A Lugano, il delegato di Volodymyr Zelensky illustra le «adozioni» delle aree da ricostruire: a Varsavia e Roma tocca il Donetsk, che però bisognerebbe prima riconquistare. Lo zar, infatti, punta a tenersi tutto il Grande Donbass, zeppo di carbone, gas, minerali e oro.
A Lugano, il delegato di Volodymyr Zelensky illustra le «adozioni» delle aree da ricostruire: a Varsavia e Roma tocca il Donetsk, che però bisognerebbe prima riconquistare. Lo zar, infatti, punta a tenersi tutto il Grande Donbass, zeppo di carbone, gas, minerali e oro.Si è chiusa ieri a Lugano, in Canton Ticino, la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina e le sorprese non sono certo mancate. Partiamo dalle cifre. L’Ucraina ha presentato il suo piano di ricostruzione postbellica che vale oltre 750 miliardi di dollari (un dato che aumenterà di sicuro), che si svilupperà in almeno 850 progetti. L’operazione che mira a ricostruire il Paese è modulata su dieci anni, dal 2023 al 2032, e prevede due tempi: il primo, nel triennio 2023-2025, in cui è fissata la realizzazione della maggior parte dei progetti (580) e che costerà più di 350 miliardi di dollari. Il secondo tempo prevede un numero minore di progetti, ma richiederà più denaro: oltre 400 miliardi di dollari. Il piano si basa su una previsione ottimistica: l’economia ucraina crescerà del 7% ogni anno per i prossimi 10 anni. Tra i programmi che più incideranno ci sono il ripristino e l’ammodernamento degli alloggi e delle infrastrutture distrutte nelle regioni, che richiederanno 150-250 miliardi di dollari, nonché l’ampliamento e l’integrazione della logistica con l’Ue, che costeranno 120-150 miliardi di dollari. Gli interventi per l’indipendenza energetica e la svolta «green» richiederanno 150 miliardi di dollari. Secondo il premier ucraino, Denys Shmyhal, la principale fonte di questi fondi dovrà arrivare dai beni confiscati alla Federazione Russa e agli oligarchi russi «che sono stimati tra i 300 e i 500 miliardi di dollari», mentre altro denaro si dovrebbe ricavare dai prestiti agevolati delle organizzazioni finanziarie internazionali, dai Paesi amici e dagli investimenti del settore privato ucraino. Nella conferenza non si è parlato di Paesi donatori o quali saranno le organizzazioni che dovranno erogare fondi; a Lugano si è discusso sui principi che dovrebbero guidare la ricostruzione dell’Ucraina, chi saranno i principali attori e in quale periodo sarà realizzata. E chi saranno, dunque? Durante il suo intervento conclusivo Shmyhal ha mostrato una cartina con la sua proposta su chi ricostruirà l’Ucraina: le chiamano «adozioni». Sarà l’Irlanda del Nord a occuparsi della regione di Rivne, la Germania di quella di Chernihiv, il Canada di quella di Sumy, la strana coppia Turchia e Stati Uniti sarà a Kharkiv, Cechia e Finlandia nel Luhansk, il Belgio in quella di Mykolaiv, mentre Svezia e Paesi Bassi avranno quella di Kherson. La Svizzera si occuperà della rRegione di Odessa, ma la città di Odessa è destinata alla Francia. Infine, i norvegesi saranno nella regione di Kirovohrad e gli austriaci saranno impegnati nella regione di Zaporizhzhia. E l’Italia? Il progetto prevede che insieme ai polacchi si debba occupare della regione di Donetsk. Ma come si potrà ricostruire un territorio che è in mano ai russi dal 2014 e che Vladimir Putin vuole conquistare del tutto nelle prossime settimane, in modo da ottenere il pieno controllo dell’area dell’Ucraina dove la concentrazione di risorse minerarie è maggiore? Se le cose resteranno così, la designazione del nostro Paese e della Polonia ha il sapore della beffa, visto l’impegno politico-diplomatico profuso. Attenzione a non farsi ingannare dal fatto nel piano che non compaia l’Inghilterra, perché inglesi e americani faranno la parte del leone ovunque, per esempio nella ricostruzione del nuovo esercito ucraino.Ma cosa c’è di così prezioso nel Donbass? Il bacino carbonifero di Donetsk è uno dei più grandi giacimenti di carbone del mondo. Queste regioni carbonifere, chiamate Nuovo Donbass, insieme al Vecchio Donbass costituiscono il Grande Donbass, che si estende per 650 chilometri da Est a Ovest e 70-170 da Nord a Sud. L’area è vasta 60.000 chilometri quadrati, di cui circa 45.000 si trovano in Ucraina e il resto in Russia. Nel 2000, le riserve accertate sono state di 57,5 miliardi di tonnellate e le riserve probabili ulteriori 18,3 miliardi. Le riserve di gas metano associate ai giacimenti di carbone sono state stimate superare i 2,5 trilioni di metri cubi. Per Giovanni Brussato, ingegnere minerario, tra i massimi esperti europei della materia, «nei distretti centrali e sudoccidentali si estrae il carbone da coke, che è il miglior combustibile per la metallurgia. Tra gli altri minerali utili, gli enormi depositi di salgemma nel Donbas nordoccidentale, nella valle del fiume Bakhmutka, mentre i materiali da costruzione sono comuni in tutto il Donbas: calcare, dolomite, gesso, argille refrattarie, marne, sabbie quarzifere, arenarie, grigie e nere per pavimentare le strade, quarziti, gesso, ardesia e argilla ceramica. I calcari sono utilizzati nell’industria chimica e metallurgica e grandi depositi di marna sono presenti nel Donbas meridionale e costituiscono la base dell’industria del cemento. Ultimo ma non meno importante, le riserve di oro nella regione sono stimate in circa 500 tonnellate». Nemmeno il tempo di archiviare i lavori che da Kiev, a un giorno dal voto previsto in Aula a Strasburgo su gas e del nucleare nel dibattito in corso sulla tassonomia, ovvero sulla definizione Ue della lista di fonti di energia, è arrivata una lettera firmata da German Galushenko, ministro dell’Energia, diretta alla presidente della commissione economica del Parlamento europeo, l’eurodeputata del Pd Irene Tinagli, nella quale si legge: «Se dovesse passare l’obiezione all’atto delegato si metterebbe in difficoltà la ricostruzione post bellica del settore energetico ucraino». Una vera entrata a gamba tesa.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Ansa)
Un tempo la sinistra invocava le dimissioni (Leone) e l’impeachment (Cossiga) dei presidenti. Poi, volendo blindarsi nel «deep State», ne ha fatto dei numi tutelari. La verità è che anche loro agiscono da politici.
Ci voleva La Verità per ricordare che nessun potere è asettico. Nemmeno quello del Quirinale, che, da quando è espressione dell’area politico-culturale della sinistra, pare trasfigurato in vesti candide sul Tabor. Il caso Garofani segnala che un’autorità, compresa quella che si presenta sotto l’aura della sterilità, è invece sempre manifestazione di una volontà, di un interesse, di un’idea. Dietro l’arbitro, c’è l’arbitrio. In certi casi, lo si può e lo si deve esercitare con spirito equanime.
Elly Schlein (Ansa)
Critiche all’incauto boiardo. Eppure, per «Domani» e i deputati, la vittima è Schlein.
Negli ultimi giorni abbiamo interpellato telefonicamente numerosi esponenti del centrosinistra nazionale per sondare quali fossero gli umori veri, al di là delle dichiarazioni di facciata, rispetto alle dichiarazioni pronunciate da Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, riportate dalla Verità e alla base della nuova serie di Romanzo Quirinale. Non c’è uno solo dei protagonisti del centrosinistra che non abbia sottolineato come quelle frasi, sintetizzando, «se le poteva risparmiare», con variazioni sul tema del tipo: «Ma dico io, questi ragionamenti falli a casa tua». Non manca chi, sempre a sinistra, ammette che il caso Garofani indebolirà il Quirinale.
Vincenzo Spadafora ed Ernesto Maria Ruffini (Imagoeconomica)
L’operazione Ruffini, che Garofani sogna e forse non dispiace a Mattarella, erediterebbe il simbolo di Tabacci e incasserebbe l’adesione di Spadafora, già contiano e poi transfuga con Di Maio. Che per ora ha un’europoltrona. Però cerca un futuro politico.
Ma davvero Garofani ha parlato solo una volta? No. Francesco Saverio Garofani, il consigliere per la Difesa del presidente Mattarella, non ha parlato di politica solo una volta. Possiamo dire che solo una volta le sue parole sono uscite. Così, la sua incontenibile fede giallorossa si è avvitata all’altra grande passione, la politica, provocando il cortocircuito.
Roberta Pinotti, ministro della Difesa durante il governo Renzi (Ansa)
Per 20 anni ha avuto ruoli cruciali nello sviluppo del sistema di sicurezza spaziale. Con le imprese francesi protagoniste.
Anziché avventurarsi nello spazio alla ricerca delle competenze in tema di Difesa e sicurezza del consigliere del Colle, Francesco Saverio Garofani, viene molto più semplice restare con i piedi per terra, tornare indietro di quasi 20 anni, e spulciare quello che l’allora rappresentante dell’Ulivo diceva in commissione.Era il 21 giugno 2007 e la commissione presieduta dal poi ministro Roberta Pinotti, era neanche a dirlo la commissione Difesa. Si discuteva del programma annuale relativo al lancio di un satellite militare denominato SICRAL-1B e Garofani da bravo relatore del programma ritenne opportuno dare qualche specifica.






