2025-09-09
Parigi di nuovo senza un governo. Il Parlamento manda a casa Bayrou
Ll’Assemblea nazionale francese (Ansa)
Il voto di fiducia chiamato dallo stesso premier si rivela un autogol pazzesco: in 364 staccano la spina all’esecutivo del centrista. Marine Le Pen: «Fine di un’agonia, ora il voto e poi risaneremo il Paese».Verso la nomina di un nuovo primo ministro. Altrimenti elezioni o dimissioni di Macron. Intanto quest’ultimo consulta i giuristi per sapere se poter scippare i poteri dell’Aula.Lo speciale contiene due articoli.La Francia di Emmanuel Macron è di nuovo senza governo. Ieri sera l’Assemblea nazionale ha votato a maggioranza la sfiducia al governo di François Bayrou. Nel dettaglio: 364 deputati hanno votato contro la mozione di fiducia, 194 a favore, mentre 25 si sono astenuti. Macron ha «preso atto» del voto, dichiarando di voler nominare il successore di Bayrou «nei prossimi giorni». Poco dopo il voto, il capogruppo del partito macronista Renaissance, Gabriel Attal, ha invitato Macron a «condividere il potere» nominando un «negoziatore». Jean-Luc Mélenchon, fondatore del partito di estrema sinistra de La France Insoumise (Lfi) ha invitato l’inquilino dell’Eliseo a «smammare». Oltralpe, l’atmosfera è da fine impero.Dal pulpito dell’Assemblea nazionale, Bayrou ha ricordato ai deputati che «la Francia non ha un bilancio in pareggio da 51 anni. Siamo in pericolo di vita». Poi si è lanciato in una litania di oscuri presagi: «I debiti si accumulano», «avete il potere di rovesciare il governo» ma «non di cancellare la realtà».Nel dibattito parlamentare seguito alle dichiarazioni del premier uscente, la leader del Rassemblement national (Rn), Marine Le Pen, ha rimandato al mittente gli allarmi lanciati da Bayrou. Per Le Pen dopo «cinque decenni di gestione costosa» dello Stato «i colpevoli» sono tutti i «governi di destra come di sinistra» che si sono succeduti in Francia. La responsabile Rn ha poi detto che la crisi apertasi ieri rappresenta «la fine dell’agonia di un governo fantasma». La stessa ha poi attaccato Macron, affermando che sciogliere l’Assemblea nazionale è «un obbligo» e che «un presidente non ha mai torto a rimettersi al popolo». Per Le Pen, «se il popolo» darà al suo partito «la maggioranza assoluta», questo andrà «a Matignon (sede degli uffici dei premier francesi, ndr) per operare un’azione di risanamento nazionale, senza aspettare le presidenziali». Parole al vetriolo sono arrivate dalla deputata Lfi Mathilde Panot che ha detto «se ne vada Bayrou e che Emmanuel Macron la segua».Il socialista, Boris Vallaud, ha ribadito di essere «pronto a governare». Un’ipotesi questa che, come ha scritto nei giorni scorsi La Verità, non dispiacerebbe affatto a Macron e che ha trovato ampio spazio nei media mainstream d’Oltralpe. Il deputato comunista Stéphane Peu ha ironizzato sul fatto che «come il soldato Ryan (dal titolo del film di Steven Spielberg, ndr) lei deve salvare il presidente Macron». Gli ecologisti hanno ripreso a far girare il disco rotto dell’estate 2024, quella del dopo elezioni anticipate. Cyrielle Chatelain dei Verdi ha chiesto «un premier venuto dai ranghi del Nuovo Fronte popolare», ovvero la coalizione di circostanza delle sinistre creata a tavolino solo per le legislative dell’anno scorso, ma andata ben presto in frantumi. Anche il gruppo misto Liot ha chiuso la porta in faccia a Bayrou. Persino tra le file della maggioranza il sostegno al primo ministro uscente non era scontato. Da un lato, Attal e il rappresentante di Horizons, il partitino dell’ex premier Edouard Philippe, hanno assicurato un supporto granitico a Bayrou. Dall’altro Laurent Wauquiez, leader dei deputati della destra moderata de Les Républicains (Lr) ha ribadito la libertà di coscienza lasciata ai suoi colleghi parlamentari. La via crucis del governo francese, che ha portato al voto parlamentare di ieri, era iniziata il 25 agosto scorso. Bayrou aveva annunciato che avrebbe sottoposto il suo esecutivo ad un voto di fiducia dell’Assemblea nazionale. Un fulmine a ciel sereno. Sulla carta, la mossa del premier uscente puntava a responsabilizzare i partiti politici che sostenevano la sua squadra: macronisti, centristi e gli Lr. All’inizio l’ex premier, nonché il suo ministro dell’Economia, hanno fatto la voce grossa ricordando che la Francia ha un debito pubblico enorme. Bayrou era riuscito a spaventare i suoi connazionali ipotizzando la soppressione di due giorni festivi. L’ormai ex titolare dell’economia, Eric Lombard, invece, era arrivato a dichiarare che «sui 44 miliardi» di tagli «dovremo tenere» senza escludere il rischio di un intervento del Fondo Monetario Internazionale. Bayrou aveva anche dichiarato che è colpa del «dumping fiscale» voluto da Giorgia Meloni se i paperoni transalpini mollano la Francia per trasferirsi in Italia. Lombard invece aveva detto: «Scommetto che nei prossimi quindici giorni pagheremo il nostro debito più dell’Italia». Con il passare dei giorni i toni minacciosi si erano trasformati in aperture. Come detto, Bayrou ha aperto sull’aiuto sanitario di Stato, Invece Lombard, ha fatto l’occhiolino alla gauche, parlando di «concessioni» in sede di discussione della finanziaria.La Francia di Emmanuel Macron è entrata in una fase di profonda incertezza che, probabilmente, sarà aggravato dallo sciopero generale organizzato per domani da collettivi di cittadini e sindacati. La palla è nel campo del presidente della Repubblica che, come ha fatto l’anno scorso per ripicca dopo aver perso le europee, potrebbe non rilanciarla ma bucarla.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/parigi-di-nuovo-senza-governo-2673972246.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="leliseo-ora-medita-un-colpo-di-mano" data-post-id="2673972246" data-published-at="1757398744" data-use-pagination="False"> L’Eliseo ora medita un colpo di mano C’era una volta la leggendaria stabilità dei governi europei, contrapposta all’equilibrio sempre precario degli effimeri esecutivi italiani. Almeno in questo senso, Emmanuel Macron potrà vantarsi di aver reso un po’ più «italiana» la Francia. Con le dimissioni che oggi François Bayrou rassegnerà nelle mani del presidente, sono già sei i primi ministri che si sono succeduti in meno di 10 anni alla corte dell’ex pupillo della banca Rothschild: Édouard Philippe, Jean Castex, Élisabeth Borne, Gabriel Attal, Michel Barnier e appunto Bayrou. Le Figaro fa peraltro notare maliziosamente come, dall’annuncio del voto di fiducia, avvenuto il 25 agosto agosto, fino a ieri, il primo ministro uscente abbia intensificato esponenzialmente i suoi interventi sui media: che questo improvviso presenzialismo sia prodromico a una sua candidatura alle presidenziali del 2027? Possibile, ma il 2027 appare lontanissimo in quell’Eliseo che ha perso la sua proverbiale capacità di ragionare sui tempi lunghi. L’urgenza, adesso, è capire cosa fare domani.Gli scenari possibili sono tre (più un quarto, abbastanza preoccupante): la nomina di un nuovo premier, le elezioni anticipare o le dimissioni di Macron. Per i francesi, quest’ultima sembra essere la soluzione di gran lunga desiderabile: secondo un sondaggio diffuso domenica, il 49% degli intervistati vorrebbe che Macron lasciasse la poltrona, il 36% auspica un nuovo primo ministro e solo il 15% spera in uno scioglimento dell’Assemblea nazionale. Macron è uomo dalle decisioni repentine e a volte spiazzanti, quindi nulla può essere escluso. Ma non sembrerebbe orientato verso le dimissioni. Più probabile che nomini il suo settimo premier (è quel che ha lasciato intendere nel suo laconico commento di ieri sera). Il totonomi impazza, pescando fra i membri del governo uscente: si va dall’attuale ministro delle Finanze, Éric Lombard, al ministro della Giustizia, ex Interni, Gérald «Mr Simpatia» Darmanin, dal ministro del Lavoro, Catherine Vautrin, a quello della Difesa, Sébastien Lecornu. Si fa anche il nome di Pierre Moscovici, attuale presidente della Corte dei conti. Nessuna di queste opzioni sembra comunque particolarmente convincente. Anche la via elettorale, tuttavia, appare piena di incognite. Marine Le Pen e il suo alleato, Éric Ciotti, sono dati largamente in testa, con il 33% dei voti al primo turno, il blocco di sinistra rossoverde è dato al 19%, senza La France Insoumise (quotata al 10%), la nebulosa macroniana avrebbe il 15% e la destra moderata dei Républicains un altro 10%. Anche tenendo conto dell’incognita dei ballottaggi, il quadro appare ingovernabile, spaccato com’è in tre tronconi: sinistra, conservatori e riformisti, sovranisti. Tenendo conto di veti contrapposti, archi repubblicani, antipatie personali, reciproche linee rosse programmatiche invalicabili, non se ne cava una maggioranza stabile neanche a pagarla.Un’ulteriore variabile è quella del processo d’appello a Marine Le Pen e a 11 dirigenti del Rn per la presunta truffa degli assistenti parlamentari, che avrà luogo dal 13 gennaio al 12 febbraio. Ovviamente nulla c’entra con le disavventure del governo, ma, tra una cosa e l’altra, non è detto che la questione non venga casualmente fatta scivolare sul tavolo delle trattative.Sui media francesi rimbalza poi una quarta ipotesi, inquietante: Macron, scrive Elisabeth Fleury su Msn.com, negli ultimi giorni avrebbe moltiplicato le consultazioni con i giuristi per capire se sia possibile applicare l’articolo 16 della Costituzione, che prefigura una sorta di stato d’emergenza. Nel caso, l’Eliseo assumerebbe sia il potere legislativo che quello esecutivo. Finora l’articolo è stato applicato solo da Charles De Gaulle, dopo il tentato putsch dei generali nel 1961. Difficile che un’impasse parlamentare possa bastare per un tale colpo di mano. Ma se le agitazioni del nuovo movimento Bloquons tout prendessero una piega sbagliata...
(Ansa)
Il ministro Guido Crosetto in occasione dell'82°anniversario della difesa di Roma: «A me interessa che gli aiuti a Gaza possano arrivare, le medicine possano arrivare, la vita normale possa riprendere». Nonostante tutto, Crosetto ha ben chiaro come le due guerre più grandi - quella Ucraina e quella a Gaza - possano cessare rapidamente. «Io penso che la decisione di terminare i due conflitti sia nelle mani di due uomini: Putin e Netanyahu».