
La surreale arringa del segretario: «Ci ispireremo a Van Gogh» (il pittore depresso che si mozzò un orecchio). Giuseppe Conte attacca il capo dem: «Non siamo irresponsabili, daremo fastidio». Spinte giallorosse dalla Lombardia.«Porto con me la consapevolezza della sconfitta come un vessillo di vittoria», scriveva Fernando Pessoa, evidentemente autore di riferimento di Enrico Letta: il segretario dei dem si avvia tutto contento a straperdere le elezioni del prossimo 25 settembre, consegnandosi nelle mani di Carlo Calenda, e riuscendo nella non semplice impresa di far diventare il Pd, un partito segnalato intorno al 20% dai sondaggi, nella succursale del centrino post-draghiano che si va formando in questi giorni. Niente alleanze col M5s, ma sottomissione a Calenda: il Pd diventa un soggetto politico sostanzialmente senza una linea, lasciando completamente scoperto il fianco sinistro e aprendo una prateria elettorale a Giuseppe Conte, che potrebbe anche mettere in piedi una campagna elettorale decente, basata su temi sociali. In ogni caso, mentre Giuseppi gioca a calcetto, ieri mattina, Letta svolge la sua relazione alla direzione nazionale del partito. «Ho letto le dichiarazioni sulla questione della premiership», dice Letta, «una discussione che ho trovato surreale»: impossibile dargli torto, considerato che la scelta di sbattere la porta in faccia ai pentastellati spegne ogni pur remota speranza di poter competere con il centrodestra, destinato a fare il pieno nei collegi uninominali. «A chi ha tentazioni di tornare col M5s», conferma Letta, «a chi dice ripensiamoci, l’invito è a guardare a cosa pensano gli elettori, il loro giudizio è lapidario. Chiedo di darmi mandato su tre criteri: andare a discutere con forze politiche fuori dal trio della irresponsabilità (Lega, Fi e M5s, ndr) e che portino un valore aggiunto». L’alleanza con Calenda, spiega ad Agorà estate, su Rai Tre, il capogruppo alla Camera del Pd Debora Serracchiani, «sarà tecnica nei collegi uninominali»: traduzione, in alcuni dei collegi il Pd sosterrà un candidato o una candidata di Calenda, che ricambierà negli altri. Letta va in estasi mistica: «Vorrei che il Pd», afferma, «fosse come un quadro di Van Gogh, con la nettezza dei colori. È tutto chiarissimo e nell’insieme tutto bellissimo». Immaginate la faccia delle decine di parlamentari dem destinati a restare a casa che ascoltano questa frase e vi renderete conto del livello di delirio politico raggiunto dal leader del Pd. Dalla camera da letto, celeberrima opera di Vincent Van Gogh, a Letta alla Camera, in fondo, è un attimo: il futuro leader dell’opposizione a Montecitorio si ispira al pittore olandese tanto geniale quanto tormentato, che il 23 dicembre 1888 si mozzò l’orecchio con un rasoio, il più famoso caso di automutilazione della storia dell’arte. Del resto, il Pd si avvia allegramente verso la automutilazione dei gruppi parlamentari dem, costretti a seguire il loro segretario, al quale affidano all’unanimità il mandato richiesto, ovvero quello di impiccarsi politicamente all’Agenda Calenda, copia sbiadita di quella di Draghi ma che almeno fa rima. «Il tema», cerca di reagire il ministro del Lavoro Andrea Orlando, «è come si sviluppa la campagna elettorale perché se dobbiamo autocensurare il nostro messaggio per tenere in piedi una alleanza tecnica, rischiamo di rinunciare a larga parte della potenza di fuoco del messaggio proposto oggi dal segretario»: lo immaginiamo, Orlando, che faticosamente si trattiene dal ridere (o dal piangere) mentre parla di «potenza di fuoco» in relazione al discorso soporifero di Letta. Al segretario Pd risponde Conte: «Letta ha detto che il 20 luglio è stato il giorno della irresponsabilità. Questo», attacca Giuseppi, «non può riguardare il M5s, nonostante si sia mosso il pensiero unico nazionale per fornire una versione preconfezionata. La campagna elettorale è già stata scritta dal pensiero unico dominante, ci sarà un voto utile, o si vota Meloni o Letta, o Calenda dirà se stesso, Renzi dirà se stesso, si metteranno di mezzo Di Maio o Brunetta. Ma ci sarà una sorpresa», aggiunge il leader grillino, «un terzo incomodo, il M5s con la sua agenda progressista: sociale, ci batteremo per fissare priorità per tutelare piccole imprese, lavoratori autonomi. Saremo soli, saremo il campo giusto».Vanno invece sul pratico i dirigenti locali del Pd, quelli che al contrario di Letta puntano a vincerle, le elezioni: «Per la Lombardia», avverte il capogruppo dem in consiglio regionale Fabio Pizzul, «anche in virtù della legge elettorale, bisogna davvero chiamare a raccolta tutti coloro che credono che questa giunta (quella di centrodestra guidata da Attilio Fontana, ndr) abbia fatto male: la partita nazionale è una cosa, ed è chiaro che con il M5s per le politiche è impossibile qualsiasi alleanza, ma se le elezioni regionali saranno sfasate rispetto alle politiche, ci potranno essere ragionamenti anche di diverso tipo». Anche nel Lazio, che andrà al voto alla prima tornata utile poiché il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, si candiderà al parlamento, l’alleanza Pd-M5s va avanti. Come in Sicilia e a Napoli. Intanto, Letta incontra a Roma il sindaco di Milano, Beppe Sala e Luigi Di Maio: il ministro degli Esteri in settimana presenterà il suo progetto politico.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.