Rallenta la crescita degli infetti: -16% in una settimana. Calano di poco gli ingressi in rianimazione. Il picco della variante è vicino e non c’entrano foglio verde né obbligo vaccinale (da febbraio): le ondate colpiscono e passano infischiandosene di norme e divieti.
Rallenta la crescita degli infetti: -16% in una settimana. Calano di poco gli ingressi in rianimazione. Il picco della variante è vicino e non c’entrano foglio verde né obbligo vaccinale (da febbraio): le ondate colpiscono e passano infischiandosene di norme e divieti.Ci stiamo avvicinando al plateau, il piano che dovrebbe assumere la curva dei positivi al Covid dopo l’impennata iniziale. Fuori dal linguaggio epidemiologico, per il terzo giorno di fila il numero dei contagi si è stabilizzato e l’incidenza scende gradualmente. Forse stiamo vedendo la luce al termine del tunnel, non certo grazie a super green pass o ad obblighi vaccinali. Ieri i test risultati positivi sono stati 184.615, con 11.609 contagi in meno rispetto al giorno precedente a parità di tamponi effettuati (rispettivamente 1.181.179 e 1.190.567) e un tasso di positività sceso in 24 ore da 16,5% a 15,6%. Rispetto a una settimana fa, i nuovi casi sono -15,9% e il tasso di positività è -18,9%. Gli accessi in terapia intensiva sono stati 156, -1 rispetto al saldo tra entrate e uscite. La cautela è d’obbligo ma i numeri stanno dando segnali chiari. Guardando l’andamento della media dei nuovi positivi calcolata su un intervallo di sette giorni (media mobile), la curva su base settimanale è in calo. Certo, se il dato è superiore a 1 vuol dire che i contagi sono in crescita, ma basta vedere come siamo passati da una media mobile di 2,55 del 4 gennaio a 1,9 il giorno 8, a 1,52 mercoledì 12, mentre ieri eravamo addirittura a 1,39. La media mobile riduce l’incidenza delle fluttuazioni e suggerisce che in tutto il periodo rappresentato i nuovi positivi tendono a diminuire. Significativo quello che sta accadendo in Lombardia, che dal 15 dicembre ha il maggior numero di contagiati in Italia ma che settimana dopo settimana sta registrando un calo di nuovi casi. Un rallentamento continuo: ieri erano +39.683 i casi rispetto ai +41.050 del giorno precedente e ai +45.555 di martedì, con un tasso di crescita giornaliero che è passato dai 3,54 del 9 gennaio a 1,31 il 10 gennaio, per scendere a 0,91 il giorno 11, a 0,80 il 12 e ieri ulteriormente abbassato a 0,75. Non è il momento di abbassare la guardia, ma possiamo pensare che sì, sta accadendo quello che gli studiosi seri hanno prospettato a breve termine, ovvero che dopo l’impennata dei casi e il rallentamento, con numero di infezioni complessivamente stabili, ci sarà la discesa dei contagi. Sta accadendo anche nel Regno Unito, certo colpito prima di noi dalla variante Omicron ma dove ieri le persone risultate positive erano 109.133, in calo rispetto alle 129.587 di mercoledì e con una diminuzione del 23,9% rispetto ai sette giorni precedenti. Un po’ in tutta Italia si registrano cali di nuovi casi giornalieri. Il Veneto è passato da 1,30 dell’11 gennaio a 0,99 di ieri. Nello stesso arco di tempo l’Emilia Romagna è scesa da 2,35 a 0,54; la Liguria da 4,48 a 1,86; la Toscana da 0,86 a 0,73; il Lazio da 1,36 a 0,73; la Puglia da 1,99 a 0,58; la Campania da 2,49 a 1,48; la Sicilia da 2,06 a 0,80. In altre Regioni la situazione è un po’ peggiorata, come in Piemonte o in Sardegna, ma complessivamente sembra che la corsa di Omicron abbia subito una frenata, preludio di un prossimo calo dei contagi. In questa situazione, essere oppressi da lasciapassare, da obblighi di tamponi e quarantene non aiuta a prepararsi ad accettare il Covid come un’influenza. Da non sottovalutare ma nemmeno da farci rinchiudere in casa aspettando che passi a forza di richiami vaccinali. Gli obblighi per gli over 50, che scatteranno tra più di due settimane, non serviranno a rallentare la frenata della variante sudafricana che già stiamo misurando dai monitoraggi giornalieri e settimanali. Sono misure liberticida quanto inutili, la rincorsa di un pugno di refrattari all’inoculazione non rovescerà la situazione e prima dell’entrata in vigore dell’obbligo, Omicron avrà dimostrato che non saranno stati i divieti assurdi a limitare il moltiplicarsi dei nuovi casi. Se la situazione oggi è sicuramente più rosea rispetto alla prima settimana di gennaio, è perché siamo sulla soglia di un periodo di transizione dopo il quale potrebbe diventare possibile vivere con il virus. Anche l’immunologo statunitense Anthony Fauci ha dichiarato che prima o poi tutti si contageranno con questa variante, ma ci potremo convivere. Bisogna farsene una ragione. «Abbiamo le condizioni per aprire con calma un dibattito a livello tecnico ma anche europeo per valutare la malattia con parametri differenti», ha sostenuto il premier spagnolo Pedro Sánchez, con un monitoraggio molto simile a quello in uso per seguire l’andamento influenzale. Nel nostro Paese, invece, ancora si è fermi a discutere della necessità di cambiare il bollettino dell’Istituto superiore di sanità, mentre milioni di persone asintomatiche sono obbligate a restare a casa, le aziende sono in difficoltà, i non vaccinati non hanno libertà di circolare e di godere dei propri diritti. In attesa che vengano definitivamente calpestati tra pochi giorni, quando Omicron (ce lo auguriamo) non farà più paura.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.






