2020-04-06
Cattolici costretti alla fede fai da te
Sempre più messe clandestine: la gente non vuole una fede «fai da te» ridotta a un fatto privato davanti alla televisione.C'è persino chi sembra provare una punta di compiacimento, come Alberto Melloni, che su Repubblica si gode il contrappasso: «La Chiesa, che tenne la salma di Welby sul sagrato, oggi non può accogliere i figli che vorrebbe benedire. La Chiesa, che negò la comunione ai divorziati penitenti, oggi non la può dare a nessuno. La Chiesa», continua il professore, «che snobbò il bisogno di eucarestia dei popoli senza preti, deve sperare che nelle case qualcuno si assuma il compito (un ministero, nel linguaggio ecclesiastico) di ricordare con gioia penitente la Pasqua di Gesù». Già: qualcuno che si faccia carico del ministero. In pratica, stiamo avviandoci alla Chiesa fai da te. Anche Avvenire, il quotidiano dei vescovi, spiegava ieri che il Sussidio per la Settimana santa voluto dalla Cei «consente di celebrare il cuore dell'anno liturgico fra le mura di casa, non potendo partecipare ai riti nelle cattedrali e nelle chiese». Domenica delle Palme autogestita, dunque, e «se non si hanno a disposizione ulivo e palma, basterà una pianta verde per fare memoria dell'ingresso del Salvatore nella città santa». Potete fare da soli, cari fedeli. E, se la Chiesa si leva dai piedi, per qualcuno è pure meglio. Dopo tutto, ci ripetono ormai da tempo che a contare è il «rapporto personale con Dio», la celebrazione puntuale del «rito», anche se condotta in autonomia. Proprio come piace ai protestanti.E se la spinta al luteranesimo non basta, ecco il riferimento al modello islamico. Lo tira in ballo addirittura Fiorello: «Non credo che Dio accetti le preghiere solo da chi esce di casa e va in chiesa», scrive su Twitter lo showman. «Se a casa ho un crocifisso e prego, non è la stessa cosa? I musulmani, se non possono andare in moschea, pregano in qualsiasi posto». Vero, ma questo li rende appunto musulmani, non cattolici. Questi ultimi, durante la messa, ricevono il corpo di Cristo, se ne nutrono. I musulmani, invece, non riconoscono la divinità di Gesù, non hanno un clero, non celebrano l'eucarestia. Al contrario, «la forma essenziale del culto cristiano si chiama a ragion veduta eucaristia, cioè rendimento di grazie», scriveva Joseph Ratzinger nella sua Introduzione al cristianesimo.Anche per questo, da una parte all'altra dell'Italia, c'è chi cerca conforto nelle «messe clandestine». Nelle scorse settimane - a Rovigo, a Roma, nel Salernitano - alcune celebrazioni “illegali" sono state interrotte dall'arrivo delle forze dell'ordine. I riti segreti, tuttavia, continuano: a Milano, Bologna e in altre città. La signora Giovanna ci racconta, al telefono e con qualche senso di colpa, la sua puntata quotidiana in una parrocchia di periferia: «Siamo di solito in quattro, più l'anziano sacerdote», dice titubante. «Sabato, alla vigilia della Domenica delle Palme, eravamo in 8. Non ci siamo organizzati, ci siamo trovati quasi per caso. Abbiamo tutti le mascherine, anche il prete. Stiamo a distanza, l'ostia ci viene data in mano. Ho chiesto anche di essere confessata, sempre stando a due metri dal parroco. Non l'ho detto a nessuno che vado in chiesa, nemmeno ai miei figli, anche se ho amici che, se lo sapessero, di sicuro verrebbero. Mi sento un po' in difficoltà, ho dei dubbi, però sento che la Chiesa mi protegge, da sola... non ce la faccio». È questo il punto: la consapevolezza di non farcela da soli, di non bastare a sé stessi. Ieri, sul nostro giornale, monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, ha invitato a non perdere il “materialismo cristiano". Alcuni intellettuali cattolici sono stati molto più diretti, chiedendo che almeno per Pasqua sia possibile celebrare la messa. Una richiesta avanzata da Giorgia Meloni già all'inizio di marzo, e ribadita nelle scorse ore da Matteo Salvini, con consueto corredo di polemiche. «Salvini chiede la riapertura delle chiese per Pasqua. Non sono d'accordo, in questi momenti penso che la propria fede possa e debba essere un fatto personale, privato», ha detto il sindaco di Milano Beppe Sala, cercando poi di scaricare il barile ad altri: «Se vuole davvero riaprire le chiese, Salvini deve chiedere alla Lombardia o al Veneto, regioni che governa, di fare un'ordinanza in questo senso, altrimenti siamo solo alla ricerca delle parole e non dei fatti». Una risposta molto appropriata a Sala l'ha fornita Matteo Forte, consigliere comunale di Milano Popolare, il quale ha fatto notare che secondo la Costituzione la fede non è «un fatto privato, tutti hanno diritto a esercitarla tanto in forma privata quanto pubblicamente. Tanto è vero che le celebrazioni non sono vietate, né sospese. Ciò che è vietato è il concorso di popolo. Entriamo in un terreno scivoloso, ovvero quello della politica che pensa di normare e regolare ogni aspetto e ogni implicazione concreta di un valore (quello della libertà religiosa) che non è un bene disponibile».La sicurezza dei cittadini prima di tutto, ci mancherebbe. Ma davvero è più pericoloso entrare in una chiesa spaziosa - pur con tutti i dispositivi di sicurezza necessari, a patto che il governo li fornisca - invece che in un supermercato dove ci si scontra al banco dei surgelati? La sensazione è che, alla fine dei conti, tutto dipenda dal peso che diamo all'eucarestia. Forse davvero, come suggeriva il sociologo George Ritzer, consideriamo sacre soltanto le cattedrali del consumo, e il segno della croce lo facciamo sulla porta automatica, prima di dirigerci in cerca di conforto spirituale allo scaffale delle creme alla nocciola.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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