2022-01-24
I partiti si sono incartati, può succedere di tutto
Se, in queste settimane, ci siamo tenuti alla larga dal dibattito sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica, è perché sapevamo che c’era poco da dire. A differenza dei giornaloni, i quali davano per certa la nomina di Mario Draghi al posto di Sergio Mattarella, eravamo certi che saremmo giunti all’attuale situazione di stallo.Da un lato la candidatura di Silvio Berlusconi si faceva sempre più incerta, sostenuta dalla sua determinazione più che dalla convinzione di chi, fra gli alleati e i cosiddetti «fedelissimi», avrebbe dovuto votarlo. Dall’altra ci era ben nota la finzione che voleva tutto il Pd e tutti i 5 stelle pronti a sostenere il nome dell’ex presidente della Banca centrale europea. Del Cavaliere possiamo dire che i più dubbiosi sulla riuscita dell’«Operazione scoiattolo» erano certi dirigenti di Forza Italia e del centrodestra, i quali mentre in pubblico si mostravano determinati dietro il loro candidato, in privato scuotevano la testa, convinti di rischiare un bagno di sangue. Quanto a Draghi invece è certo che metà o forse più della maggioranza che lo sostiene non aveva e non ha nessuna voglia di spedirlo al Quirinale. I primi ad essersi messi di traverso sono stati due ministri del Pd, ovvero Dario Franceschini e Andrea Orlando, i quali detestano, ovviamente ricambiati, il presidente del Consiglio e sanno, insieme con Roberto Speranza, che un cambio della guardia a Palazzo Chigi, equivarrebbe a un rimpasto e non è detto che Enrico Letta non coglierebbe l’occasione per liberarsi di loro con il favore del nuovo capo dello Stato. Non di meno a remare contro Draghi sul Colle c’era mezzo Movimento 5 stelle, con il sostegno convinto di Giuseppe Conte, il quale non si è ancora ripreso dalla sberla di un anno fa e sogna di poter tornare, dopo le prossime elezioni, alla guida del governo. Fatta eccezione per Luigi Di Maio, che da vero democristiano ha promesso il suo appoggio a tutti, cioè a Draghi, al candidato di Salvini e pure a quello di Letta, gran parte dei grillini teme che il trasloco del presidente del Consiglio al Quirinale faccia franare la legislatura, che per molti equivarrebbe a doversi cercare un lavoro. Dunque, in queste settimane dal Pd ai 5 stelle, in tanti si sono dati da fare per sabotare la candidatura del super candidato. Risultato, al momento i grandi elettori si presentano, da una parte e dall’altra, senza un nome che abbia concrete possibilità di essere votato a maggioranza. Matteo Salvini punta a una terna di nomi, di cui fanno parte la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, Letizia Moratti e, a seconda dei momenti e degli interlocutori, Marcello Pera, Franco Frattini e Giulio Tremonti. L’ultimo è probabilmente il suo preferito, ma è anche il meno probabile, perché l’ex ministro delle Finanze di Berlusconi e l’attuale premier sono come cane e gatto e si detestano cordialmente sin dai tempi in cui il primo stava a via XX Settembre e il secondo a via Nazionale, l’uno plenipotenziario dell’economia e l’altro governatore di Banca d’Italia. Avere il primo sul Colle e il secondo al governo sarebbe uno spasso, perché ne vedremo delle belle, ma sarà difficile che ciò accada. Anche perché Letta e compagni hanno già alzato le barricate, decisi a rispedire al mittente le proposte avanzate dal leader della Lega, il quale, va detto, non trova poi neppure tutto il consenso della coalizione. Per quanto riguarda il Pd, hanno quasi più candidati che voti. In questi giorni si sono sentiti i nomi di Paolo Gentiloni, Luciano Violante, Rosi Bindi, Anna Finocchiaro, Giuliano Amato, Dario Franceschini e Pier Ferdinando Casini. Da ultimo, per evitare di votare scheda bianca e di bruciare qualche nome, pare abbiano virato su Andrea Riccardi, fondatore della comunità di San Egidio ed ex ministro della cooperazione e dell’integrazione con Mario Monti, uno che è benedetto dal Vaticano e pure dal Nazareno (inteso come Pd). Ma se Salvini e Letta sfogliano la margherita senza ancora essere riusciti a trovare il petalo giusto, nei 5 stelle non sanno che fiore cogliere e dunque è possibile che alla fine vadano a rimorchio del Pd oppure che ognuno di loro vada per i fatti propri, con il risultato che alla fine sarà il caos. O meglio, che rischiamo un presidente per caso. Anche Giorgia Meloni ha i suoi guai, perché al momento non riesce a vedere chi emergerà quando sarà calata la nebbia che imperversa sul Parlamento e sospetta che qualcuno apparecchi il tavolo per Pier Ferdinando Casini, con la scusa che avendo trascorso gli ultimi trent’anni un po’ a destra, un po’ al centro e un po’ a sinistra l’ex presidente della Camera sia l’unico a poter accontentare tutti. Matteo Renzi sarebbe contento e potrebbe rivendicare di essere stato il primo a proporlo, dopo averlo messo in lista con il Pd e averlo nominato presidente della commissione d’inchiesta sulle banche. Certo, all’ex premier in tal caso non riuscirebbe l’ultima mossa del cavallo, ovvero scalzare Draghi da Palazzo Chigi dopo avercelo messo, per sostituirlo con un politico più malleabile nell’ultimo scampolo di legislatura, ma non tutte le ciambelle riescono con il buco e la ciambella rappresentata da Casini potrebbe bastargli. Tra questi scenari restano tuttavia due incognite. Sicuri che il Cavaliere accetti di uscire di scena così, facendo un passo indietro senza un colpo di teatro dei suoi? Siamo certi che non proverà a trasformarsi da candidato in colui che candida il futuro capo dello Stato? E poi: Draghi che già da settimane si vedeva al Quirinale, come la prenderà? Rinuncerà al sogno di essere il tredicesimo presidente della Repubblica, accettando di restare su una poltrona che si fa ogni giorno più scomoda e che, con l’approssimarsi della fine della legislatura, lo costringerà a tripli salti mortali? Insomma, oggi si vota, ma al momento nulla è certo, se non che i partiti si sono incartati e che alla fine potrebbero perfino riportare in scena Sergio Mattarella. Il quale, come tutti i presidenti, giura e spergiura di non volere un secondo mandato, ma se proprio glielo chiedessero in ginocchio, come farebbe a dire di no? Anche i capi di Stato in fondo hanno un ego.
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