2025-08-30
Le paladine del «sex work» sui social accusano i mostri che hanno allevato
Ipocrita rabbia per i maniaci online: il punto non è solo il consenso delle partner, bensì il mercimonio dei corpi che alimenta Onlyfans quanto Phica. E poi, perché certe politiche non s’indignano per gli stupri dei migranti?La sensazione è che per l’ennesima volta si sia voluto guardare il dito, e tagliarlo, per evitare di rivolgere gli occhi alla luna. La quale è probabilmente molto diversa da come insistiamo a dipingerla. Dopo il sito in cui anonimi mariti pubblicavano a tradimento e senza consenso foto intime delle proprie, malcapitate mogli, anche un altro forum per voyeur e sporcaccioni è stato chiuso fra grida di giubilo. Il che giova senz’altro alla pubblica decenza e all’esistenza di molti. La faccenda è diventata anche un caso politico, anzi molte politiche di rilievo si sono spese con veemenza per la cancellazione delle piattaforme hard. «Per l’ennesima volta», dice Elly Schlein, «abbiamo assistito allo stesso copione: immagini di centinaia di donne caricate senza consenso su una piattaforma che consente e alimenta commenti sessisti e lesivi della loro dignità, i responsabili vengono scoperti e fuggono implorando di cancellare commenti e contenuti e il sito viene chiuso, quando probabilmente i responsabili hanno una rete intera di siti del tutto analoghi su cui lucrano ogni giorno a scapito delle vittime. Questa è violenza, che deriva da quella cultura dello stupro che anche online viene normalizzata e giustificata, anzi, aizzata dando appositi contenitori per sfogare le peggiori pulsioni». Secondo la segretaria del Pd «inasprire le pene non basta, serve un forte investimento sulla prevenzione, fatto di educazione sessuale e all’affettività, perché il rispetto e il consenso devono prevalere sulla cultura patriarcale che sta alla base della violenza». Insomma, siamo finiti sul solito terreno, sui discorsi di sempre, a parlare del patriarcato, della cultura dello stupro, della mascolinità tossica. E non c’è dubbio, intendiamoci, che vi siano dei maschi estremamente discutibili o peggio vigliacchi e violenti, come quelli che esibivano le mogli all’insaputa di queste. Ma c’è anche una robusta fetta della questione su cui si sorvola sempre, perché affrontarla significherebbe minare grossi interessi e soprattutto eliminare un bel po’ di ipocrisie. C’è dell’ipocrisia, ad esempio, e pure molta, nello scatenarsi contro il forum in cui i guardoni si scambiano foto reperite online di questa o quella fanciulla e poi fare finta di non vedere che le grazie femminili sono anche (e copiosamente) esibite su tutti i social network allo scopo di raccattare apprezzamenti, like e guadagni. È vagamente contraddittorio berciare contro la cultura dello stupro e poi alimentarla in altre sedi per ottenere benefici dallo sguardo lubrico dei maschi. È straniante osservare in queste ore le influencer che pubblicano proclami contro il sito Phica.eu che le ha effettivamente esibite come pezzi di carne e subito dopo, nei post appena precedenti o successivi, sfoderano le proprie forme e si atteggiano a provocatrici. Dice giustamente qualcuno che la differenza sta nel consenso: se una vuole pubblicare le sue foto voluttuose è liberissima di farlo, ma altri non possono mostrarle senza permesso. Viene da chiedersi tuttavia se questa faccenda del consenso non sia, in alcuni casi, una semplice questione di diritto di proprietà, del tipo: le foto sono mie e devo profittarne solo io. Sarebbe più utile, forse, riflettere sull’uso che facciamo dei corpi. Da quando esiste il Web questi vengono esibiti a fini di guadagno, e molto spesso da sinistra questa esibizione è stata presentata come una forma di liberazione: «il corpo è mio e lo gestisco io». Ma se uno si sfrutta da solo, non è comunque sfruttamento, magari inconsapevole? E questa benedetta cultura dello stupro, non è forse - più banalmente e meno ideologicamente - un meccanismo di produzione di desiderio di cui il nostro sistema economico si alimenta?Detto altrimenti: come si fa a condannare chi sbircia tette e culi online salvo poi presentare chi si spoglia Onlyfans come una sex worker che fa bene a mettere a reddito la propria intimità? Il dilemma sta tutto qui. Al netto dei reati, delle violazioni della privacy e delle appropriazioni indebite che vanni punite severamente, c’è poi un enorme problema legato al rapporto che la nostra società ha con la carne e con lo sguardo, con la provocazione dei sensi e il suo utilizzo commerciale. Ridurre tutto alla abiezione maschile è un modo per svicolare e non toccare il nodo della questione, che è biopolitico: con varie sfumature, l’intera industria social è un sistema di prostituzione di massa, di svelamento del privato per fini di lucro. E per limitarlo non serve educare gli uomini alla affettività, ma semmai recuperare un più profondo senso dell’intimità e del pudore. C’è poi un altro elemento che si tende con serenità a trascurare. La mascolinità tossica e la violenza che si vogliono combattere sul Web vengono affrontate decisamente meno quando esplodono in strada, magari a causa dell’immigrazione fuori controllo che i novelli censori progressisti evitano sempre di condannare. L’ultimo brutale stupro è recentissimo, e non ha suscitato alcuna mobilitazione di massa della politica. Forse le donne di ogni età che camminano per le città italiane non hanno anche loro diritto al possesso del proprio corpo? Certo, prendersela con la violenza dello straniero o del clandestino non è politicamente ed economicamente profittevole. Si fa la figura dei razzisti, come si passa per bigotti a biasimare l’esposizione sommaria dei corpi sui social. Dopo tutto, questo è il modello che abbiamo costruito: abbattiamo ogni limite e poi ci stupiamo di non avere protezione alcuna.
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