Covid, dazi e rincari dell'energia creano la tempesta perfetta. Paolo Moretti (Rina services): «Più infrastrutture e nuovi vettori».
Covid, dazi e rincari dell'energia creano la tempesta perfetta. Paolo Moretti (Rina services): «Più infrastrutture e nuovi vettori».È una piccola rivoluzione quella che si sta verificando nel settore delle spedizioni via mare, da cui transita il 90% delle merci inviate nel mondo, quasi 1,5 miliardi di tonnellate che dalla pandemia in poi stanno incontrando maggiori difficoltà a essere trasportate e consegnate, con i prezzi di noleggio di navi e container che sono decuplicati e avranno grande impatto sull'inflazione in tutte le nazioni, già spinta dai rincari dell'energia innescati dalle politiche verdi europee. Non a caso il fenomeno coincide con la fase iniziale del programma di riduzione delle emissioni in atmosfera che prevede un abbattimento del 50% entro il 2050 di quanto emesso dalle navi. Potrebbe non essere una difficoltà transitoria, ma un ponte tra il trasporto marittimo come lo abbiamo conosciuto finora e quello fatto di disincentivi per chi ha navi più vecchie. I prezzo di noleggio di un container tra l'Italia e la Cina è passato da 900 a 10.000 dollari in meno di due anni, toccando incrementi del +1.200% un po' ovunque nel mondo. Anche il costo dei noleggi delle navi è alle stelle: analizzando un periodo di circa tre anni, una porta container da 9.000 Teu è passata da 35.000 a 85.000 dollari al giorno, mentre i noli spot (occasionali) sono passati da 35.000 a 140.000 dollari al giorno. Il Teu è l'unità equivalente di un container da 20 piedi di lunghezza (6,1 metri), strutture metalliche la cui costruzione è al 95% controllata da produttori cinesi e asiatici, mentre il mercato mondiale del trasporto è quasi totalmente (90%) nelle mani di una decina di grandi operatori come le europee Maersk e Msc o la taiwanese Evergreen. Diventa quindi interessante capire come potrebbe evolvere la situazione e quale sarà il futuro del trasporto marittimo. Per farlo abbiamo intervistato l'ingegner Paolo Moretti, ad di Rina services, ovvero l'organizzazione che dal 1861 si occupa della certificazione delle navi, e oggi di security, sorveglianza delle costruzioni e tecnologia. «Ogni giorno nel mondo ci sono circa 600 navi ferme in attesa di entrare nei porti», spiega Moretti, «in questa fase post pandemica l'intero comparto è rallentato dalle procedure anti Covid, sta mancando il personale portuale, l'intermodalità dei trasporti si realizza in tempi molto più lunghi. E poi ci sono gli imprevisti, come il blocco del canale di Suez avvenuto nel marzo scorso». Su quante navi rimanevano in passato ferme nei porti in attesa di poter attraccare prima del Covid, Moretti spiega: «Ci risulta che oggi siano circa il doppio rispetto all'inizio dell'anno, un numero che già allora era significativamente alto rispetto ai flussi e ai tempi d'attesa medi del traffico mercantile nel periodo pre pandemia. È un sintomo evidente dei colli di bottiglia che si sono creati nei porti mondiali e questa è una lezione sulle fragilità del sistema». Purtroppo, stando all'ingegnere, la tecnologia non può aiutarci a superare questa situazione: «Non è un tema di arretratezza tecnologica, il congestionamento in atto è uno stress test che sta evidenziando la necessità di potenziare la infrastrutture portuali secondo le logiche della tutela ambientale, della digitalizzazione e della sicurezza delle persone», sottolinea Moretti, «Un piano di investimenti sui porti consentirebbe di avere infrastrutture più efficaci. Banchine più grandi per accogliere anche le navi più recenti e grandi, flussi e procedure d'ingresso digitalizzate, manodopera formata sempre a disposizione e dei piani di contingenza in grado di gestire momenti di forte pressione come quello attuale».Oltre ai problemi legati alla pandemia, ci sono quelli provocati dai dazi Ue. In Italia, gli addetti del settore da mesi hanno lanciato l'allarme: le quote impediscono l'importazione di acciaio, le navi restano ferme nei porti e la produzione industriale rallenta, con conseguenze anche sull'export.A proposito della rivoluzione green, il manager spiega: «Siamo all'inizio di un percorso ormai ben definito per ridurre le emissioni. Sono previste penalizzazioni per chi inquina, una riduzione della velocità di navigazione per chi ha navi più vecchie, ma anche una cantieristica con installazione di motori dual fuel che utilizzino sia gas naturale liquido sia carburanti tradizionali, una tecnologia ponte in attesa di avere a disposizione sistemi di celle a combustibile alimentate a idrogeno».Le nuove politiche verdi mirano a una riduzione delle emissioni di carbonio del comparto entro il 2030 pari al 40% rispetto al 2008; cambieranno anche le caratteristiche delle flotte a cominciare dalle dimensioni delle navi. «La tendenza al gigantismo navale è evidente, si costruiscono unità molto grandi, in grado di caricare fino a 25.000 Teu, lunghe oltre 300 metri, con un'autonomia molto estesa e propulsori all'avanguardia», dichiara Moretti, «Per questo considerando che il parametro con il quale si valuta l'impatto ecologico è il numero di tonnellate trasportate in relazione alle effettive emissioni, queste sono vantaggiose. Ovviamente non tutti i porti hanno dimensioni e infrastrutture tali da poterle accogliere. La medesima tendenza a costruire navi più grandi vale anche per quelle da crociera».A settembre l'Imo (International maritime organization, organismo in seno all'Onu) ha organizzato in Norvegia il forum sull'innovazione a emissioni zero evidenziando le sfide per la de-carbonizzazione, il finanziamento e lo sviluppo dell'innovazione. Nel suo discorso d'apertura, il segretario generale dell'Imo Kitack Lim ha dichiarato: «La transizione energetica dell'industria marittima richiederà nuove tecnologie, combustibili alternativi a basse o nulle emissioni di carbonio e infrastrutture per supportare il rinnovato trasporto marittimo». Gli argomenti discussi hanno posto sotto i riflettori sia le nuove tecnologie per ridurre le emissioni nel comparto, sia i metodi per creare un ambiente favorevole alla ricerca, al finanziamento di nuovi progetti e a modelli di cooperazione. Alcuni oratori hanno evidenziato che azioni coordinate per ridurre le emissioni del trasporto marittimo potrebbero essere realizzate riunendo le iniziative e i centri di ricerca e sviluppo attivi nei Paesi sviluppati con quelli nelle regioni in via di sviluppo, nell'ambito di un progetto finanziato dall'Unione europea. Su questo fronte Paolo Moretti non ha dubbi: «I governi dovrebbero seriamente pensare a linee di credito agevolato per favorire la comparsa nei mari di navi meno inquinanti. Anche i programmi come Next generation Europe possono dare un contributo. L'idea che sta passando è quella di penalizzare chi ha vecchie flotte, navi da carico di 20-25 anni che hanno trascorso la loro vita operativa principalmente negli oceani, dove le strutture sono soggette a grande affaticamento. Quelle che invece hanno navigato per lo più in mari protetti, come i traghetti, possono durare più tempo e potrebbe essere vantaggioso adeguarle alle nuove normative con attività di retrofitting a dual fuel. Bisogna considerare che anche i costi di smantellamento incidono sui conti degli armatori, un cantiere che effettua queste operazioni chiede circa 600 dollari per tonnellata di dislocamento a vuoto. Dunque gli operatori saranno innanzi a un bivio, tenere le navi che hanno e ridurre le emissioni andando più piano, quindi allungando i tempi dei viaggi, oppure sostituirle.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






