2020-06-05
Open fiber in affanno insegue 450 milioni
Il consorzio Enel-Cdp per portare la fibra ottica in 3.000 Comuni ha bisogno di nuovi finanziamenti. Nel 2018 aveva ottenuto dalle banche 3,5 miliardi. Opinioni divergenti sulla rete unica e la trattativa con Tim. Si guarda a Iliad come partner per il fisso.L'obiettivo dell'allora premier Matteo Renzi era molto ambizioso: portare la banda larga in tutta Italia nel 2020, e connettere 3.000 Comuni alla fibra ottica entro giugno dello stesso anno. Quattro anni e mezzo fa era nato a questo scopo Open fiber, consorzio partecipato pariteticamente da Enel e Cassa depositi e prestiti, che si è successivamente aggiudicato, con un ribasso del 52%, i bandi da 2,7 miliardi di euro per la copertura con fibra ottica per le cosiddette «aree bianche», cioè le zone del Paese in cui la fibra ultralarga non è presente. Arrivati a giugno 2020, non solo l'obiettivo dei 3.000 Comuni connessi non è stato raggiunto, ma il consorzio sembra avere bisogno di nuovi finanziamenti. Nel nuovo piano Open fiber ha infatti annunciato un aumento di capitale da 450 milioni di euro, secondo le stime di Bloomberg. Fondi che, data la natura dell'azionariato di Open fiber, arriverebbero in buona parte dalle casse pubbliche: Cdp è infatti una società per azioni controllata dal ministero dell'Economia, lo stesso che detiene in Enel una quota del 23,6%.Il piano, approvato alcune settimane fa, estende la copertura della banda ultralarga alle «aree grigie» del Paese (quelle in cui il servizio di connessione in fibra ottica è presente o verrà sviluppato nel corso di tre anni da un solo operatore privato): per questo motivo, come ha spiegato Enel, «l'aumento di capitale segue un incremento dell'impegno di Open fiber che estende il suo raggio di azione, per Enel cosa da fare e che sosteniamo pienamente». Alla ricapitalizzazione si affiancherebbe una nuova linea di credito che dovrebbe portare nelle casse del consorzio 550-650 milioni di euro e per la quale Open fiber, secondo Il Sole 24 Ore, ha avviato i colloqui con Société générale, Bnp Paribas e Unicredit. Già due anni fa, nel 2018, Open fiber aveva ottenuto dalle banche 3,5 miliardi a titolo di project financing per il piano dell'implementazione della fibra ottica. Tra Enel e Cdp, entrambe concordi sull'aumento di capitale che si dovrebbero accollare per 225 milioni a testa, sembrano però esserci opinioni divergenti sul progetto della rete unica, che da tempo vede in trattativa Open fiber e Tim. «Ci sono tante reti in Italia: di Fastweb, di Tim. Sulla questione sono asettico, l'importante è che sia indipendente rispetto ai clienti e mai di un operatore», ha affermato Francesco Starace, amministratore delegato di Enel, a proposito di una rete unica replicando invece con un «perché no?» all'ipotesi che possa diventare proprietà dello Stato. Da parte sua, invece, Cassa depositi e prestiti - secondo azionista di Tim con il 9,9% - ha auspicato, «al fine di aumentare la competitività del sistema Paese», un «costruttivo confronto tra le parti coinvolte per la creazione di una rete unica nazionale in banda ultralarga che garantisca parità di accesso a tutti gli operatori, velocità, affidabilità, sicurezza e distribuzione capillare». Per la società guidata da Fabrizio Palermo «l'emergenza coronavirus ha reso ancora più evidente che per il Paese è necessario disporre di una rete di ultima generazione», un fatto che, secondo la Cassa, «conferma il valore della scelta strategica di Cdp, quando insieme a Enel ha creato Open fiber».Con la pandemia di coronavirus, che ha costretto milioni di italiani a lavorare e studiare da casa, sono appunto venute alla luce alcune importanti criticità del progetto Open fiber. Come ha rivelato una recente puntata di Report, in diversi Comuni d'Italia la fibra ottica non è ancora disponibile: secondo i dati forniti da Infratel, la società pubblica che ha il compito di attuare i piani della connessione a banda larga e ultralarga del governo, sui 3.000 Comuni che sarebbero dovuti essere connessi a giugno 2020 solo 69 sono stati collaudati, mentre altri 248 sono stati «autorizzati senza collaudo». Il progetto avrebbe, secondo l'ad di Infratel, Marco Bellezza, un ritardo di due anni sulla tabella di marcia. Open fiber ha replicato alla trasmissione Rai, fornendo aggiornamenti sullo stato di avanzamento dei lavori nei Comuni citati, e specificando che il nuovo piano prevede un ampliamento delle coperture, soprattutto nelle aree grigie, e un'accelerazione nelle aree bianche. Rimangono però dubbi sulla sostenibilità del business di Open fiber, che secondo vari osservatori avrebbe puntato eccessivamente al ribasso al momento di presentare le offerte per i bandi, mentre al momento il progetto della rete unica nazionale con Tim è ancora in stallo.E nel frattempo, a quanto si è appreso, Open fiber avrebbe avviato trattative per una partnership con i francesi di Iliad, che sarebbero intenzionati a entrare nel mercato della rete fissa italiana e a questo scopo starebbero valutando varie offerte, tra cui appunto quella del consorzio di Enel e Cdp.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)