2020-09-03
Ora Giuseppi può blindare i suoi nei Servizi
La riforma che tanto stava a cuore a Conte gli permetterà di fare rinnovi mirati dei vertici dell'intelligence per brevi periodi. Il premier potrebbe nominare un suo preferito affinché sia operativo anche quando arriverà un successore a Palazzo Chigi.Alle 16 di ieri è iniziata la chiama in aula per dire sì al decreto emergenza Covid. L'esito, praticamente scontato dopo che che martedì mattina il governo tramite il ministro Federico D'Incà ha posto la fiducia ancor prima che gli emendamenti venissero discussi, ha però lasciato degli strascichi politici non da poco. Ben 28 rappresentanti del Movimento non si sono presentati al voto. Un numero non sufficiente per cambiare il destino immediato del governo, ma abbastanza numeroso per creare un problema che non potrà essere nascosto sotto il tappeto. Il blitz ispirato da Giuseppe Conte aveva infatti due motivazioni. Evitare di far cadere il governo per mano della fronda grillina da addirittura 50 deputati e al tempo stesso evitare che venisse abrogata la norma inserita notte tempo proprio nel decreto emergenza con l'obiettivo di riformare nei fatti lo statuto dei nostri apparati d'intelligence. Il gruppo di 5 stelle (che vale un quarto dell'intero esercito grillino alla Camera) in un colpo solo sarebbe riuscito a mettere in crisi il trono di Conte e solo l'intervento a gamba tesa è riuscito a fermare la fronde. I costi saranno però altissimi. Innanzitutto, per la stabilità della maggioranza stessa per via della palese violazione delle prerogative del Parlamento. Ancora una volta sfregiato nella sue responsabilità soprattutto su una materia delicata quanto quella dei servizi segreti. E, secondo aspetto, a farne le spese saranno i vertici stessi della nostra intelligence che da oggi rischiano di trovarsi alla mercé del governo. Il comma 6 dell'articolo 1 del decreto sull'emergenza cambia di fatto in modo strutturale la legge che norma gli apparati di sicurezza e amplia in modo spropositato il ruolo della politica. O meglio, il ruolo dello stesso Conte che fin dal suo primo incarico con i gialloblù tiene saldamente tra le mani le deleghe ai servizi. Adesso con la scusa del Covid è riuscito a fare ancor di più. Il testo del decreto va a modificare un passaggio della legge 124 del 2007, considerata la bibbia statutaria delle agenzie di intelligence in quanto costruita con la partecipazione dell'intero arco parlamentare. Nel dettaglio, le parole «una sola volta» sono state sostituite da una frase più ampia: «Con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni». Tradotto, con la vecchia regola i vertici dei servizi venivano nominati di prassi per due anni e poi potevano essere rinnovati per una sola volta. Prima del governo Renzi, l'abitudine era nominare i direttori una volta per 4 anni e non effettuare rinnovi. La durata complessiva di un incarico poteva essere di otto anni totali, nella prassi (sempre rispettata dagli ultimi governi) tra incarico e rinnovo non si è mai andati oltre i quattro anni complessivi. Non un calcolo a caso, ma una scelta basata sull'equilibrio delle istituzioni democratiche. I direttori delle agenzie non potevano avere incarichi troppo brevi per permettere loro di svolgere serenamente gli incarichi e non potevano aver incarichi troppo lunghi per evitare che la durata superasse quella della singola legislatura. Adesso, invece, Conte potrà rinnovare più volte i capi dell'intelligence anche per brevi periodi di un anno e prima di andarsene potrebbe rinnovare un suo preferito affinché sia operativo anche quando arriverà un successore a Palazzo Chigi. Ciò non significa che il successore di Conte non sarà libero di fare spoils system, ma per cambiare i titolari delle agenzie avrà bisogno di una maggioranza forte. Cosa assolutamente non scontata, vista l'ipotesi concreta di un rimpasto senza voto. Scelta che se avvenisse metterebbe a repentaglio la carica di Conte ma non stravolgerebbe certo le alleanze tra Italia viva, Pd e appunto 5 stelle. È infatti in quest'ottica che va inquadrata la mossa di riforma delle nomine dei direttori dei servizi. C'è un primo livello di interpretazione che riguarda direttamente il potere del premier e le sue deleghe. Un secondo livello che riguarda il rinnovo del numero uno dell'Aisi, Mario Parente, e le pressioni da parte dell'area dei minnitiani e dei renziani. Il prolungamento dello status quo è l'obiettivo di una fetta di sostenitori di questo governo. Purtroppo fatta in questo modo la riforma è pessima. Il portavoce del premier, Rocco Casalino, ha tenuto a diffondere ormai un mese fa una breve nota nel tentativo di smentire l'articolo del Corriere della Sera che per primo ha fatto lo scoop sul blitz di fine luglio. Nella nota si spiegava che il mandato complessivo non potrà andare oltre gli otto anni e che tali limiti non sono stati modificati. Esatto. La smentita, alla luce di quanto è successo in Aula, è una doppia conferma. II tema non è mai stato questo. Anzi, ci mancherebbe fosse questo. L'accrescimento del potere politico non sta nel consentire periodi più lunghi, giacché vorrebbe dire muoverci come in Venezuela o Iran, dove i vertici dei servizi stanno in carica per periodi indefiniti se non spariscono nel nulla prima. Ma sta nella possibilità di fare rinnovi mirati per brevi periodi. Così si rischia di tenere in pugno figure istituzionali che meritano invece il rispetto che va riconosciuto a tutti i super partes.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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