono spostate indietro di qualche secolo». È il solito ritornello: chi difende la famiglia tradizionale è medievale. Bonafede ha invece evitato commenti espliciti sul ddl Pillon, che, ha scritto Liana Milella, autrice dell'intervista, le donne giudicano «del tutto oscurantista». Le donne di Repubblica, evidentemente. Dal canto suo, il vicepremier leghista, Matteo Salvini, non ha trascorso il weekend in silenzio. Ospite di Domenica live, è tornato sull'utero in affitto, definendolo «una schifezza. La famiglia vera è quella fatta da un papà, una mamma e dei bambini». E ha precisato, a proposito della sua partecipazione: «Ognuno a casa sua fa quello che vuole, ma quello contro cui sempre combatterò sono i bambini in vendita». Incalzato dalla conduttrice, Barbara D'Urso, sul tema delle famiglie arcobaleno, Salvini ha ribadito: «Lo Stato non deve entrare in camera da letto, ma combatterò finché campo contro l'utero in affitto». Una battaglia che si era intestato proprio il senatore del Carroccio, Simone Pillon.Qualche settimana fa, l'autore del disegno di legge «oscurantista» sull'affido condiviso aveva presentato un'altra proposta di legge, stavolta contro il «turismo riproduttivo». Ovvero, la pratica, che il senatore Lo Giudice conosce molto bene, di recarsi nei Paesi in cui è legale la maternità surrogata per comprarsi un bebè. La norma ideata da Pillon prevedrebbe la reclusione da tre a sei anni e una multa da 800.000 a un milione di euro per «chiunque realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità». Il testo, inoltre, introdurrebbe il divieto di registrare «atti di nascita dai quali risultino due padri o due madri».Mentre il ministro della Salute del M5s, Giulia Grillo, menzionava la legge sul fine vita come «una priorità per il Paese», sul fronte opposto, Giorgia Meloni ha incassato l'endorsement di Massimo Gandolfini, il leader del Family day. Fratelli d'Italia ha ufficialmente aderito al Congresso di Verona, mentre la Meloni, da Firenze, ha assicurato che difenderà la famiglia naturale anche in sede europea: «Chiediamo che ci sia, insieme al programma Erasmus, insieme ai programmi che aiutano la ricerca scientifica, un programma che aiuti la natalità». Gandolfini, di rimando, ha promesso che supporterà i candidati di Fdi, perché «è il partito che ha graniticamente sostenuto le nostre istanze». Intorno alla querelle sulle famiglie si potrebbero ridisegnare le geografie politiche italiane. E il fronte populista, che proprio per evitare dispute aveva escluso i temi etici dal contratto gialloblù, ora che i nodi vengono al pettine, si va sfilacciando. Nicola Zingaretti si frega le mani.
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