Le dispute tra alleati sugli appalti nel Paese rallentano la realizzazione di infrastrutture energetiche. E si parla già di ricostruzione: una torta da 1 trilione di dollari (cui aggiungere ricche risorse minerarie) per cui si sono mobilitate Parigi, Londra, Berlino e Ankara.
Le dispute tra alleati sugli appalti nel Paese rallentano la realizzazione di infrastrutture energetiche. E si parla già di ricostruzione: una torta da 1 trilione di dollari (cui aggiungere ricche risorse minerarie) per cui si sono mobilitate Parigi, Londra, Berlino e Ankara.Mentre gli ucraini sono alle prese con lo scandalo che ha travolto il vice capo dell’ufficio presidenziale, Kyrylo Tymoshenko, quattro viceministri e cinque governatori regionali - tutti accusati di aver intascato tangenti da aziende impegnate nella fornitura di beni e servizi al governo di Kiev da grandi aziende americane, inglesi, francesi, tedesche e turche - gli occidentali stanno cercando di capire quali spazi si apriranno una volta che il conflitto finirà e in tutto questo le pressioni sui loro governi si fanno sentire. Come raccontato ieri sul Corriere della Sera da Federico Fubini, stanno emergendo conflitti tra i Paesi occidentali, a causa dei quali la ricostruzione delle centrali elettriche distrutte dai missili russi sta subendo importanti rallentamenti. Anche il piano per realizzare una serie di termovalorizzatori piccoli, decentrati e indipendenti (alimentati da rifiuti o biomassa), che potrebbero fornire energia nel giro di qualche mese, non è ancora partito, perché americani e tedeschi si contendono ancora i ricchi contratti della ricostruzione. Anche se la vicenda dei carri armati tedeschi si è sbloccata, persino l’invio degli aiuti militari è oggetto di sotterranee ripicche e rallentamenti in funzione degli appalti che si aggiudicheranno le imprese occidentali. Se pensiamo che, nel caso degli americani, alcune grandi aziende intervenute, ad esempio, nella ricostruzione dell’Iraq, sono possedute in parte dal governo, è facile comprendere cosa stia accadendo tra le cancellerie di mezzo mondo. Nonostante gli analisti prevedano che il conflitto si protrarrà anche nel 2023, abbondano gli studi sulla ricostruzione, sulla bonifica dei territori disseminati di mine e su quanto costerà ricostruire l’Ucraina invasa dai russi il 24 febbraio 2022. Nel giugno 2022, la Banca mondiale, in un suo documento, stimava il costo della ricostruzione in 349 miliardi di dollari. Nel dettaglio, la Kiev school of economics prevedeva che ci sarebbero voluti almeno 127 miliardi di dollari per ripristinare o ricostruire infrastrutture quali ponti, dighe, pali di alta tensione e strade. A sette mesi da questa stima il costo è aumentato di 490 miliardi di dollari (due miliardi al giorno) per un totale di 839 miliardi di dollari. E quanto costerà la bonifica dagli ordigni dei quali è disseminato il territorio ucraino? Nessuno oggi è in grado di dirlo ma di certo saranno centinaia e centinaia di milioni e lo stesso vale per fiumi e laghi e l’elenco potrebbe continuare all’infinito. E chi metterà le mani sul tesoro sotterraneo del Donbass, che è settimo produttore al mondo di carbone, con di 31 miliardi di tonnellate ogni anno? Circa il 92% di tutto il carbone dell’Ucraina si trova nell’area che parte dal Mare di Azov e si estende più a Nord sino al fiume Dnepr. I russi non voglio rinunciarci, visto che nel 2021 hanno firmato accordi con Cina e India per nuove forniture di combustibile fossile, pari a 230 milioni di dollari all’anno. Ma il Donbass è pieno anche di uranio, utilizzato per i rettori nucleari e per le bombe atomiche, di litio e altri minerali e terre rare quali cobalto, cromo, tantalio, niobio, berillio, zirconio, scandio, molibdeno, tutti fondamentali per produrre dalle fibre ottiche ai catalizzatori. Poi, nella regione ci sono il 10% delle riserve mondiali di ferro, il 6% di quelle di titanio e il 20% di quelle di grafite. Mentre il lettore sfoglia il nostro giornale, il costo della ricostruzione è già aumentato di altri due miliardi e sarà così fino alla fine del conflitto. A proposito di business della ricostruzione: i francesi, da sempre abili a intervenire quando ci sono di mezzo grossi appalti, si stanno attrezzando per assicurarsi una bella fetta della gigantesca torta. Già nel gennaio 2022, durante un incontro all’Eliseo i rappresentanti delle più importanti aziende francesi hanno iniziato a tracciare tabelle di marcia nei settori dell’energia, dell’agricoltura, dell’approvvigionamento idrico, dell’informatica e della salute.Successivamente, francesi e ucraini hanno firmato accordi da 100 milioni di euro per la fornitura di rotaie, ponti mobili e strutture semimoventi. Entrambi i Paesi hanno istituito un fondo di avvio con un’iniezione di liquidità iniziale di 100 milioni di euro. Piaccia o no, le aziende francesi giocheranno un ruolo importante nella ricostruzione: come ha affermato Bertrand Barrier, capo della Camera di commercio francoucraina, che rappresenta 160 operatori transalpini, «le aziende francesi sono il più grande datore di lavoro straniero dell’Ucraina con un totale di 30.000 dipendenti. E la maggior parte delle aziende ha continuato a operare dall’inizio della guerra». Ma di sicuro saranno gli americani ad aggiudicarsi la gran parte degli appalti. Ne è convinto Philippe Crevel, economista e capo del think tank parigino Cercle de l’Epargne, che ha dichiarato: «Le aziende di tutto il mondo sono in corsa per contribuire allo sforzo di ricostruzione dell’Ucraina e gli americani probabilmente otterranno la quota maggiore, poiché il Paese ha fortemente sostenuto l’Ucraina politicamente e militarmente dall’inizio della guerra». Stesse attività di lobbying fanno le grandi aziende tedesche, preoccupate dal cattivo rapporto personale tra Olaf Scholz e Volodymyr Zelensky. Le aziende inglesi invece puntano forte sull’ex primo ministro Boris Johnson, che con il leader ucraino ha sviluppato una forte amicizia al pari di Emmanuel Macron. Anche ad Ankara si stanno muovendo: i turchi aspirano ai grandi appalti nele costruzioni, dove le loro imprese eccellono. Dopo il summit di Lugano di luglio, dove le nazioni occidentali si spartirono le aree su cui intervenire a guerra finita (all’Italia era toccato il Donetsk, quello più difficile da strappare agli invasori), di ricostruzione dell’Ucraina si è parlato a Davos. L’, Yulia Svyrydenko, primo vice primo ministro e ministro dello Sviluppo economico e del commercio dell’Ucraina, ha dichiarato che le stime dei costi sono ora vicine a 1 trilione di dollari. Ma chi pagherà? I russi? Difficile ma non impossibile, secondo gli analisti del New Lines institute, che hanno proposto di finanziare la ricostruzione usando anche i capitali degli oligarchi: 2.000 miliardi di dollari, congelati in banche occidentali e paradisi fiscali.
Da sinistra: Piero De Luca, segretario regionale pd della Campania, il leader del M5s Giuseppe Conte e l’economista Carlo Cottarelli (Ansa)
La gabella ideata da Schlein e Landini fa venire l’orticaria persino a compagni di partito e possibili alleati. Dopo la presa di distanza di Conte, il dem De Luca jr. smentisce che l’idea sia condivisa. Scettici anche Ruffini (ex capo dell’Agenzia delle entrate) e Cottarelli.
«Continuiamo così: facciamoci del male», diceva Nanni Moretti, e non è un caso che male fa rima con patrimoniale. L’incredibile ennesimo autogol politico e comunicativo della sinistra ormai targata Maurizio Landini è infatti il rilancio dell’idea di una tassa sui patrimoni degli italiani. I più ricchi, certo, ma anche quelli che hanno già pagato le tasse e le hanno pagate più degli altri.
Jannik Sinner (Ansa)
All’Inalpi Arena di Torino esordio positivo per l’altoatesino, che supera in due set Felix Auger-Aliassime confermando la sua solidità. Giornata amara invece per Lorenzo Musetti che paga le fatiche di Atene e l’emozione per l’esordio nel torneo. Il carrarino è stato battuto da un Taylor Fritz più incisivo nei momenti chiave.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.






