2023-12-15
Orbán minaccia ma l’Ucraina entra nell’Ue
Al via i negoziati anche per Moldavia e Bosnia. Georgia Paese candidato. Il premier ungherese abbandona il vertice e contesta la decisione («I 26 a favore dovranno andare per la loro strada») però non mette il veto. Meloni: «Per l’Italia un ruolo di primo piano».Discussioni, incontri e soprattutto retroscena, ma alla fine ieri è arrivato l’ok del Consiglio Ue all’avvio dei negoziati di adesione all’Unione europea per Ucraina, Moldavia e Bosnia Erzegovina. Inoltre ha concesso lo status di Paese candidato alla Georgia. «Si tratta di un risultato di rilevante valore per l’Unione europea e per l’Italia, giunto in esito a un negoziato complesso», spiega il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, «in cui la nostra nazione ha giocato un ruolo di primo piano nel sostenere attivamente sia Paesi del trio orientale sia la Bosnia Erzegovina e i Paesi dei Balcani occidentali».«Vittoria dell’Ucraina, vittoria di tutta l’Europa» sono state le parole del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. «Oggi la Moldavia volta una nuova pagina. Oggi sentiamo il caldo abbraccio dell’Europa. Grazie per il vostro sostegno e la fiducia nel nostro viaggio. La Moldavia è pronta a raccogliere la sfida». Così il presidente moldava, Maia Sandu. Inutile dire che era Kiev a creare divisioni e malumori tra i Paesi membri. Un leader su tutti si è sempre posto ostinatamente contro fin dal principio: il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Nonostante questo però il via libera è arrivato senza che nessuno Stato obiettasse sulla decisione. Orbán per evitare di esprimersi ha lasciato la stanza del vertice Ue al momento della decisione sull’apertura dei negoziati di adesione con l’Ucraina. Questo atto, secondo quanto riferito da un alto funzionario dell’Unione europea che era presente ai lavori, è avvenuto in modo costruttivo e concordato in anticipo. Eppure sui social Orbán si sfoga così: «L’Ungheria non vuole far parte di questa decisione sbagliata. La nostra posizione è chiara: avviare i negoziati con l’Ucraina in queste circostanze è una decisione del tutto insensata, irrazionale e sbagliata, e l’Ungheria non cambierà la sua posizione», afferma. «D’altra parte altri 26 Paesi hanno insistito affinché questa decisione fosse presa. Per questo l’Ungheria ha deciso che se i 26 decideranno di farlo, dovranno andare per la loro strada». Una minaccia velata la sua che forse vuole essere una spiegazione. In ogni caso l’obiettivo è stato raggiunto non senza fatica perché il leader ungherese appena arrivato al vertice aveva detto severo: «L’allargamento non è una questione teorica, è un processo basato sul merito, giuridicamente dettagliato, che ha delle pre condizioni, ce ne sono sette per l’Ucraina e anche nella valutazione della Commissione europea tre su sette non sono state raggiunte, per cui non c’è motivo per negoziarla». Inoltre «i soldi per l’Ucraina sono già nel bilancio. Se vogliamo dare più soldi e su un arco di tempo più lungo, bisogna farlo fuori dal bilancio». Di soldi in effetti non si è ancora parlato ed è probabile che sia questo l’argomento che possa aver convinto Orbán a non fare muro. Almeno in Consiglio. Muro che non hanno fatto neanche i Paesi frugali, favorevoli agli aiuti all’Ucraina, ma contrari a mettere mano al portafoglio per trasferire alla Commissione risorse aggiuntive. Per 48 ore (giorno e notte) si è lavorato per arrivare a questo via libera. Ha fatto il giro dell’Europa l’istantanea dell’incontro che si è tenuto tra la Meloni, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz mercoledì notte, nella hall dell’albergo in cui alloggiavano. È chiaro che tra le varie cose devono aver parlato di una strategia per ammorbidire le posizioni di Orbán. Infatti, nonostante l’ora tarda, dopo il vertice a tre lo staff di Palazzo Chigi ha fatto sapere che le diplomazie di Italia e Ungheria erano al lavoro per organizzare un bilaterale da tenersi il giorno seguente, a margine del Consiglio europeo. L’incontro c’è stato ieri e si è tenuto subito dopo la riunione che ha visto protagonisti Orbán, Macron e Scholz insieme con il presidente della Commissione Ursula von der Leyen e Charles Michel, alla guida del Consiglio europeo. Questi ultimi due, che detengono il portafoglio dell’Unione, avrebbero messo sul tavolo nuove risorse per Budapest in cambio del via libera all’avvio dei negoziati per l’ingresso dell’Ucraina in Europa. Già mercoledì Budapest aveva ottenuto lo sblocco di 10,2 miliardi dei fondi strutturali.La Meloni non avrebbe partecipato all’incontro per mettere in campo il gioco del poliziotto buono e di quello cattivo. Strategia che alla fine si è dimostrata vincente perché, da quello che è emerso, il colloquio tra Orbán, Macron e Scholz sarebbe stato ricco di tensione. Budapest ha ribadito la sua opposizione accusando l’Unione di usare dei «doppi standard» nei confronti dell’Ucraina, da un lato, e dei Balcani occidentali, dall’altro. Per Budapest, inoltre, l’inclusione del pacchetto di aiuti per Kiev nel bilancio comunitario rappresenta una «linea rossa» che può essere superata solo dopo le elezioni europee, quando sarà insediata una nuova Commissione europea. Fino ad allora, secondo Budapest, se l’Ue vorrà garantire un sostegno maggiore dovrà farlo attraverso un fondo ad hoc fuori dal bilancio.Al momento della decisione nonostante tutto è passato il sì, segno che il nuovo asse Roma-Parigi-Berlino dà segno di poter funzionare.
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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