Confronto col Mef per modificare il payback voluto da Speranza, che obbliga i fornitori di dispositivi medici a restituire parte delle spese in eccesso fatte dalle Regioni. Migliaia di imprese a rischio crac: in gioco 1,1 miliardi. A breve anche la sentenza del Tar.
Confronto col Mef per modificare il payback voluto da Speranza, che obbliga i fornitori di dispositivi medici a restituire parte delle spese in eccesso fatte dalle Regioni. Migliaia di imprese a rischio crac: in gioco 1,1 miliardi. A breve anche la sentenza del Tar.L’annosa questione del payback per i dispositivi medici potrebbe essere arrivata a un punto di svolta. Al ministero dell’Economia si è aperto un tavolo tecnico con sette sigle di rappresentanza del settore, per trovare una soluzione al tema che pesa sui bilanci delle aziende per 1,1 miliardi. Stiamo parlando degli extra costi sanitari che con il governo Draghi, per mano dei ministri Roberto Speranza e Daniele Franco, sono stati scaricati sulle imprese del settore. Una vera e propria patrimoniale. Sul problema si è espressa la Corte costituzionale che ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tar del Lazio e ora le imprese di dispositivi medici attendono la decisione del Tribunale amministrativo al quale si erano rivolti a febbraio nel tentativo di bloccare l’erogazione delle somme dovute. Le aziende avevano fatto ricorso appellandosi alla normativa europea sugli appalti pubblici, sottolineando che il payback rappresenta «una violazione, oltre a essere illegittima in quanto ha fissato nel 2019 tetti di spesa sulle annualità 2015-2018 in ritardo e con effetti retroattivi».La risposta del Tar dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. Intanto le sette sigle di rappresentanza del settore stanno valutando un piano da sottoporre al ministero dell’Economia in modo da superare definitivamente il meccanismo che impone alle aziende di partecipare al ripianamento dello sforamento dei tetti di spesa regionali. Due aziende su cinque rischiano di chiudere. Il che vuol dire una strage di posti di lavoro in un settore, quale è quello dei dispositivi medicali, in cui l’Italia è un’eccellenza nel mondo. Basti pensare che il distretto biomedicale di Mirandola è considerato il più importante in Europa e il terzo nel mondo.«Sono colpite aziende spesso a gestione familiare, dove il datore di lavoro è l’ultimo dipendente di se stesso e dove gli utili, in media il 7-8% sul fatturato sono lasciati nei bilanci per finanziare i ritardi di pagamento della pubblica amministrazione e gli alti costi che vengono anticipati per la costituzione di magazzini di dispositivi presso le strutture ospedaliere, e le garanzie assicurative per la partecipazione agli appalti. Ma anche filiali italiane di aziende estere, in Italia dalle dimensioni di Pmi con personale e investimenti su tutto il territorio e utili che non superano il 4%», è lo scenario tratteggiato a La Verità da Gennaro Broya de Lucia, presidente di Conflavoro pmi sanità che rappresenta la gran parte delle aziende coinvolte.Ora le imprese chiedono che governo e Regioni definiscano una governance per superare il payback e definire tetti di spesa accettabili.«Finalmente abbiamo rotto il muro di silenzio con il governo, non era scontato. Per le Pmi l’onere pesa l’80% del fatturato. Bisognerebbe considerare la diversa capacità di pagamento. Le multinazionali vorrebbero che si pagasse la stessa percentuale sul fatturato ma ciò non è possibile per le Pmi. Le grandi imprese hanno il vantaggio strategico perché, le tasse le pagano all’estero» afferma Gennaro Broya de Lucia. «Il governo si è detto possibilista sul superamento del payback ma non sa quante risorse ha a disposizione. Finora almeno una cinquantina di aziende hanno chiuso, mentre altre hanno bloccato gli investimenti perché non sanno se resteranno aperte. Il fattore tempo è cruciale per tutelare il tessuto imprenditoriale. Il Tar nel rinvio alla Corte costituzionale era stato efficace individuando i motivi di incostituzionalità. Ci aspettiamo un rinvio alla Corte europea che sarebbe la soluzione più ottimistica. Ma penso che il Tar dichiarerà l’incompetenza a decidere delle questioni specifiche per ogni singola azienda rinviando la decisione al giudice civile e allora si ricomincerà da capo. Nel frattempo le Regioni procederanno con le compensazioni e sarebbe un disastro per le imprese». Secondo il manager sia la Consulta sia il Tar «hanno voluto lasciare la porta aperta a una soluzione politica. Ci sarà battaglia per chi avrà le poche risorse, se le imprese estere o le Pmi italiane». Per Giacomo Guasone, presidente dell’Aspo Sicilia (fornitori ospedalieri Sicilia) e vicepresidente della Fifo, Federazione fornitori ospedalieri che fa capo a Confcommercio, «non è facile trovare una soluzione. Noi stiamo definendo una piattaforma comune da portare al ministero. Non mi aspetto grandi novità dal Tar, più dal tavolo con il governo. Comprensibile che ci sia un aiuto della nostra categoria all’esigenza di spesa pubblica ma deve essere qualcosa di non oneroso. La nostra attività commerciale ha una funzione di tutela della salute pubblica». Quando fu elaborato, il payback mirava a impedire che le Regioni, superando i tetti di spesa stabiliti per l’acquisto di dispositivi medici, gravassero interamente sulla finanza pubblica. Si pensò pertanto di far ricadere una quota di questo sforamento sulle aziende fornitrici, costrette a restituire al Servizio sanitario nazionale una percentuale del proprio fatturato, pari fino al 50% dello scostamento. Una patrimoniale.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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