2023-10-04
«Sulla pandemia non sono stato zitto e mi hanno fatto fuori per tre anni»
Enrico Ruggeri (Getty Images)
Il cantautore Enrico Ruggeri: «Ci ho rimesso la Rai e vari concerti, ma non mi pento. Avrei voluto vedere De André alle prese con Conte. Mi stimolano i temi di cui non è trendy parlare: dalle corporazioni che evadono alla bolla green».Iniziamo da un tema molto serio: il ruolo che hanno avuto in questi ultimi anni i musicisti, gli intellettuali e gli artisti di fronte alle varie emergenze. Lei è stato, se non l’unico, uno dei pochissimi che hanno osato muovere critiche al racconto della realtà che ci veniva propinato. Da che cosa è stato motivato e perché gli artisti fanno così tanta fatica ad andare controcorrente?«Secondo me il grande spartiacque è stato Internet. Da un certo punto in avanti e in maniera sempre più marcata, i pareri e gli interventi dei musicisti sono finiti sui social. Questi hanno prodotto orde di aficionados ma anche orde di odiatori. Molti musicisti hanno cominciato a sentirsi mancare il terreno sotto i piedi: sul Web ci sono tanti giovani, e gli artisti appartenenti alle generazioni precedenti - diciamo dai cinquant’anni in su - si sono trovati un po’ a disagio e generalmente hanno tirato i remi in barca. Sorrido nel vedere molti miei colleghi che fanno dei post con su scritto No alla fame o No alle guerre senza sbilanciarsi, cioè dicendo cose ovvie, oppure “No alla violenza sulle donne”. Dicono cose sulle quali sono poco attaccabili e così molti fan danno loro ragione. Sarebbe il caso di prendere qualche posizione più marcata. Nel momento del Covid sono spariti tutti. Io invece ho ricevuto un po’ di congratulazioni, ma segrete».Cioè?«Mi viene in mente il film Mezzogiorno e mezzo di fuoco. In una scena si vede una vecchietta che porta una torta allo sceriffo nero in segno di pace e poi gli dice: “Avrà il buon gusto di non dire a nessuno che io le ho rivolto la parola”. Ecco, con me è successo così. Mi dicevano: “Bravo, gliene hai cantate quattro! Ma non dire niente che te l’ho detto”. Ho mostrato molte perplessità sulla gestione del Covid non certo perché io sia esperto di alcunché che riguardi le malattie, ma semplicemente perché, da osservatore dei costumi, ho pensato: non è possibile alienarsi la possibilità di vivere per la paura di morire, perché sennò finiamo come lo scarafaggio che vive cercando di mangiare, riprodursi e scappare dalla morte. E l’ho pagata veramente cara: per tre anni non mi si è visto in Rai, molti impegni mi sono stati cancellati. È stata veramente dura, devo dire».Nei riguardi degli artisti c’è una sorta di ricatto: devono piacere al più ampio numero di persone possibile, devono andare ai festival... Sono nelle mani di altri che li possono anche tagliare fuori. «Esatto. Nel nostro mondo è facile: non chiami me, ne chiami un altro altrettanto bravo e altrettanto seguito e nessuno se ne accorge. Nel mio caso c’è stato un progressivo allontanamento, cose che capitano. Io avrei voluto vedere alle prese con gli anni del Covid gente come Gaber, Pasolini, De André. Sarei stato veramente curioso di vederli: parto dal principio che l’intellettuale dovrebbe dire cose che non piacciono a tutti. Uno che dice cose che piacciono a tutti è semplicemente uno scaltro amministratore di sé stesso, mentre uno che si attira le ire di qualcuno può avere una patente diversa, ecco».Nel suo passato c’è il punk. Quanto ha influito quel tipo di attitudine sul suo atteggiamento? «Quel periodo punk mi ha insegnato a non avere paura di nulla. Il punk arrivò in Italia nel 1977, e siccome i punk avevano i capelli corti, il giubbotto nero eccetera, vennero etichettati come fascisti, nazisti. Ho iniziato a fare concerti con gente che voleva impedirmi di farli, quindi mi sono temprato». [...] Lei è stato identificato in certi momenti come uno di destra, e la guardavano un po’ male per questo. Poi però ha preso posizioni che la destra - diciamo quella un po’ più paludata - non si sarebbe mai aspettata. «Io vengo dagli anni del liceo trascorsi al Berchet di Milano. Erano anni nei quali c’era una realtà molto ideologica e io sono refrattario a quel tipo di mentalità. Anche nella musica succede così, in qualche: se proprio vogliamo dividere fra destra e sinistra, trovo che la destra sia più aperta e tollerante. Quelli tra i miei compagni e i miei amici orientati a destra ascoltavano e apprezzavano tranquillamente - non so - Guccini, che era sicuramente una bandiera della sinistra. Mentre ci sono stati anni nei quali se eri di sinistra Battisti lo dovevi ascoltare di nascosto. Per non parlare di David Bowie, Lou Reed, tutta questa gente un po’ dandy e un po’ gay friendly: erano anni in cui la dura e pura sinistra stalinista era assolutamente omofoba, molto più degli omofobi di oggi. Quindi in realtà io su tante questioni ho semplicemente le mie idee: la Nato è una struttura che ritengo un male non necessario, per esempio. In questo il mio pensiero non coincide col pensiero della destra di oggi. Ma ho tante altre posizioni diverse: francamente ho più solidarietà umana e simpatia per i palestinesi che non per gli israeliani, altra cosa che in questo momento mi allontana dalla destra. A seconda dei casi prendo delle posizioni da uomo libero». [...]Nel corso della sua carriera ha scritto molte canzoni che oggi sarebbe difficile pubblicare o che sarebbero giudicate politicamente scorrette. Probabilmente anche Contessa dei Decibel, il suo gruppo a cui molti si sono ispirati e che di recente è tornato in attività. «I Decibel sono stati sicuramente non voglio dire copiati ma insomma... hanno fatto tendenza con il loro tipo di suono, all’inizio. Però devo dire che anche nella reunion abbiamo fatto un brano che si chiama L’Anticristo, che anticipava temi che poi sono entrati nel dibattito pubblico». Cioè?«Mi sembra sempre più evidente che ci sia un gruppo di persone che sta al di sopra dei presidenti, dell’Unione europea, che vada al di sopra delle grandi istituzioni... Un gruppo di persone che in qualche modo sta influenzando pesantemente l’opinione della gente e quindi la politica mondiale. Faccio un esempio: Trump può anche non piacerci, possiamo anche detestarlo, ma dobbiamo tutti riflettere sul fatto che un social possa bloccare il presidente degli Stati Uniti... È una novità epocale che fino a dieci, quindici anni fa sarebbe stata assolutamente impensabile. Questo al di là del giudizio che ognuno di noi può avere su Trump». Lungi da me farle prendere altri insulti online... Ma sta parlando dell’esistenza di lobby e poteri forti? Non uso la parola complotto altrimenti finisce male...«Un amico comune che si chiama Bonifacio Castellane ha scritto che un complottista è semplicemente uno che è più sveglio di te nell’individuare i problemi... (sorride). Comunque ormai devi essere o tonto o asservito per non notare quanto il mondo giri attorno a corporazioni che non pagano le tasse, che non hanno alcun rispetto per il pianeta... Tutti sono pronti a rincorrere quello con la Panda che inquina dimenticando il cinismo delle grandissime organizzazioni e corporazioni. Stanno tutti a parlare giustamente di sfruttamento del lavoro, e poi ci sono aziende che il lavoro lo sfruttano in maniera capillare senza neanche pagarci sopra le tasse... Mi pare che tutto questo sia abbastanza evidente». Ha evocato il discorso sul green. È uno di quei grandi temi che traggono in inganno. Facile dire «salviamo la natura». Salvo poi che non si tratta di salvare la natura ma di vendere batterie elettrice. «A meno che il piano non sia ancora più perverso. E sia quello di abituare la persona a essere semplicemente un consumatore a debito e qui torno a citare il nostro buon Castellane. Ci stanno portando a pensare che noi possiamo dare un contributo migliore alla società nel momento in cui non possediamo nulla. In quest’ottica è meglio che tu la casa non ce l’abbia: te ne diamo noi una green, tu vendi la tua che non va bene. È meglio che tu non abbia la macchina perché è meglio che te la diamo noi, e non possiedi neanche quella... Insomma mi sembra che l’orientamento sia questo qui». Vorrei concludere citando un suo brano molto recente e bellissimo intitolato Dimentico che parla di Alzheimer. In questi anni ci è occupati tanto di salute, ma un po’ meno di quei malati che sono faticosi e costosi da assistere...«Amo molto i temi che non sono di moda. Due anni fa ho scritto una canzone che parlava di Chico Forti che stranamente è il detenuto italiano all’estero - guarda caso in America - meno di moda che ci sia. Anche il tema dell’Alzheimer è poco trattato, quasi messo in un angolo. Non a caso praticamente nessuna radio fra le big ha passato la canzone. L’hanno giudicata un po’ cupa, evidentemente o comunque non abbastanza trendy. Ma io ho la caratteristica di appassionarmi a temi dei quali nessuno parla. E questo è un tema di cui si dovrebbe parlare».
Jose Mourinho (Getty Images)