2018-03-21
Pagani candida sé stesso in Saipem
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C'è chi lo ha soprannominato "il prezzemolino" delle partecipate statali. Di certo Fabrizio Pagani, classe 1967, capo della segreteria tecnica del ministero dell'Economia e delle Finanze di Pier Carlo Padoan, nonché consigliere di amministrazione di Eni, è in questi giorni uno degli uomini più ricercati al telefono.Cresciuto alla corte di Enrico Letta, quando ero lo sherpa per le relazioni internazionali, sopravvissuto alla rottamazione dell'ex premier e sottosegretario del Pd Matteo Renzi, sarà uno dei protagonisti dell'ultima tornata di nomine del governo di Paolo Gentiloni, tra Saipem e Cassa depositi e prestiti. Sono due partite spinose, in particolare la seconda perché la Cdp che nascerà avrà voce su tutte le partecipate statali, soprattutto quelle che andranno in scadenza nei prossimi anni. Ma pure sulla prima, un gioiello specializzato nella realizzazione di infrastrutture petrolifere, sono iniziate a circolare i nomi di possibili sostituti dell'attuale amministratore delegato Stefano Cao e del presidente Paolo Andrea Colombo.Alla fine di marzo, infatti, verranno presentate da ciascun azionista contemporaneamente le candidature. Prima ovviamente ci sono negoziazioni e contatti informali. Toccherà poi a Cdp, a Eni, come a Assogestioni proporre i candidati. E qui potrebbe spuntare proprio il nome di Pagani, che in quanto consigliere di amministrazione del cane a sei zampe come del Tesoro, che controlla Cassa depositi e prestiti, potrebbe di fatto vedersi candidare alla presidenza o alla guida stessa di Saipem. Casi del destino verrebbe da dire. Per di più a Roma considerano Pagani di fatto francese, perché ha la famiglia a Parigi sin dai tempi in cui insegnava all'Università Science Po. E caso vuole che su Saipem siano noti da tempo gli appetiti di Technip, azienda di engineering francese sempre nel settore petrolifero. Di sicuro Pagani non è uno dei soli nomi che stanno circolando in queste ore per la controllata di Eni. Ci sono pure voci interne a San Donato che darebbero in partenza Massimo Mondazzi, attuale Cfo per sostituire Cao: questa sarebbe un'ipotesi sponsorizzata dall'amministratore delegato Claudio Descalzi. Ma si parla pure di Vincenzo La Via, direttore generale del Mef, incarico che se dovesse sbloccarsi darebbe il via a una girandola di spostamenti. Il primo a gioire sarebbe ancora Pagani, che realizzerebbe comunque il sogno sfumato due anni fa. Nel 2016 il ministro Padoan lo aveva proposto per la poltrona più alta al Mef: al posto di La Via. Renzi non ne aveva voluto sapere ritenendolo troppo vicino a Letta. Adesso nessuno si opporrebbe. A quanto pare la partita si giocherebbe solo sulla presidenza, perché secondo attenti analisti, Cao sarebbe l'unico con competenze tali da gestire Saipem in questo momento senza traumi per investitori e azionisti. Nei giorni scorsi per Saipem era circolato anche il nome di Francesco Caio, ex amministratore delegato di Poste Italiane, con un passato in Lehman Brothers. Non solo. C'è chi sostiene che potrebbe rientrare nella partita anche Corrado Passera, ex ministro per lo Sviluppo Economico con un passato in Intesa San Paolo. Ma più di Saipem a preoccupare in questi giorni l'establishment è Cassa depositi e prestiti. A quanto pare l'assemblea prevista per il 16 maggio potrebbe slittare di qualche settimana. In questo modo Gentiloni potrebbe gestire con più tranquillità la partita, anche perché i tempi di formazione del governo potrebbero essere lunghi. Claudio Costamagna, attuale presidente, potrebbe accettare. Di certo su Cdp i giochi sono molto delicati perché potrebbero risentire delle trattative del governo come della formazione di un nuovo esecutivo. C'è chi scommette che anche su questa partita Pagani non farà mancare i suoi consigli.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)
Giorgia Meloni (Getty Images)