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Sarah Dzafce (Ansa)
La partecipante finlandese, durante la kermesse in Thailandia, osa farsi uno scatto mentre con le dita mima gli occhi a mandorla. Viene espulsa dalla manifestazione e privata del titolo nazionale, i politici woke la impallinano. Domanda: se avesse sfottuto i russi?
L’idiota globale ha colpito ancora, con la sua stupidità militante e intollerante. È una storia che merita di essere raccontata proprio perché nasce e ruota intorno a un fatto insignificante che meritava di non essere nemmeno accennato. È successo in Thailandia, anzi in Finlandia, in realtà è accadutonel non-luogo globale dei social e poi si è ripercorso nel mondo, da Oriente a Occidente. L’ho appreso da Paolo Valentino del Corriere della sera. State a sentire.
La protagonista è Miss Finlandia, una ragazza di ventidue anni dal cognome impervio, Sarah Dzafce, incoronata lo scorso settembre regina di bellezza finlandese e nei giorni scorsi detronizzata, privata del titolo ed espulsa da Miss Universo, che si stava svolgendo in Thailandia.
Che avrà fatto mai, per ritirarle addirittura la patente di Miss Finlandia e cacciarla da Miss Universo? Avrà commesso crimini contro l’umanità, avrà stuprato e ucciso qualcuno o avranno perlomeno dimostrato la sua corruzione, abuso di minori, insomma qualcosa di grave, direte voi. Peggio, signori, peggio. La ragazza mentre era in Thailandia per il concorso ha postato sui social una foto nella quale si tirava gli occhi con le dita, mimando gli occhi a mandorla degli orientali. Ma vi rendete conto che cosa tremenda, che gesto ripugnante e razzista? E non contenta, ha scritto pure una didascalia di chiaro stampo razzista: «Mangiare con un cinese». Apriti cielo. L’Asia intera è insorta per l’insolente gesto di disprezzo e di irrisione: cinesi, giapponesi e coreani per la prima volta uniti, come non succede mai in politica estera, hanno protestato compatti e sdegnati per l’atto violento e razzista della ragazza, forte della sua bellezza da miss e della sua presunta superiorità razziale nordico-europea. Ma l’idiota, dicevamo, è globale e anche virale, innesca una serie di reazioni a catena: la compagnia aerea che batte bandiera finlandese, la Finnair, si è dissociata dal folle gesto della ragazza (la prossima volta torni a piedi in Finlandia) e l’organizzazione del concorso di Miss ha spodestato la Dzafce dal suo trono di reginetta, chiamando al titolo la prima delle non elette, e promettendo al mondo intero, rimasto scioccato dal gesto razzista della ragazza, che d’ora in poi si procederà più seriamente all’educazione preventiva delle candidate miss. Educazione seria, magari come si faceva ai tempi della rivoluzione culturale maoista, quella che costò qualche decina di milioni di morti al popolo cinese. Ma la storia, come dice Marx, si ripete la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.
Peraltro, l’infame ragazza razzista che ha compiuto l’insano gesto, a sua volta è impura, perché ha origini kosovare, dunque non è nemmeno una finnica o ugro-finnica doc, ma discende da una famiglia di immigrati dal sud.
Ma a conferma che l’idiota globale è davvero universale e trasversale, c’è stato uno strascico ulteriore e istituzionale all’incresciosa vicenda che ha fatto inorridire il mondo. Il premier conservatore finlandese, Petteri Orpo, ha condannato il gesto della maledetta xenofoba, come «scriteriato e stupido», suscitando a sua volta la reazione dell’estrema destra finnica, che appoggia il suo governo, che ha invece solidarizzato con l’ex-Miss, postando foto che ripetevano l’insano e folle gesto degli occhi a mandorla mimati e addirittura facendo il verso alle campagne per le vittime del terrorismo: Je suis Sarah. Riapriti cielo: interviene pure la sinistra, che si era sentita stranamente esclusa da questo festival della stupidità woke, di cui di solito è protagonista assoluta, e alti esponenti del Partito socialista hanno denunciato la campagna di odio dell’estrema destra coi loro offensivi occhi a mandorla, in segno di disprezzo somatico e razzista. Non contento di tutto questo polverone, il presidente del consiglio di Helsinki, il sullodato Orpo, se l’è presa coi suoi alleati giudicando le loro manifestazioni «dannose per la patria». Alto tradimento, insomma. Un dramma a catena, che da noi si sarebbe chiamata sceneggiata napoletana o meglio scemeggiata, scaturito da un gesto infimo e infantile, di quelli che si fanno da quando esiste il mondo.
Piccolo dubbio incidentale: ma se la sciagurata anziché prendere in giro gli occhi a mandorla avesse preso in giro, che so, la faccia dei russi o la loro cadenza, mimandola in un post, sarebbe stata accusata lo stesso di crimini contro l’umanità oppure no, sarebbe diventata una specie di icona dell’Unione europea e di eroina contro il Male putiniano?
E noi qui a preoccuparci che l’Intelligenza Artificiale avanza e sta prendendo il posto dell’Intelligenza Umana. Non preoccupatevi, il posto è vacante da un pezzo. Di che vi preoccupate, se la stupidità ideologica ha già ampiamente espiantato il cervello e neutralizzato l’Intelligenza umana e domina incontrastata nei consessi globali?
Torno alla realtà e mi chiedo quante volte noi, non solo da bambini, abbiamo fatto il gesto di mimare gli occhi a mandorla o le maniere orientali, quante volte abbiamo scherzato sulla varietà del mondo e dell’umanità. Gesti semplici, innocui, al di sotto dell’intelligenza e della stupidità, semplicemente giocosi e fatuamente innocenti. Ma perché fare gli occhi a mandorla sarebbe un crimine contro l’umanità o un atto di razzismo? Qual è la carica dispregiativa in un gesto del genere?
Alla fine di questo articolo dedicato all’Idiota globale avrei voluto dirvi che era tutto uno scherzo, ce lo siamo inventati di sana pianta, era solo una caricatura del mondo woke, una goliardata. Invece no, è tutto vero. Pensate a che punto è arrivata la demenza planetaria da superare perfino una sua possibile caricatura. Il mondo sarà seppellito non da una bomba atomica o da un disastro astrale o ambientale, ma da un’epidemia di stupidità che ci farà perdere la realtà, l’intelligenza e il buon senso. Non ci sarà bisogno dell’Apocalissi o dell’Angelo sterminatore, basterà un battito d’ali dell’imbecillità e il mondo imploderà, tra le risate degli dei.
Gli scontri tra gli attivisti in corteo del centro sociale Askatasuna, sgomberato stamani, e la polizia, Torino 18 dicembre 2025 ANSA/Alessandro Di Marco
A Torino la violenza rossa era tollerata. Lo sgombero è arrivato perché gli antagonisti hanno toccato il «giornale sbagliato».
Per sgomberarli ci è voluto l’assalto alla redazione della Stampa. Perché, triste ma vero, è probabile che, senza l’aggressione al quotidiano diventato da qualche anno un tempietto cartaceo della sinistra italiana, i compagni di Askatasuna sarebbero ancora sereni nel loro stabile occupato a Torino. Invece hanno assaltato il giornale sbagliato, come ebbe a dire Annalisa Cuzzocrea: «Andrea Malaguti e io abbiamo fatto una prima pagina con scritto genocidio», spiegò la nota firma. «Non ci siamo preoccupati di come avrebbe reagito una parte dell’opinione pubblica. Tutto questo quei ragazzini che hanno imbrattato le sale riunioni non lo sanno… Questa è la cosa che mi ferisce di più, perché non sanno cosa hanno aggredito». Ci sono volute le parole allucinanti di Francesca Albanese che definì quell’assalto «un monito» per i giornalisti di tutta la nazione, ci è voluto il dibattito fiammeggiante sull’imam Shahin. Insomma, pare che stavolta i cari antagonisti l’abbiano fatta almeno un po’ fuori dal vaso, inimicandosi pure parte di coloro che fino all’altro giorno li difendevano.
Intendiamoci, sono anni che la destra piemontese, anche da poltrone istituzionali, chiede di mettere un freno alle intemperanze dei militanti. L’edificio in corso Regina Margherita 27 è stato occupato per la prima volta nel 1994, poi liberato spontaneamente e di nuovo rioccupato nel 1996. Da allora, gli esponenti del centro sociale hanno messo insieme un bel curriculum fatto di violazioni, violenze e altre belle cosine. L’ultimo processo è recentissimo, i componenti di Askatasuna hanno collezionato 18 condanne per danneggiamenti e violenze in Val di Susa e a Torino, con pene che vanno dai 5 mesi fino ai 4 anni e 9 mesi di reclusione. Nel 2015 erano piovute 47 condanne in area no Tav, altre 16 nel 2018. Poi ancora condanne per singoli militanti: chi si addestrava con le milizie curde, chi ha assaltato gli studenti di destra all’università e via malmenando.
Eppure, in tutti questi anni, nessuno è riuscito a far schiodare i simpatici antagonisti. Anzi, le istituzioni di sinistra li hanno protetti e coccolati fino a pochi giorni fa. Ancora ai primi di dicembre, il sindaco di Torino, Stefano Lorusso, subito dopo l’assalto alla Stampa, dichiarava: «Non ci sono i termini per l’interruzione del patto, andiamo avanti su questa strada per ripristinare la legalità». Già, il patto. Una collaborazione che il Comune progressista ha stretto con il centro sociale garantendogli di restare al suo posto.
Ieri, magicamente, il primo cittadino ha cambiato idea. Le forze dell’ordine hanno trovato sei persone nello stabile occupato, per altro in una parte considerata inagibile. «Tale situazione configura un mancato rispetto delle condizioni del patto di collaborazione che pertanto è cessato, come comunicato ai proponenti», ha spiegato Lo Russo. Ma che ci fossero occupanti si sapeva da tempo.
Il 5 dicembre, su Rai 3, la trasmissione Far West mostrò le immagini degli antagonisti presenti dentro l’edificio. «L’amministrazione comunale di Torino è stata smentita sulla televisione di Stato nazionale, che ha potuto documentare come dentro Askatasuna si rifugino ancora parecchi antagonisti, che rivendicano il centro sociale come casa loro», scrissero Maurizio Marrone e Augusta Montaruli. «Ricordiamo al sindaco che l’Asl e i vigili del fuoco hanno dichiarato quell’immobile di proprietà comunale inagibile. Si decida finalmente a stracciare il patto di collaborazione già palesemente violato, consentire lo sgombero e interrompere la spirale di violenza antagonista che tiene in ostaggio Torino». Non c’è stato niente da fare, nonostante una apposita legge regionale approvata dal centrodestra: Askatasuna è rimasto aperto. Poi, finalmente, qualcosa si è mosso.
«All’indomani dell’assalto alla Stampa, a nome della Regione Piemonte, avevo chiesto ufficialmente al Comune di Torino di cancellare il Patto per la concessione di Askatasuna», dice ora Marrone. «In tutti questi mesi quel centro sociale ha continuato a essere la base degli antagonisti, ma questa mattina grazie al lavoro della questura e della prefettura lo Stato ha colpito. Se il Comune avesse rispettato la mia legge regionale fin da subito, magari in questi due anni non ci sarebbe stata questa escalation di violenza».
Vero: bastava far rispettare la legge, ma alla politica di sinistra non è mai importato granché Le violenze dei centri sociali, le aggressioni e le brutalità sono sempre passate in secondo piano. Ci si scandalizzava per qualche coro nostalgico, si gridava all’emergenza fascismo per qualche saluto romano. Ma sugli antagonisti bellicosi silenzio. Ci è voluto - oltre alla determinazione della destra - l’attacco alla Stampa. E forse nemmeno quello basta fino in fondo. Da Askatasuna già arrivano minacce a Marrone e i compagni promettono battaglia. Poveretti, vanno anche capiti: sono stati abituati per 30 anni a fare quel che volevano, non gli si può mica chiedere di cambiare registro così all’improvviso...
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Riduci
Il ministro Giuli al III Forum Machiavelli Cultura
La bellezza è un carattere identitario dell’Italia, la bellezza è una bandiera da alzare. Una bandiera di guerra. Queste sono le conclusioni a cui è giunta la kermesse annuale della Fondazione Machiavelli dedicata alla cultura, il III Forum Machiavelli Cultura, ospitato martedì scorso nella Sala Tatarella della Camera dei Deputati.
Un incontro al quale hanno partecipato relatori di altissimo profilo, a partire dal «padrone di casa», l’onorevole Alessandro Amorese, capogruppo Fdi n commissione Cultura e dall’ospite d’onore, il ministro della Cultura Alessandro Giuli, che non si è limitato a sostenere l’evento con il patrocinio del Ministero, ma ha deciso di presenziare con un lungo e approfondito intervento. Non un semplice saluto istituzionale, ma una relazione in cui sono stati evidenziati i punti salienti del rapporto fra bellezza e civiltà, enucleando l’urgenza del tema della bellezza in un mondo in cui il wokismo ha letteralmente dichiarato guerra a ciò che è bello e trascendente. «È la vittoria della Quarta Internazionale quella di Trotskii», da cui discende l’idra a più teste del woke: dalla Scuola di Francoforte a quella di Parigi, fino alle teorie critiche e all’intersezionalismo. L’arte concettuale rappresenta dunque l’arte di regime per questa ideologia: una non-arte, come l’architettura decostruzionista progetta non-luoghi. Livellamento e cancel culture. «Quando il tuo credo è fondamentalmente nichilista, incentrato sul fare tabula rasa della tua civiltà, sulla negazione della natura, il bello va combattuto, screditato, negato. Se la bellezza è il nemico per i nemici della nostra civiltà, va da sé che per noi debba diventare una bandiera» ha detto Daniele Scalea, presidente della Fondazione Machiavelli che dal 2017 è il think tank di riferimento del mondo conservatore in Italia.
Il cuore delle teorie decostruzioniste è che, attraverso la ridefinizione dei concetti e l’uso letteralmente magico delle parole, sia possibile ricostruire completamente la realtà. Ecco dunque che grazie alla «body positivity» una condizione patologica come l’obesità viene rovesciata. Come spiega Matt Carus, influencer e content creator, quella che è una vera e propria epidemia viene negata e chi punta il dito su stili di vita scorretti è perseguitato. Se è oggettivo che un corpo sano è anche un corpo bello – e le due cose sono in relazione biunivoca fra loro – questa oggettività va vietata: deve essere vietato non solo affermarlo, ma perfino pensarlo. Il medico che consigli al paziente obeso di dimagrire va perseguito.
Questo esempio è lampante della guerra culturale condotta dagli accoliti della «Quarta Internazionale» identificata da Giuli e che come un mostro tentacolare aggredisce ogni aspetto dell’esistenza umana. La cancellazione della maestria, stigmatizzata dal pittore Nicola Verlato e dallo scultore Emanuele Stifani, spalanca l’abisso dell’uomo sostituito dall’IA. Se saper tenere in mano un pennello o una matita non è più condizione necessaria ad avere l’arte, allora basta dare un prompt a una IA per produrre un succedaneo.
Che – per l’appunto – è un surrogato. È la carne sintetica della brodaglia servita alla mensa del Ministero della Verità in «1984» di Orwell: bisogna aver messo il cervello all’ammasso per trovarla appetitosa.
La risposta a questa stregoneria dialettica è nella rivendicazione dell’identità. Mentre il wokismo basa se stesso sull’uso magico della parola, l’identità fa discendere dalle basi empiriche e con rigorosi ragionamenti logici i propri postulati. Che la «res publica» debba tornare a essere «res populi» non è uno slogan, tuonato dal presidente dell’accademia Vivarium Novum (dove ragazzi da tutto il mondo parlano fra loro in latino, studiano i classici e producono arte secondo i canoni della tradizione più pura), ma una conseguenza di un pensiero rigoroso e razionale. L’identità – nella fattispecie la nostra di italiani – si esprime per esempio nella bellezza dei nostri borghi: un tema introdotto da Alessandro Amorese e poi sviscerato da Gabriele Tagliaferri, docente, architetto e urbanista: se le città italiane (ed europee in generale) sono per loro natura tradizionalmente «borghi dei 15 minuti» perché aderiscono razionalmente a una realtà viva e pulsante; l’incubo orwelliano della «città dei 15 minuti» che i regimi woke vogliono imporre a suon di telecamere e credito sociale ne è l’esatto rovesciamento: la prima è la razionale realizzazione della libertà, la seconda è il pervicace perseguimento di ingegneria sociale antiumana.
Ne usciremo? I relatori sembrano ottimisti: i giovani si riaffacciano alla maestria nell’arte, il popolo chiede quartieri tradizionali e non ecomostri lecorbusiani. Le radici cattoliche vengono rivendicate e sempre più persone gridano che il re del wokismo è nudo. I «khmer rossi» della cultura possono essere sconfitti.
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Riduci
«Sono contenta che abbia prevalso il buon senso, che si sia riusciti a garantire le risorse che sono necessarie, ma a farlo con una soluzione che ha una base solida sul piano giuridico e finanziario». Lo ha detto il premier ai cronisti in merito all’intesa in Ue sul prestito da 90 miliardi all’Ucraina.
Giorgia Meloni si è anche espressa sul rinvio dell’intesa Ue-Mercosur: «Si sta lavorando per posticipare il summit, il che ci offre altre settimane per cercare di dare le risposte richieste dai nostri agricoltori, le salvaguardie che sono necessarie per i nostri prodotti e consentirci così di poter approvare l’accordo quando, come abbiamo detto, avremo tutte le garanzie».





