2023-12-31
«Ora si indaghi sulle trame di Napolitano»
Giorgio Mulè (Imagoeconomica)
Il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulé: «Dopo le rivelazioni di Ingroia serve una commissione d’inchiesta su come è stato abbattuto Berlusconi». L’allora presidente si vantò di aver denigrato il Cav con Angela Merkel.La notizia, dopo le ammissioni dell’ex pm Antonio Ingroia, è degna di entrare in un libro di storia patria contemporanea: nell’autunno del 2011 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, pur essendo il garante della Repubblica, avrebbe contribuito personalmente all’opera di demolizione dell’immagine dell’allora premier Silvio Berlusconi, il cui onore, in quel momento, era già minato dalle inchieste sulle Olgettine e sulle escort a Palazzo Grazioli. Qualcuno potrebbe obiettare che il colpo definitivo a quel governo lo diede la crisi finanziaria e l’andamento fuori controllo dello spread, ovvero dell’indice che misura il divario tra il rendimento dei titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. Una tempesta apparentemente determinata dai mercati, apolitici per definizione, ma che, forse, aveva dietro registi politici. Uno dei quali, probabilmente, risiedeva al Quirinale.Come facciamo a dirlo? A partire dal novembre del 2011, la Procura di Palermo, che stava indagando sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia, aveva iniziato a intercettare l’ex presidente del Senato e ministro dell’Interno (al tempo delle stragi) Nicola Mancino. E sotto Natale, Napolitano, conversando con l’ex capo del Viminale, avrebbe fatto specifico riferimento ai colloqui che aveva avuto con la allora cancelliera tedesca Angela Merkel su Silvio e in cui avrebbe espresso giudizi pesantemente negativi sul primo ministro a cui, nel 2008, aveva conferito l’incarico di formare il governo. Era il periodo delle risatine tra la Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy e il capo dello Stato avrebbe scelto di stare dalla parte dei nemici dell’Italia. Re Giorgio si sarebbe vantato con Mancino del suo ruolo nella caduta del Cavaliere, con parole che si potrebbero parafrasare così: «Io glielo avevo detto alla Merkel che bisognava ripristinare l’immagine dell’Italia nel mondo e che Berlusconi era una sorta di pugno in un occhio per il Paese, causa di appannamento per l’immagine internazionale».La notizia riportata dal nostro giornale ieri non ha scaldato il dibattito pubblico (l’articolo è stato rilanciato con evidenza solo dal sito Dagospia), ma è stata notata dal vicepresidente della Camera Giorgio Mulé, esponente di punta di Forza Italia, che all’epoca, da direttore di Panorama, aveva anticipato i contenuti di quelle conversazioni per essere clamorosamente e ingiustamente smentito. «Che cosa avremmo dovuto fare di fronte a indiscrezioni, seppur non testuali, su telefonate tanto esplosive?» si chiede oggi proprio Ingroia. Il quale, due lustri dopo, spogliatosi della toga di magistrato, ha coraggiosamente confermato quanto appreso da questo giornale sul contenuto dell’intercettazione chiave, quella del dicembre 2011.Ma riavvolgiamo il nastro. Nel 2012 la copertina del settimanale dedicata alle conversazioni tra Napolitano e Mancino scatenò un putiferio. Per la verità anche altri illustri commentatori, che evidentemente avevano ricevuto qualche buona imbeccata, avevano prefigurato la delicatezza delle chiacchierate telefoniche di Napolitano. Per esempio, lo aveva fatto l’ex direttore della Repubblica Ezio Mauro che, avremmo scoperto in seguito, era stato incaricato di «mediare i rapporti tra la Procura di Palermo e il Quirinale sulla vicenda intercettazioni».Così, l’«ambasciatore» Mauro scrisse sul suo giornale: «Facciamo un’ipotesi astratta, di scuola. Quante telefonate avrà dovuto fare il Capo dello Stato nelle due settimane che hanno preceduto le dimissioni di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi? Se quelle conversazioni, che hanno preparato e preceduto l’epilogo italiano di vent’anni di berlusconismo, fossero diventate pubbliche quell’esito sarebbe stato più facile o sarebbe al contrario precipitato nelle polemiche di parte più infuocato, fino a rivelarsi impossibile?». Una domanda retorica che aveva già la risposta incorporata. Probabilmente a cadere sarebbe stato Napolitano, l’amico di Mauro e non Berlusconi.Ingroia con noi ha aggiunto che di certo Berlusconi «se avesse conosciuto il contenuto di quelle conversazioni» (poi distrutte) non avrebbe sostenuto la rielezione del presidente. Il direttore del Fatto quotidiano Marco Travaglio, che, invece, era in rapporti con i magistrati della Procura di Palermo, fu altrettanto bravo ad anticipare i contenuti, ma sempre fingendo di non conoscerli: «Se per caso fossero stati legittimamente intercettati colloqui del presidente relativi alla crisi che ha portato alla fine del terzo governo Berlusconi, noi non troveremmo nulla di scandaloso che venissero resi noti». Mulé aveva scelto di non nascondersi dietro a finte ipotesi di scuola.«Leggere l’intervista dell’ex pm di Palermo Ingroia alla Verità nella parte relativa alle intercettazioni tra l’ex presidente Napolitano e Nicola Mancino costituisce il miglior tributo a un eccellente lavoro giornalistico svolto dai miei “ragazzi” di Panorama nel 2012. Ingroia conferma letteralmente ciò che undici anni fa si meritò pubbliche smentite, reprimende e condanne da parte di magistrati, politici, giornalisti. Nell’articolo di Giovanni Fasanella si sosteneva che quelle telefonate contenevano giudizi e commenti taglienti su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo. Ricordo che, per la redazione di quell’articolo, mettemmo insieme almeno tre fonti diverse e tutte convergenti sul contenuto di quello che poi venne pubblicato».Che cosa svelava esattamente Panorama? «Che vi erano telefonate del capo dello Stato con Mancino intercettate dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta “trattativa” (poi naufragata), iniziate nel novembre 2011, cioè all’ultima fase del governo Berlusconi. Nei suoi confronti, cito esattamente l’articolo, scrivemmo che gli sarebbero state riservate da parte di Napolitano parole molto poco benevole con il ricorso a metafore assai lontane dal linguaggio ovattato proprio delle alte cariche istituzionali: al Cavaliere sarebbe stata addebitata la responsabilità di aver appannato l’immagine internazionale dell’Italia al punto da fare tirare un sospiro di sollievo dalle parti del Colle per la sua uscita di scena da Palazzo Chigi…».Sembra di sentire l’Ingroia di oggi…«Si rende conto? Ci sono voluti undici anni, ma la verità finalmente esce fuori. Nel 2012 la Procura si affrettò a smentire e, però, in modo ipocrita, dichiarò l’intenzione di aprire un fascicolo per violazione del segreto istruttorio. Allora, delle due l’una: se quell’articolo non conteneva notizie vere perché aprire un fascicolo per violazione del segreto? Benissimo: oggi, undici anni dopo e grazie alla Verità, sappiamo che quanto scritto all’epoca non solo era vero, ma era addirittura riduttivo rispetto al contenuto delle intercettazioni».Non pensa che ci debba essere adesso un approfondimento dopo l’intervista di Ingroia? «Guardi, in Parlamento è stata depositata già nella scorsa legislatura e nuovamente in quella in corso una proposta di legge per istituire una commissione di inchiesta sull’uso politico della giustizia. Questa vicenda delle intercettazioni di Napolitano, con il contenuto che Panorama rivelò nel 2012 e sulla quale oggi Ingroia si è incaricato di mettere il sigillo della verità, appartiene esattamente all’oggetto sul quale la commissione dovrebbe indagare. Per questo mi auguro che venga istituita al più presto senza avere paura di nulla, perché la verità non deve preoccupare nessuno».Si riferisce alla fine del governo Berlusconi del 2011? «Certo. Ragioniamo insieme: alla vostra domanda se quelle intercettazioni permettessero di comprendere come dietro alla tempesta perfetta che portò alle dimissioni di Berlusconi nel 2011 ci fosse l’allora Capo dello Stato, Ingroia risponde che se il Cavaliere avesse conosciuto il contenuto di quelle conversazioni probabilmente non si sarebbe speso per la conferma di Napolitano al Quirinale: ecco, mi pare che siamo davanti alla prova regina o se preferisce alla pistola fumante che dimostra più di ogni congettura l’atteggiamento, e a questo punto le manovre, dell’allora presidente della Repubblica…».All’epoca Panorama strillò in copertina: «Ricatto al Presidente». Ma forse più che un ricatto ciò che tentò la Procura di Palermo, ovvero il deposito nel processo delle intercettazioni incriminate, con conseguente inevitabile diffusione, era un’operazione di trasparenza che non è stato possibile portare a termine. Forse lei e Ingroia, in quel momento, inconsapevolmente, stavate dalla stessa parte.«Lo scopriremo solo indagando su quello che se fossi ancora direttore di Panorama battezzerei come il Napolitano-gate».
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