2019-07-25
Oltraggi alla memoria e soldi negati: Marchionne ripudiato dagli Agnelli
A un anno dalla morte i parenti del manager Fiat, licenziato in fin di vita, sono ancora a bocca asciutta I bonus maturati sono spariti grazie a freddi cavilli burocratici mentre nel gruppo la parola d'ordine è discontinuità. Non si spiega altrimenti la nomina di una cigiellina come l'ex ministro senza laurea Valeria Fedeli. E neppure quella del marito di una ex pornostar.Povero Sergio Marchionne, soltanto un anno dopo. L'altro giorno ad Amatrice, Sergio Mattarella, John Elkann e il sindaco hanno inaugurato un complesso scolastico da 10 milioni, di cui 6,5 donati dalla Ferrari per volontà di Marchionne subito dopo il terremoto del 2016. Il preside ha proposto di intitolare l'opera al manager scomparso. Ma non se n'è ancora fatto niente, John non ha colto la palla al balzo insistendo sul tema, e si è limitato a dire: «Crediamo molto nel valore dell'istruzione che è parte fondamentale dell'impegno sociale della Ferrari». Peccato che non corrisponda alla realtà. A proposito di cultura, infatti, uno dei primi episodi concreti che dimostrano quanto non sia stata onorata la memoria di Marchionne, anzi sia stata «sfregiata», riguarda la sua sostituzione nel cda della fondazione Giovanni Agnelli, istituto di ricerca nel campo delle scienze sociali. Al posto dello scomparso, John ha nominato nientemeno che l'ex ministro dell'Istruzione, Valeria Fedeli, la ex sindacalista della Cgil e contestatissima esponente del Pd, diventata famosa per lo scandalo della laurea da lei dichiarata, ma mai conseguita (in realtà i titoli di studio erano un diploma triennale di scuola magistrale e uno di assistente sociale). Elkann, oltre a scegliere cotanta «personalità del mondo della cultura italiana», evidentemente ha dimenticato le furibonde battaglie della Cgil contro Marchionne e ha voluto «rimediare» facendo sedere una loro ex esponente accanto alla vicepresidente Tiziana Nasi, ad Anna Agnelli (la sorella di Andrea, presidente della Juventus), Tancredi Campello della Spina, Simone Avogadro di Collobiano, Gianluca Ferrero, Giorgio Barba Navaretti, Francesco Profumo e Salvatore Rossi. Costoro non provano qualche imbarazzo? Adesso c'è da sostituire il defunto Gianluigi Gabetti: chissà chi sceglierà John. Forse Maurizio Landini, l'ex segretario dei metalmeccanici della Cgil? Un secondo «sfregio», ben più concreto, riguarda parecchi milioni di euro di bonus non riconosciuti a Marchionne, e ai suoi eredi, poiché - essendo morto - egli non era più presente in azienda come prevede il contratto. Non aveva importanza il fatto che fosse defunto e nemmeno che avesse contribuito in modo determinante a raggiungere i risultati grazie ai quali il bonus era maturato a favore anche di altri dirigenti. Lettera 43 spiega bene l'accaduto. Ogni anno Fca prevede che, qualora vengano centrati gli obiettivi prefissati, almeno per quanto riguarda l'utile netto, i top manager incassino cospicui bonus. Ciò è avvenuto anche per il 2018 escludendo però sia il defunto che il suo collaboratore Alfredo Altavilla: infatti è previsto che il premio venga incassato solo da chi ancora lavora in azienda nel momento in cui viene certificato il raggiungimento degli obiettivi. In questo caso, non più tardi del 15 marzo 2019 per il periodo di riferimento che si è chiuso il 31 dicembre 2018. Secondo gli accordi che Lettera 43 ha visionato, c'era la possibilità che gli eredi di Marchionne potessero incassare il bonus solo qualora il loro papà avesse «differito» la propria morte a un periodo tra la fine del periodo di riferimento per il calcolo degli obiettivi (31 dicembre 2018) e la data in cui l'azienda certifica l'effettivo raggiungimento di essi, cioè entro il 15 marzo 2019. Sergio Marchionne è morto il 25 luglio 2018. Di che cifra si tratta? L'anno prima, come premio per i risultati raggiunti nel 2017 Marchionne aveva ricevuto 2,8 milioni di azioni di Fca, con un valore di Borsa, allora, intorno ai 42 milioni di euro. L'anno dopo aveva maturato altri 6 milioni di euro. La beffa per gli eredi è che proprio grazie al duro lavoro e alle capacità di Marchionne, nell'arco di quattro anni, era stato ottenuto il raggiungimento dei premi. L'obiettivo fissato era che, tra il primo gennaio 2014 e il 31 dicembre 2018, l'azienda raggiungesse un utile netto di 11,9 miliardi e, ancor più difficile, almeno il quarto miglior ritorno per gli azionisti prendendo come media il valore degli undici titoli del settore (cioè Volkswagen, Toyota, Daimler, General Motors, Ford, Honda, Bmw, Hyundai, Psa Peugeot, Citroen, Renault). Prima di arrivare alla fine del piano erano previsti obiettivi intermedi che garantivano parte del bonus già nel 2017 per i primi tre anni (inizio 2014-fine 2016) e poi nel 2018 per i risultati raggiunti nel 2017. È soprattutto grazie a Marchionne che l'utile netto del 2018 si è aggirato intorno ai 5 miliardi, andando ad aggiungersi a quello cumulato negli anni precedenti, cioè 6,3 miliardi. Si arrivava così a 11,3 miliardi, molto vicini all'obiettivo di 11,9 che, c'è da giurarci, con Marchionne in vita si sarebbe raggiunto. Il suo lavoro, dunque, non è stato nemmeno riconosciuto tangibilmente. Come scrive Automotive News, nel rapporto 2018 di Fca è scritto: «Ai sensi del contratto di lavoro del signor Marchionne, nessun premio verrà corrisposto per l'anno di performance 2018 e un premio di incentivo a lungo termine pro rating di 1.561.165 unità spetterà nel 2019 se le condizioni di maturazione delle prestazioni saranno considerate soddisfatte dal comitato di compensazione (al prezzo medio di gennaio 2019 di 16,10 dollari per unità, il valore stimato di queste unità sarebbe di 25.134.756 dollari)». Secondo il rapporto annuale di Cnh industrial invece «rispetto al premio concesso nel 2014, la rata finale di 450.000 azioni è stata conferita il 25 luglio 2018, in base ai termini del suo contratto di lavoro che specificava la prosecuzione del piano in caso di morte». Alla luce di questi fatti, la decisione di Enrico Altavilla di dimettersi, perdendo simili bonus, assume un significato ancora maggiore.Il terzo «sfregio» a Marchionne riguarda la scelta dei suoi successori. Su Mark Manley sembrava non esserci nulla da dire fino a che è filtrata la notizia che egli aveva venduto il pacchetto delle sue azioni Fca nel momento chiave della trattativa con Renault, e quindi al massimo della quotazione prima che l'accordo saltasse. Tale vendita è stata interpretata dal mercato come un segno di sfiducia verso la propria azienda insieme alla certezza che la trattativa sarebbe sfumata. La vendita delle azioni da parte di Manley significa anche che egli ha approfittato delle informazioni privilegiate in suo possesso? Vale a dire: conoscendo in anticipo l'esito negativo della trattativa e quindi l'inevitabile caduta del titolo, si è disfatto delle azioni della società per cui lavora cercando di guadagnare di più?Anche sulla scelta del successore di Marchionne al vertice della Ferrari, si è andati in direzione opposta proprio al valore cui lo scomparso attribuiva grande importanza: la «reputation», la reputazione, specie per una società quotata negli Stati Uniti. Era stato in nome di questo che, alla fine del 2016, c'era stato un duro contrasto tra Marchionne e John per ottenere le dimissioni del suo «impresentabile» fratello, Lapo, dal cda di Ferrari Nv dopo lo scandalo del suo arresto a New York nella poco commendevole vicenda del finto sequestro e del festino a base di coca e trans del novembre 2016. In base alle norme di un rigoroso codice etico aziendale, che dovrebbe valere per tutti i dipendenti e in primis per gli amministratori, Marchionne era preoccupato per l'imbarazzo che la presenza di Lapo provocava specie negli altri membri del consiglio, oltre a lui e John e Piero Ferrari: e cioè Delphine Arnault, vicepresidente di Louis Vuitton, la professoressa Giuseppina Capaldo, il cavaliere del lavoro Elena Zambon, Eddie Cue di Apple, Maria Patrizia Greco di Enel, Sergio Duca, Adam Keswick di Rotschild & Co.In seguito, Lapo è stato estromesso «silenziosamente» e John per agevolarne l'uscita gli ha finanziato con 2,5 milioni la sua traballante Italian independent. In nome della «reputation», ben altro trattamento aveva subito un altro componente del cda Ferrari, Lee Jae yong, vicepresidente di Samsung electronics, nonché erede della famiglia fondatrice della prima conglomerata sudcoreana. Fu subito dimissionato dopo che, nel gennaio 2017 venne arrestato e condannato a cinque anni per corruzione (una tangente da 36 milioni), falsa testimonianza, appropriazione indebita e trasferimento illegale all'estero di beni sociali. Jae yong, che oggi è libero poiché gli è stata dimezzata la pena, aveva dovuto anche lasciare il cda di Exor dove era entrato nel 2012. In quanto a «reputation» anche il successore di Marchionne come ad di Ferrari Nv, Louis Carey Camilleri, ha in famiglia un piccolo problema. Niente da dire sul suo curriculum alla Philip Morris e sul suo background professionale, ma c'è un aspetto etico non secondario che riguarda sua moglie. Per carità, le colpe o i comportamenti delle consorti non devono ricadere sui mariti, ma ci sono casi in cui le caratteristiche della propria consorte possono riverberarsi sull'uomo che ha scelto di sposarla, specie se egli ha una posizione di alto rilievo. In sostanza accade ciò che Dagospia ha sintetizzato così: «Camilleri porta in dote a Maranello quel gran pezzo di sua moglie, la cinquantenne americana Natalie Oliveros», meglio nota «con lo pseudonimo di Savanna Samson, pornodiva che ha calcato (e cavalcato) i set di mezzo mondo dal 2000 fino al 2013». La stessa signora Oliveros-Samson ha raccontato come iniziò la carriera: «Il mio primo film lo girai per gioco: il mio ex marito desiderava sposare una pornostar e, prima del matrimonio, decisi di accontentarlo con un bel regalo di nozze. Ho scritto una lettera a Rocco Siffredi. Andai a Parigi e girai un film solo per me e il mio sposo: Savanna meets an american angel in Paris (Savanna incontra un angelo americano a Parigi). È stato nominato miglior film straniero agli Avn awards. La casa di produzione Vivid Entertainment mi ha offerto un contratto che non potevo rifiutare. Ho lavorato con loro dieci anni». Ora la signora Camilleri è passata dalle luci rosse a un rosso di sfumature più nobili, il Brunello di Montalcino. Si è trasferita in Val d'Orcia in Toscana, e ha aperto un'azienda enologica, La Fiorita, in cui produce il famoso vino. Mentre sullo sfondo riecheggia un'intervista di Rocco Siffredi su di lei: «È una che sc… forte. Stiamo parlando di una donna estremamente furba, diciamo così, estremamente manipolatrice, pazzesca, e le piace molto l'uc…».Non c'è che dire: i posti lasciati vacanti da Marchionne sono stati assegnati senza molto riguardo per chi li aveva così prestigiosamente occupati dando risultati eccellenti. Ma c'è una circostanza raccontata da buone fonti che conferma un altre episodio, non solo quello legato al fatto che John Elkann conosceva da tempo le reali condizioni del malato, entrato in coma il giorno dopo l'intervento chirurgico a Zurigo e cioè ben 21 giorni prima della morte, e ha colpevolmente taciuto la verità agli azionisti per timore di un crollo dei titoli. Qualche esperto di diritto societario si è posto il problema: come è stato tecnicamente possibile rimuovere in poche ore il 21 luglio, quattro giorni prima che morisse, Sergio Marchionne da ad di Fiat Chrysler Automobiles Nv, da ad di Fca Italy, da ad e presidente di Fca Us, da presidente di Cnh industrial Nv e di Ferrari Nv, da presidente e ad di Ferrari Spa, e infine da vicepresidente di Exor Spa? Dato che non esistevano le sue lettere di dimissione da quegli incarichi, poiché non aveva avuto tempo e modo di scriverle prima di essere operato, dato che non si era mai svegliato dopo l'operazione, e dato che non si era in presenza di un documento ufficiale che ne attestasse la morte o la sopravvenuta incapacità (nessun medico si sarebbe assunto la responsabilità di stilarlo), quale motivazione o atto ha consentito di nominare altre persone nei posti che occupava? C'è una sola motivazione: si è proceduto alla «revoca» di Marchionne. Con quale motivazione? «Giusta causa», una sorta di vero e proprio «licenziamento» per nascondere la realtà dei fatti. Sapevano, ma hanno fatto finta di non sapere, che fosse moribondo, in coma da settimane, e non hanno nemmeno aspettato la sua morte. Anche se in quelle ore Fca non può scrivere qual è la «giusta causa» e nemmeno nascondersi dietro un generico «cattive condizioni di salute» poiché non è in possesso di alcuna certificazione che attesti quel che sta accadendo a Zurigo. Questo tipo di «risoluzione del rapporto di lavoro» ovviamente comporta grosse conseguenze negative per gli eredi anche dal punto di vista delle indennità che spettano al top manager scomparso. Ed è uno dei punti su cui l'avvocato svizzero di Alessio Giacomo, 30 anni, e Jonathan Tyler, 25, i due figli di Marchionne, sta dando battaglia nel complesso calcolo dei conteggi di quanto Elkann deve ai due ragazzi. E di quanto offre per ricomprare la montagna di azioni della galassia Fca che il padre aveva in portafoglio. La base per calcolare la sua liquidazione sono gli emolumenti annui: 3,5 milioni di compensi ordinari, più un premio variabile di circa 6,1 milioni derivante dai risultati raggiunti. Secondo l'ufficio studi di Mf, gli ultimi suoi compensi erano stati: 9,6 milioni (2017), 9,9 (2016), 10 (2015), 15,2 (il record nel 2014). C'è poi da aggiungere l'assegnazione gratuita di azioni della società o delle aziende del gruppo. Marchionne aveva titoli Fca per oltre l'1% del capitale, più altre decine e decine di milioni di euro di patrimonio finanziario derivante da Cnh e Ferrari. Solo le azioni Ferrari che potrebbero andare agli eredi ammontano a 81 milioni di euro. In totale, un patrimonio molto superiore a 500 milioni di euro, secondo altri vicino a 800-1.000 milioni tenendo contro dei titoli extra Fca che egli possedeva.Su questo fronte, purtroppo, Marchionne non ha fatto le cose a puntino proprio perché non pensava di poter morire così presto. Non c'è testamento. Non risulta il divorzio dalla moglie Orlandina, da cui era ormai separato da molto tempo. Manuela Battezzato, la compagna degli ultimi sette anni, non può vantare alcun diritto dato che il loro matrimonio a Reno nel Nevada non è stato trascritto in Italia. Tutto quindi prenderà la via di Zug, il cantone svizzero dove abitano Orlandina e i due figli, su cui pioveranno quasi 1 miliardo di euro. Manuela ha perduto la casa dove abitavano a Torino poiché Exor l'ha subito sfrattata. E non ha rinunciato al suo posto di lavoro all'ufficio comunicazione di Fca e ai 3.200 euro di stipendio mensile. L'atmosfera intorno a lei, ovviamente, è cambiata. Ed è venuta meno anche la sua arma più efficace: svelare la verità sull'ultimo mese di sofferenze di Sergio, raccontare che John naturalmente sapeva da tempo e che dal 26 giugno al 25 luglio era stata allestita, non per colpa di lei, una indecorosa «sceneggiata» al solo scopo di evitare ripercussioni sul valore delle azioni. Sono bastate solo due settimane dalla morte di Marchionne per dare la misura di quanto egli «valesse»: più di 8 miliardi di euro. Fu il prezzo pagato in Borsa dalla galassia Agnelli da quel drammatico 21 luglio quando John procedette in tutta fretta alla sostituzione di Marchionne. L'indomani della notizia della morte, Fiat Chrysler, Ferrari ed Exor avevano perso 2,3 miliardi di euro. Nei giorni successivi il calo era proseguito: la capitalizzazione di Fiat Chrysler era scesa di 4,384 miliardi rispetto al 20 luglio (da 25 a 21 miliardi di valore), Ferrari aveva lasciato sul terreno quasi 3 miliardi di euro, Exor più di 650 milioni. Manuela è l'anello debole cui sono state attribuite tutte le «colpe» per non aver informato i vertici aziendali, per non aver fatto prevalere i suoi doveri e il suo ruolo di dipendente Fca rispetto a considerazioni di tipo sentimentale o «familiare». I vertici invece sapevano tutto. Chissà se Manuela un giorno parlerà e svelerà anche chi fu a convincere Sergio che bastava del cortisone e un intervento chirurgico di routine per risolvere quei forti dolori alla spalla di cui soffriva da tempo e che rendevano difficili i movimenti del braccio. Perché Marchionne non aveva creduto alle parole del famoso oncologo milanese che, nel gennaio 2018, dopo averlo visitato gli disse: «Lei ha una grave malattia: il tumore di Pancoast. Ha colpito l'apice del suo polmone destro, è a uno stadio molto avanzato e irreversibile. Mi ha chiesto di dirle la verità: se è fortunato le resta un anno di vita, forse qualcosa in più. Ma il suo destino, purtroppo, è segnato. Le consiglio di non farsi operare. È un intervento molto difficile, sono rarissimi i casi di riuscita seguiti purtroppo da una successiva crescita di nuove cellule tumorali. Quando si cerca di rimuovere chirurgicamente l'apice superiore del polmone c'è il rischio elevato di intaccare strutture vitali come i nervi o la colonna vertebrale. Se ciò dovesse accadere lei avrebbe di fronte o la morte o vita vegetativa per quel poco di tempo che le resterebbe. Da questa malattia non si guarisce, non c'è alcun rimedio. A meno che lei non creda ai miracoli…». L'illustre primario del grande centro ospedaliero fece anche notare al paziente alcuni sintomi visibili esteriormente specie sulla parte destra del corpo quella più vicina all'apice del polmone colpito dal tumore: il rigonfiamento del viso, in particolare della guancia destra, l'abbassamento della palpebra destra con la difficoltà di tenere gli occhi bene aperti, il restringimento della pupilla con diminuzione della vista. Oppure colpi di tosse, rigonfiamento delle vene del collo, difficoltà di far uscire le parole con la consueta sicurezza. Lo si vede nelle ultime immagini di Marchionne il 26 giugno, prima che scomparisse dalla luce dei riflettori. E pensare che egli amava questa citazione di Montesquieu: «I leoni hanno una grande forza, ma sarebbe inutile se la natura non avesse dato loro gli occhi».
Jose Mourinho (Getty Images)