2019-07-24
Oggi arriva in Cdm un accordo trappola. Rischiamo di dare la Difesa ai francesi
Sul tavolo di Giuseppe Conte l'intesa tra Fincantieri e Naval group voluta da Colle e Paolo Gentiloni: tutti i pericoli senza il golden power.Mentre l'operazione di acquisizione dei cantieri atlantici di Stx da parte di Fincantieri procede con lentezza e ancora attende il parere finale dell'antitrust francese, il progetto gemello che riguarda la componente militare marcia invece a tappe forzate. Lo scorso ottobre, in occasione di Euronaval, la fiera parigina dedicata agli scafi, l'azienda guidata da Giuseppe Bono e la francese Naval group hanno annunciato la creazione di una società congiunta. Obiettivo è creare un veicolo in condivisione che si occupi di aspetti commerciali, di ricerca e sviluppo e pure di procurement, il tutto in ossequio al patto politico che Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni firmarono a Lione nel settembre 2017.La trattativa è proseguita e il 14 giugno, a bordo di una fregata ormeggiata nel porto di La Spezia, i vertici delle due aziende hanno firmato il contratto, con tanto di photo opportunity. Dieci giorni dopo la notifica è arrivata a Palazzo Chigi e alle autorità competenti, compreso il comitato di coordinamento e i delegati al golden power. Oggi il consiglio dei ministri ha sul tavolo la ratifica del documento e della relativa partnership. Non sappiamo quale sarà la posizione del governo ma, così come è strutturato l'accordo, il nostro Paese aprirebbe una falla potenziale e rischierebbe di svendere ai francesi un pezzo dell'industria militare, di mettere in difficoltà il settore dell'elettronica della Difesa, e a ruota la stessa Leonardo. Stando a quanto La Verità ha potuto verificare l'accordo tra francesi e Fincantieri avrebbe due punti deboli. Uno riguarda la governance e l'altro indirettamente il ruolo del colosso guidato da Alessandro Profumo. In merito al primo punto il testo prevede che l'amministratore delegato per i primi tre anni spetti ai francesi, il presidente (con sole deleghe alla rappresentanza e all'audit) agli italiani e il direttore generale (di qualunque nazionalità sia) risponderà all'ad. Trascorso il triennio non è programmata alcuna rotazione, ma il cda deciderà in base ai criteri del best man: se le cose vanno bene, non si cambia il management. A destare preoccupazione potrebbe essere la società da istituire e totalmente controllata dalla joint venture italo francese. Si chiamerà Lcin, un acronimo che sta per laboratorio comune d'ingegneria navale. In pratica è il veicolo che raccoglierà tutta l'intelligenza e il know della partnership. Questa sarà presieduta dall'ad della joint venture, avrà sede a Parigi e sarà di diritto francese. In caso di scioglimento o di stallo a chi andrebbero le proprietà intellettuali? In caso di proseguimento della partnership che ruolo d'indirizzo avrà Lcin? Va tenuto presente che Naval group ha firmato (previo scambio di quote azionarie) con Thales, il colosso francese dell'elettronica della Difesa, un patto di preferred supplier. In pratica, a parità di condizioni Naval group sarebbe obbligata a rivolgersi ai francesi per riempire di tecnologia le navi.E Fincantieri che farà? L'azienda di Bono ha a sua volta firmato un accordo con Leonardo. Ne è nata Osn, Orizzonti sistemi navali, che da circa un decennio opera come integratore di sistemi navali. Anche se solo recentemente ha cominciato ad assorbire gli ingegneri provenienti da Viale Monte Grappa. Si dedica - tra le altre cose - alle attività del programma italo francese Fremm, tanto che nel 2014 Fincantieri, Leonardo, Naval group e Thales hanno sottoscritto un memorandum per la suddivisione delle competenze. Fincantieri fa sapere che nel novembre del 2018 il Mou, memorandum of understanding è stato innalzato di livello tanto da parificare Leonardo a Thales. Su questo aspetto non tutti a Palazzo Chigi sono dello stesso parere (non terrebbe in considerazione in considerazione le competenze su sistemi di combattimento e combat management system) e ritengono che se non vengono aggiunti paletti alla Joint venture italofrancese, il patto tra le due aziende parigine avrà molta più forza. Per cui c'è il rischio che le commesse pur finendo a Leonardo non siano paritetiche in termini di fatturato e nemmeno in termini di marginalità. Qui sta il nodo e il rischio dell'amicizia con la Francia benedetta dal governo Gentiloni. Anche se Bono è il manager più navigato sul mercato e sa come muoversi, i francesi sono delle pericolose volpi. Si sono già mangiati le promesse più volte. Il premier Giuseppe Conte potrebbe intervenire e chiedere garanzie di tutela a favore di Leonardo. Nell'immediato passato ha incontrato il numero uno di Fincantieri e di Leonardo per cercare di farli mettere d'accordo sul futuro Osn. Non c'è riuscito. Ha pesato pure la vicenda Vitrociset, durante la quale Profumo ha bloccato l'Opa di Bono e dei francesi. Conte potrebbe cogliere l'occasione della joint venture per ritentarci. In ballo non c'è solo la sicurezza nazionale, ma la tutela del perimetro economico della nostra industria della Difesa e la capacità di ricerca nostrana. A quanto apprende La Verità, Conte potrebbe fare scattare la prescrizione in tema di golden power e approvare l'accordo a condizione di sistemare la posizione di Leonardo. Una scelta nella quale sarebbe solo. Ci risulta che il ministro dell'Economia Giovanni Tria non abbia sollevato obiezioni, e quello della Difesa, Elisabetta Trenta, tacciano. Motivi per alzare le antenne ce ne sono. L'intero progetto nasce con il cappello filofrancese di Paolo Gentiloni. Quella politica si è dimostrata pericolosissima per gli interessi italiani. L'abbiamo visto in Libia e, come detto sopra, nella vicenda dei cantieri Stx. Quando l'ex premier e Macron si strinsero la mano immaginarono tra i due Paesi un grande progetto di fratellanza, correlato dal patto del Quirinale. Non vorremmo che a prendere decisioni così strategiche per l'Italia sia un'allenza Pd-5 stelle a spinta quirinalizia. Trenta e Conte dovrebbero saperlo: abbiamo bisogno di Donald Trump e di entrare in maxi progetti atlantisti e sfilarci dal pericoloso filone della Difesa comune europea a trazione franco tedesca. A maggior ragione con una presidente Ue che era ministro della Difesa a Berlino.