2020-01-12
Ora la Cartabia fa l’amica del popolo e si prepara per la scalata al Colle
La neopresidente, che aspira a succedere a Sergio Mattarella, lancia un «maquillage democratico» della Consulta, aprendo alla società civile. Intanto il suo mentore Sabino Cassese invoca la bocciatura del referendum elettorale.Non è un mistero che, per Marta Cartabia, la presidenza della Corte costituzionale non sia un punto d'arrivo, ma di partenza. La giurista cinquantaseienne è comparsa più volte sulle cronache politiche: nuova «riserva della Repubblica», è stata indicata sia nel 2018, sia pochi mesi fa, nel mezzo della crisi del Conte 1, come papabile premier di un governissimo. Matteo Renzi stravede per lei: l'ha citata in un libro del 2017 e, all'ultima Leopolda, ne ha di fatto auspicato la nomina - poi avvenuta - al vertice della Consulta. Soprattutto, sono ottimi i suoi rapporti con Sergio Mattarella, alle spalle del quale sedeva alla recente prima della Scala di Milano. È considerata garanzia di continuità per la linea progressista ed europeista del Quirinale. In più, è una donna: carta che potrebbe tornarle utile in vista del 2022, qualora la maggioranza giallorossa fosse ancora in sella per eleggere il nuovo capo dello Stato e volesse mascherare un'operazione di Palazzo da mossa rivoluzionaria.Per fare politica, tuttavia, alla Cartabia manca qualcosa di fondamentale: il consenso, di cui fin qui ha potuto fare a meno. In questa chiave si può leggere il suo primo atto da presidente della Consulta: aprirla alla società civile. «Il nuovo articolo 4 ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale», si legge in un comunicato, «prevede che qualsiasi formazione sociale senza scopo di lucro e qualunque soggetto istituzionale, se portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione in discussione, potranno presentare brevi opinioni scritte» alle toghe supreme. Inoltre, la Corte ammetterà «la possibilità di convocare esperti di chiara fama, qualora ritenga necessario acquisire informazioni su specifiche discipline». Un maquillage democratico, che di sicuro rafforza l'operazione simpatia della presidente, cominciato con la pubblicazione, sul profilo Instagram ufficiale della Consulta, delle sue foto in mise da trekking, con un post che sottolineava la passione della Cartabia per «i Beatles e i Metallica». Il messaggio è chiaro: la giudice non si trincera dietro auto blu e scartoffie. È una di noi. Così umile da voler aprire le orecchie dei suoi colleghi anche ai contributi che arrivano da associazioni e luminari, in una fase in cui la Corte è al centro di una controversia che può avere effetti dirompenti persino sulla tenuta del governo giallorosso: quella sul referendum elettorale promosso dalla Lega, sull'ammissibilità del quale essa si pronuncerà il 15 gennaio.In realtà, la mossa della Consulta solleva diverse perplessità. Innanzitutto, sorprende che, nella questione più importante che la Corte costituzionale ha affrontato negli ultimi tempi - il fine vita - siano state proprio le «formazioni sociali senza scopo di lucro» a essere zittite. Per carità, la colpa non era dei magistrati della Consulta, bensì del tribunale di Milano, che sul caso Cappato rifiutò di ascoltare i giuristi cattolici del Centro studi Rosario Livatino, di recente ricevuti dal Papa. La Corte, allora, sta sconfessando la scelta dei giudici meneghini, dei quali però ha ammesso le obiezioni sull'incostituzionalità del reato di aiuto al suicidio? La questione è delicata: implica che ci si interroghi su quali criteri adotterà la Consulta per ammettere le associazioni interlocutrici. Ragionevolezza vuole che si opti per il pluralismo. Ma al di là della fiducia nella buona fede delle toghe, cos'altro assicura che la Corte non diventi terreno fertile per le martellanti campagne dei radicali?Il punto è che, al netto della retorica da amici del popolo, a decidere saranno - ovviamente - sempre i magistrati: stabiliranno loro chi ricevere e, soprattutto, a chi dare retta. Senza contare che il peso specifico delle singole voci cambia a seconda di chi sta parlando. Ad esempio, è evidente che sui vertici della Corte possa esercitare un influsso considerevole il giurista (e collezionista d'incarichi pubblici e privati) Sabino Cassese. Il king maker della Cartabia, sul Corsera di ieri, ha spiegato perché la Consulta dovrebbe respingere il quesito referendario sponsorizzato dal senatore Roberto Calderoli e avanzato da sette consigli regionali a maggioranza leghista. Il suo ragionamento, molto tecnico, rigira il dito nella piaga di alcuni difetti che effettivamente condizionano il progetto del Carroccio. Il referendum chiede di abrogare la parte proporzionale della legge elettorale esistente, il Rosatellum. Resterebbe in piedi un maggioritario puro, ma i collegi uninominali dovrebbero essere ridisegnati. Il testo di Calderoli rimanda a una legge di delega al governo, che però era stata scritta in occasione del taglio dei parlamentari: pertanto, la Corte costituzionale dovrebbe stabilire se, per riformare i collegi, sia legittimo ricorrere a una legge varata per uno scopo diverso (la riduzione del numero degli onorevoli) da quello del referendum leghista. Il nucleo dell'argomentazione di Cassese, comunque, è un altro: è l'idea che far decidere «la forma elettorale» alle persone sia una scelta «non saggia». In sostanza, il mentore della Cartabia suggerisce (fondate) obiezioni di merito per respingere un quesito referendario, ma il vero obiettivo rimanda al solito pallino tecnocratico: togliere la parola all'opinione pubblica, che da anni dimostra di preferire il maggioritario e però, secondo Cassese, non è abbastanza erudita per pronunciarsi, data «la complicatezza della materia». Alla faccia della partecipazione. Delle due, l'una: o la Corte costituzionale si apre alla società civile, o quello di coinvolgere i corpi intermedi resta, appunto, un maquillage.Un sì al referendum leghista potrebbe spingere i parlamentari che temono per la loro rielezione, resa più complicata dall'uninominale secco, a staccare la spina al governo per andare alle urne anticipate con il Rosatellum (incidendo peraltro pure sulla corsa al Quirinale). Idem, se venisse confermato il taglio dei parlamentari. Non a caso il Carroccio ha raccolto le firme mancanti per il referendum confermativo della riforma voluta asseme ai grillini: la consultazione manterrebbe in vita la legge delega sui collegi, che i leghisti hanno chiamato in causa per l'altro referendum, quello sul maggioritario. Confidano così di convincere la Corte ad ammettere il quesito; Pd e M5s sperano di neutralizzare il referendum, provando alla Consulta che hanno pronta una legge elettorale alternativa, il Germanicum. Chiaramente, un'implosione della maggioranza infrangerebbe i sogni della Cartabia per il Quirinale. Il 15 gennaio si vedrà cosa conta tra pressioni dei partiti, ambizioni personali e la volontà popolare.
L’amministratore delegato di Fs Stefano Donnarumma (Ansa)