2021-07-30
Salvatore Buzzi: «La trattativa dem-Procure a Roma ha fatto condannare soltanto me»
L'ex re delle coop, condannato per Mafia capitale, attacca dopo le motivazioni sulla raffica di assoluzioni per l'inchiesta Cup. «È una sentenza politica. Ho accusato Zinga, non mi hanno creduto. Se avessi parlato di Alemanno, mi avrebbero liberato»Lo interrompiamo mentre sta mangiando un'insalata con dentro un uovo sodo nella sua villetta di Lunghezza, periferia est di Roma. Essì perché Salvatore Buzzi, 65 anni, è perennemente in lotta con la bilancia. In particolare in questo periodo, visto che deve prepararsi a entrare nell'abito da sposo. Ma di questo non vuole che si parli. «Devo perdere i chili di troppo acquistati nel carcere di Tolmezzo per colpa dei manicaretti cucinati dal cuoco Roberto Spada di Ostia» taglia corto. Buzzi, ex ras della cooperativa 29 giugno, sta facendo i conti con i botti finali del processo Mafia Capitale. Per i giudici, infatti, Buzzi non è un picciotto, ma un corruttore sì. E adesso, se la Cassazione dovesse confermare la decisione della Corte d'Appello di condannarlo a 12 anni e dieci mesi, rischia di tornare in carcere per scontare la pena residua di 5 anni e 9 mesi. Eppure l'ex re delle coop non ha perso il gusto per la battuta: «Dopo aver letto le motivazioni della sentenza del marzo scorso, rese note due giorni fa, ho deciso di dichiararmi prigioniero politico» esordisce.In che senso?«Ho finalmente scoperto le ragioni per cui i giudici di secondo grado hanno assolto tutti noi dieci imputati per la gara da 90 milioni di euro del Cup, il Centro unico di prenotazione della Regione Lazio, nonostante in sette abbiamo ammesso di aver turbato l'asta». E qual è la spiegazione?«Per il collegio la gara si sarebbe svolta regolarmente. Ma tutte le procedure, anche quelle truccate, apparentemente filano lisce».Che cosa intende?«Io sono stato condannato per altre sette turbative d'asta tutte identiche che prevedevano un accordo a monte con le altre imprese che partecipavano e tutti i bandi, a prima vista, si sono sempre svolti a norma di legge. Il punto è che ci dividevamo gli appalti prima di iniziare le procedure. Se per sette gare di questo tipo i magistrati hanno individuato un reato, come mai non è stato ravvisato anche per il Cup?».Questo lo chiedo io a lei…«Apposta io mi dichiaro prigioniero politico, perché ci troviamo di fronte a una sentenza politica…».Ci spieghi meglio: chi era indagato insieme con lei?«Inizialmente Maurizio Venafro, capo di gabinetto del governatore del Lazio Nicola Zingaretti, ed Elisabetta Longo, capo della commissione di gara, e dopo i miei interrogatori autoaccusatori anche Zingaretti, quale garante dell'accordo spartitorio con Luca Gramazio di Forza Italia. Poi i pm hanno arrestato me e altri imprenditori, più Gramazio e Angelo Scozzafava, il commissario del Cup vicino alla destra ed ex dirigente della giunta Alemanno, mentre hanno chiesto l'archiviazione per Zingaretti e la Longo». E Venafro? «È stato processato separatamente, senza la produzione della mia testimonianza che ricostruiva tutto l'iter politico della gara. Alla fine la Cassazione lo ha assolto. Anche perché le mie accuse circostanziate non erano state acquisite». Venafro si dimise dal suo incarico al fianco di Zingaretti nel marzo del 2015…«Le intercettazioni dimostrano che ci fu una trattativa Regione-Procura e che lo stesso Venafro aveva notizie di prima mano. La moglie del capo di gabinetto, parlando con il telefono della figlia minorenne, nella speranza di non essere intercettata, svelò che il marito doveva incontrare un “procuratore" a piazza Mazzini e che Zingaretti era andato al Csm a prendere informazioni. Inoltre rivelò di sapere che uno degli aggiunti ce l'aveva con il consorte… successivamente, dalle carte, abbiamo appreso che il fascicolo transitò dalla toga “nemica" a un suo collega, storico esponente di Magistratura democratica, come il presidente della sezione giudicante che ci ha “assolto"».Ma non è contento che le sia stata risparmiata almeno questa contestazione?«Lasciamo perdere. Purtroppo tutta la mia credibilità si è giocata sulle accuse che io, uomo di sinistra, ho mosso alla sinistra. Non sono stato ritenuto credibile. E nemmeno sono stato ritenuto attendibile quando sostenevo che l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno non conosceva Massimo Carminati, con me il presunto capo del sodalizio criminale…».Alemanno alla fine è stato assolto…«Per fortuna abbiamo evitato l'innocente in galera, perché io so bene di non averlo corrotto…ma, poi, secondo lei, uno può comprarsi il primo cittadino della Capitale italiana con 10.000 euro? Non stiamo parlando di Rocca Cannuccia…».Ma allora perché non è stato ritenuto credibile?«Perché ho sempre negato di aver corrotto sia Alemanno che Gramazio e anche di aver dato utilità a Umberto Marroni, a quei tempi il capo della corrente bersaniana del Pd romano. In compenso ho sempre puntato, inutilmente, il dito contro gli altri uomini del Pd: se avessi accusato Alemanno mi avrebbero liberato subito e, forse, mi avrebbero fatto anche una statua…».Non le sembra di esagerare? Lei ha mai chiesto di patteggiare?«Sì certo, ma la mia richiesta non è stata accolta e non ne ho mai saputo il motivo. Invece per un tipino come Piero Amara la stessa Procura ha concordato tre anni di pena per corruzione in atti giudiziari, fatti ben più gravi di quelli contestati a me». Per il Cup l'unico politico arrestato era stato Gramazio, un esponente dell'opposizione… «Secondo il giudice d'appello che ci ha assolti quell'accordo spartitorio non c'è mai stato. Ma lascia perplessi che i magistrati che avevano indagato e giudicato precedentemente avessero ritenuto protagonista dell'intesa tra partiti un membro della minoranza, mentre nessun rappresentante politico della maggioranza, da Zingaretti in giù, è mai finito alla sbarra. Anche perché non ho mai dato soldi a Gramazio, ma ho solo assunto persone da lui segnalate, come ho fatto con altri non condannati, soprattutto di sinistra».Se a Forza Italia non ha dato denari, al Pd ne ha versati?«Eeeeeeeeh… centinaia di migliaia di euro. Peccato che il reato sia stato contestato solo agli uomini della corrente bersaniana. Non so spiegarmelo, ma è un dato di fatto». Lei da sette anni dice sempre le stesse cose, ma nessun giudice le crede. Che cosa ci ha guadagnato?«Che giro per Roma a testa alta e con la coscienza a posto. Anche se in cambio ho ottenuto un inasprimento della pena di tre anni e mezzo rispetto a tutti gli altri imputati e non ho potuto usufruire nemmeno delle attenuanti generiche». Resta il fatto che lei sia un corruttore reo confesso…«Alla fine di questo gigantesco processo mi contestano di aver pagato 65.000 euro di mazzette su un fatturato complessivo di 180 milioni. Tutto il resto o sono assunzioni di persone segnalate o tentativi di incassare i miei legittimi crediti che non mi venivano pagati…».Che cosa intende fare ora?«Adesso, se troverò un editore, pubblicherò la vera storia della gara Cup con nomi e cognomi e tutti i retroscena. E se l'editore non arriverà, la metterò su Internet, affinché tutti la conoscano. Anche perché sono quattro anni che aspetto la querela che Zingaretti mi ha promesso nel marzo del 2017, quando rese una balbettante deposizione durante il processo di primo grado ancora visibile sulla Rete».Dove andrà in viaggio di nozze?«A causa della mia condanna non posso lasciare Roma. Al massimo ci concederemo un bel giro sul raccordo anulare».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)