
Nuovo processo d’appello per l’ex comandante dei carabinieri, la moglie e il figlio Marco, accusati di aver ucciso la ragazza.Sembrava finita. Invece, dopo 24 anni, la vicenda giudiziaria legata alla morte di Serena Mollicone, trovata priva di vita in un boschetto di Arce, tornerà in un’aula di tribunale. I giudici della Cassazione hanno disposto un nuovo processo di appello, davanti ai giudici della Corte d’assise d’appello di Roma, accogliendo l’istanza della Procura generale contro l’assoluzione dell’ex comandante della caserma dei carabinieri del paese in provincia di Frosinone, Franco Mottola, della moglie Anna Maria e del figlio Marco, accusati dell’omicidio della ragazza avvenuto il 1° giugno del 2001. I giudici della prima sezione hanno, quindi, recepito la richiesta del pg che nel corso della sua requisitoria ha sostanzialmente demolito la sentenza emessa dai giudici di secondo grado della Capitale che nel luglio del 2024 hanno fatto cadere, così come nel primo grado a Cassino, le accuse per tutti gli imputati. Visibilmente commossa Consuelo, la sorella di Serena, sempre presente a tutte le udienze dei processi. «Il mio pensiero», ha commentato, «va a mia sorella, che non rivedrò più nella mia vita così come mio padre. Noi confidiamo nella giustizia che attendiamo da 24 anni. Da oggi abbiamo speranza».Dal canto loro Franco e Marco Mottola hanno lasciato il Palazzaccio senza parlare. «Sto bene», ha tagliato corto l’ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce mentre i difensori si sono limitati a dire che attenderanno «di leggere le motivazione per poi fare le valutazioni del caso». Nel corso della requisitoria il rappresentante dell’accusa, riferendosi alla sentenza di appello, l’ha definita «viziata da plurime violazioni di leggi» con una «pluralità di indizi non valutati in maniera unitaria». Una pronuncia «totalmente carente» che nel ricostruire quanto avvenuto oltre 20 anni fa lo ha fatto con «atteggiamento pilatesco», omettendo «di motivare sulla presenza di Mollicone quella mattina nella caserma di Arce». La sentenza di secondo grado, in 50 pagine, aveva ribadito l’inesistenza di elementi a carico della famiglia Mottola, accusata di avere ucciso la liceale di 18 anni scomparsa da Arce il primo giugno e trovata morta tre giorni più tardi nel bosco Fonte Cupa della vicina Monte San Giovanni Campano. La svolta che aveva portato ai due processi per i Mottola stava nelle dichiarazioni rese nell’inchiesta bis dal brigadiere Santino Tuzi, poi trovato morto nella sua auto. «Suicidio», sentenziarono i magistrati. Ma la Corte d’appello di Roma, esattamente come la Corte d’assise di Cassino, afferma che le sue dichiarazioni sono confuse, generiche, ritrattate, rese sotto pressione «non dandogli la possibilità di dare una versione alternativa dei fatti nonostante Tuzi tentasse di farlo [...]. Due volte fornisce una tesi che finisce per accrescere i dubbi sulla credibilità della persona».E ieri proprio la figlia del brigadiere morto sucida, Maria Tuzi, ha commentato la decisione della Cassazione: «Mi sono commossa appena l’ho saputo, mi sono dovuta sedere».Secondo l’ipotesi dell’accusa, Marco Mottola voleva evitare che Serena lo denunciasse perché spacciava droga. Da qui l’aggressione e il violento colpo contro una porta della caserma. La Corte aveva però ritenuto «evanescente» il movente a fronte «di un compendio probatorio insufficiente e contraddittorio». Una ricostruzione non sufficiente, però, a scrivere la parola fine sul giallo di Serena. La parola ora torna ai giudici di appello, che dovranno valutare di nuovo il lavoro svolto dalla Procura di Cassino, all’epoca guidata da Luciano D’Emmanuele. Secondo l’ipotesi degli inquirenti il suicidio del brigadiere Tuzi (nell’aprile 2008) sarebbe stato spinto dalle pressioni per il pesantissimo segreto che custodiva (aver visto Serena entrare in quella caserma la mattina della sua scomparsa in un orario che in modo inquietante coincide con l’ora dell’omicidio). A collegare il caso Mollicone alla misteriosa morte del brigadiere Tuzi c’è anche un filmato girato da una tv privata il giorno del ritrovamento del corpo senza vita del militare. Nel video si sente un amico del brigadiere, Marco Malnati, che è anche padrino di battesimo dei suoi figli, gridare: «L’avete ammazzato voi, sapeva troppe cose sull’omicidio di Serena». Un particolare che fa il paio con il verbale sottoscritto dal brigadiere solo qualche giorno prima in Procura: «Ho visto Serena Mollicone entrare in caserma alle 11 del mattino dell’1 giugno 2001 e fino a quando sono rimasto in servizio, erano le 14.30, non l’ho vista uscire». Una dichiarazione clamorosa. Pochi giorni dopo questa deposizione, però, il brigadiere viene ritrovato senza vita. Una delle pietre angolari sulle quali la Procura ha sempre ritenuto di aver poggiato l’inchiesta. La svolta ha due tappe fondamentali: una risale al 2010, con il deposito di una perizia della grafologa-criminologa Sara Cordella che ha dato una lettura diametralmente opposta al caso Tuzi. L’altra è del 2017, con il deposito di uno studio dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo sul cadavere di Serena, nel frattempo riesumato. Dalle analisi è emersa una ferita sull’arcata sopraccigliare della vittima che non era mai stata presa in considerazione e che è stata messa in relazione con una lesione su una porta della caserma. E che ora il nuovo processo dovrà rivalutare.
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