Londra abolisce i test per turisti, il suo Cts esclude la quarta dose. Negli Usa gli esperti chiedono un piano per convivere col morbo.
Londra abolisce i test per turisti, il suo Cts esclude la quarta dose. Negli Usa gli esperti chiedono un piano per convivere col morbo.«Quando i fatti cambiano, io cambio idea». Ad agosto 2020 fu Mario Draghi a citare il motto pragmatista attribuito a John Maynard Keynes. Da quando Mr Bce si è insediato a Palazzo Chigi, a febbraio dello scorso anno, i fatti sono cambiati: la variante Delta del Covid sta venendo scalzata da Omicron, più contagiosa ma apparentemente meno aggressiva. Eppure, il suo governo non cambia idea. Anzi, persevera nell’escalation di divieti e discriminazioni, tentando di arginare l’inarrestabile. Il resto del mondo, invece, si è reso conto che lo scenario è mutato e che, a queste condizioni, non ha senso incaponirsi con le solite contromisure. Il Covid zero è morto, la «mitigazione» non sta affatto bene. È ora di battere un’altra strada.Prendiamo la Gran Bretagna. L’esecutivo di Boris Johnson, al netto di qualche comprensibile tentennamento, ha escluso nuovi lockdown, obblighi vaccinali e mini, super o mega green pass. Adesso, ha snellito la trafila dei tamponi per chi giunge sull’isola: prima ne servivano uno alla partenza e un altro, molecolare, allo sbarco in aeroporto. Da ieri, è sufficiente effettuare un test rapido entro due giorni dall’arrivo, senza mettersi in isolamento in attesa del referto. Il tutto, per la gioia del settore turistico. Risultato? La terra di Elisabetta sta piangendo meno morti di noi. scuole sempre aperteAnche negli Stati Uniti, benché la Casa Bianca insista sull’obiettivo di «sconfiggere il virus», monta il dibattito. Il Washington Post chiede di evitare la Dad, in un fondo dal titolo eloquente: «Omicron non è una ragione per tenere chiuse le scuole». L’autrice, Leana S. Wen, argomenta che non bisogna domandarsi «se le scuole sono “sicure”; concordiamo sul fatto che sono essenziali e poi lavoriamo per ridurre il pericolo che gli alunni tornino» alle lezioni a distanza. E se è un errore abolire ogni precauzione, «è altrettanto sbagliato affermare che le scuole non possano restare aperte, a meno che sia in atto ogni protezione». Il vecchio Draghi, quello di aprile 2021, avrebbe parlato di «rischio ragionato». Oggi, l’Italia è prigioniera di un lisergico ginepraio di regole sulle quarantene tra i banchi. Per dire: la Spagna, scrive El País, si limiterà a far scattare l’isolamento per tutti gli alunni quando in aula ci sono cinque contagi. Il New York Times, dal canto suo, sottolinea che quella dei richiami perpetui - e più volte l’anno - non è una «strategia di sanità pubblica praticabile»: «La spinta all’immunità è transitoria e alcuni studi preliminari stanno già mostrando una riduzione dei livelli di anticorpi a poche settimane» dalla terza dose. Meglio tentare altre «tattiche», ad esempio aspettare l’arrivo di vaccini «nasali o orali», che sono più capaci di schermare le mucose da cui penetra il Sars-Cov-2. Più in generale, la sensazione è che all’estero, pian piano, stiano superando l’illusione del vaccino sola salus. Sì alle punture, ma senza timore di immunizzazione naturale e terapie precoci.variante, ospite fissoAd esempio, Celine Gounder, infettivologa della New York University, citata dal quotidiano di Jeff Bezos, lamenta: «Credo che abbiano perseguito un approccio molto “vaccinocentrico”», anziché investire di più in «test, trattamenti» e altre forme di profilassi. Contemporaneamente, almeno sei ex consiglieri di Joe Biden invocano una svolta nel contrasto alla pandemia e sottolineano che, con Omicron che si appresta a diventare un ospite fisso, bisognerebbe rassegnarsi a una «nuova normalità», in cui si dovrà «convivere con il virus sopprimendone i picchi, anziché cercare di eliminarlo». Il fatto è che i Paesi occidentali affrontano l’ultima ondata con almeno una sicurezza: benché i preparati anti Covid abbiano mostrato giganteschi limiti nella capacità di bloccare la trasmissione del Sars-Cov-2, essi continuano a proteggere in modo soddisfacente dai sintomi gravi della malattia. Perciò Londra, ieri, ha confermato di voler intanto mettere in sicurezza la popolazione con la punturina di rinforzo; dopodiché, «le possibilità di finire ricoverati sono inferiori del 90%» rispetto a quando dominava la variante Delta. Ergo, booster eterni? Improbabile. Con un altro bagno di realtà, il Cts britannico esclude una quarta dose: priorità alla terza, che continua a prevenire ricoveri e decessi. Tanto basta: pragmatismo inglese, appunto. Frattanto, la Germania, sebbene preda di deliri rigoristi, valuta di sopprimere il tampone per i vaccinati.criteri da modificare Invero, dalle nostre parti non manca qualche barlume di buon senso. Un fan sfegatato del foglio verde, il governatore ligure Giovanni Toti, con la sua Regione sull’orlo dell’arancione, supplica di rivedere «i criteri per il conteggio dei positivi ospedalizzati. Oggi, infatti, sono considerati pazienti Covid anche coloro che vengono ricoverati per mille altre ragioni e, asintomatici, risultano positivi ai controlli di routine». Che il problema esista, lo conferma a Repubblica il presidente della Fiaso, Giovanni Migliore: stando al suo resoconto, «circa il 30% del totale dei ricoveri Covid» è costituito da «persone che magari entrano per un altro problema di salute e si scoprono positive». Matteo Bassetti suggerisce di liberare almeno i sanitari e altri lavoratori essenziali, oltre agli scolari e ai calciatori se sono asintomatici. Come si è sempre fatto con le influenze: sta a casa chi ha la febbre. Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani, ribadisce che «il virus sembra avere sempre più i connotati di una malattia stagionale endemica», attenuata. Alla fine, sarà giustificabile solo la messa di sicurezza di anziani e fragili. Persino tra gli uomini di governo si apre qualche crepa. Ieri, ad Agorà, su Rai 3, Guido Rasi, consigliere del generale Francesco Paolo Figliuolo, ha ammonito: «Dobbiamo rapidamente convertirci allo scenario Omicron». E per attutire l’onda d’urto, serve una «forte riflessione sulle terapie domiciliari per preservare gli ospedali» (alla buonora!). Il salvifico obbligo vaccinale per over 50? «Tra una persona che ha 49 anni e 6 mesi e una che ne ha 50 non ho capito come il virus discrimini». Non l’ha capito nessuno. Basta che gli epigoni di Keynes capiscano il prima possibile ciò che il resto del globo sembra aver colto in aticipo: i fatti sono cambiati. Che ne dite, allora? Cambiamo idea?
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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