2022-08-02
La parabola del M5s. Mandavano «vaffa» a tutti, ora gli insulti sono tra di loro
Zombie, traditore, poltronari: Beppe Grillo rompe il silenzio e compila l’«album delle figurine» dei fuggiaschi. Per impallinarli meglio.Era fatale che finisse così, tra il truculento e il ridicolo, tra l’ultratrash e l’avanspettacolo. Le premesse s’erano già intravviste qualche settimana fa, nelle fiammeggianti e litigiosissime riunioni del M5s che avevano preceduto la caduta del governo Draghi. In quei giorni di metà luglio, diverse cronache e retroscena avevano riferito di accuse incrociate di tradimento, accompagnate da grottesche minacce: «Vi sputeranno addosso» (secondo altre versioni, ancora più truci e trucide: «Vi sputeremo addosso»). Insomma, molti decenni dopo l’antica profezia sciasciana sui giustizialisti che avrebbero finito per arrestarsi fra loro, siamo arrivati - scendendo decisamente di livello - ai ribellisti che si sputacchiano reciprocamente tra loro, o almeno minacciano di farlo. Mancava all’appello solo lui, Beppe Grillo, il padre fondatore (o sfondatore, o affondatore, a seconda dei punti di vista). L’uomo del vaffa, l’uomo dell’urlo, l’uomo della rissa in streaming con Matteo Renzi, l’uomo degli insulti a tutti, l’uomo del sì a Mario Draghi e del no al Draghi medesimo, l’uomo dell’ok a Giuseppe Conte ma solo come re travicello per umiliare i pentastellati, l’uomo che ha usato Conte contro Luigi Di Maio ma ora vorrebbe usare Virginia Raggi e il Che Guevara di Roma Nord (Alessandro Di Battista) contro Conte stesso, l’uomo che ha usato la vecchia guardia (un nome per tutti: lady Paola Taverna) come testa d’ariete per ottenere la sfiducia al governo e ora usa il no al terzo mandato per rottamare la vecchia guardia. E la notizia è che anche Grillo ha finalmente parlato, anzi ha bussato due volte come il postino del romanzo di James Cain. Due giorni fa, sul suo blog, ha evocato «gli zombie»: «Sapevamo fin dall’inizio di dover combattere contro zombie che avrebbero fatto di tutto per sconfiggerci o, ancor peggio, contagiarci. E così è stato: alcuni di noi sono caduti, molti sono stati contagiati». E ancora: «Compiangiamo chi di noi è caduto e non ha resistito al contagio». Poi un fervorino per invitare alla lotta: «Ma soprattutto ringraziamo chi di noi ha combattuto e combatte ancora. Per alcuni è il tempo di farlo con la forza della precarietà, perché solo così potremo vincere contro gli zombie, di cui Roma è schiava. Onore a chi ha servito con coraggio e altruismo, auguri a chi prosegue il suo cammino! Stringiamoci a coorte! L’Italia ci sta chiamando».E ieri è arrivato il secondo colpo. Proprio mentre Luigi Di Maio si esibiva insieme a Bruno Tabacci, e mentre Davide Crippa e Federico D’Incà annunciavano nuove avventure, sui suoi canali social Grillo ha postato quello che ha chiamato l’«album degli zombie» («In edicola: con 4 bustine l’album è in regalo!»). A seguire, tutte le fotine degli scappati di casa e dei trasfughi, da quelli già citati passando per Vincenzo Spadafora e Federica Dieni. Diranno gli esegeti ortodossi dell’«elevato di Sant’Ilario» che è una sacrosanta bastonata ai «traditori», ai «poltronari», e così via. Ma - a ben vedere - è anche e soprattutto un avvertimento, neanche troppo subliminale, a chi è rimasto, affinché non faccia storie rispetto alla compilazione delle liste. Chi sarà dentro, sorrida. E chi rimarrà fuori, sorrida anche di più. Insomma, bastone e carota (ma non si vede la carota). Anzi, un tentativo da vecchio performer di coprire le convulsioni di ciò che resta (e di chi resta) nel Movimento. Come dire: state attenti, domani gli zombie (nonché quelli delle foto segnaletiche sul sacro blog) potreste essere voi… Non c’è - qui - da ripescare l’immagine mitica (e tragica) di Crono che divora i suoi figli. Semmai, c’è da capirlo, Grillo: gli fa schifo tutto. Ha ragione, e verrebbe quasi da applaudirlo, verrebbe da dire «Bravo Beppe, finalmente gliele hai cantate!». Anzi, verrebbe da chiosare: quella di Grillo è la più lucida analisi del momento politico, la «nota politica» più acuta e brillante rispetto a quelle di qualsiasi sperimentato editorialista. Peccato - però - che siano tutti figli suoi; peccato che sia tutta roba sua; peccato che sia tutto frutto di un’operazione cinica (la sua, che dura da oltre 10 anni) basata sulla rabbia e sul suo uso più spregiudicato, senza amore civile, senza prospettiva, senza pars construens, senza considerazione né per le istituzioni né per le idee. E allora sì, Beppe, diglielo ancora. Anzi, mandali tutti affanculo. Ridigli in faccia, a questi improvvisati senza né arte né parte che pensavano di essere diventati strateghi, a questi studenti invecchiati ma ancora in gita scolastica, a questi volpini in cerca di sistemazione, con il loro cravattino da prima comunione. Digli tutto quello che hai nel cuore a questi vincitori senza merito di una lotteria, divenuti parlamentari per caso, e che - in altro contesto - sarebbero forse percettori del loro stesso reddito di cittadinanza. Non risparmiargli nulla, sii feroce, asfaltali, massacrali, umiliali. Poi, però, quando hai finito con loro, prosegui allo specchio. Vedrai che sarà liberatorio, ti farà bene. Anche tu, anzi soprattutto tu, ti meriti la tua parte di insulti, di invettiva, di rituale di degradazione. Non risparmiarti nulla. Grazie.