2022-02-11
Obbligo vaccinale per gli over 50: 1,5 milioni non hanno cambiato idea
Solo uno su tre degli oltre due milioni di destinatari si è piegato, gli altri resistono. Lo Stato si manifesta in termini autoritari nei confronti dei portatori di dubbi. Paradosso di chi fa prediche in nome della tolleranza.È trascorso poco più di un mese dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (l’8 gennaio scorso) del contestatissimo decreto che, calpestando le libertà individuali e molto probabilmente anche non pochi princìpi costituzionali, ha imposto l’obbligo vaccinale per gli over 50.Giova ricordare che la norma, durissima di per sé, è stata salutata da una campagna mediatica martellante: infatti, con l’eccezione della Verità e di un paio di trasmissioni televisive, l’intera offerta mediatica nazionale - scritta e audiovisiva - ha accompagnato con passo militare l’introduzione del nuovo obbligo, trattando i potenziali renitenti come paria, come reietti, come soggetti da mettere ai margini della convivenza civile. E le sanzioni contenute nella norma provvedono a fare il resto, in termini di minaccia: dal 1° febbraio scorso, è stata prevista una multa di 100 euro, mentre dalla prossima settimana (15 febbraio) non sarà nemmeno consentito ai non vaccinati di guadagnarsi il pane lavorando. In mancanza di supergreen pass (quello che si ottiene tramite vaccino o tramite guarigione), infatti, non si riceverà lo stipendio, e l’eventuale accesso al luogo di lavoro farà scattare un’ulteriore pesantissima sanzione (da 600 a 1500 euro). Quale sia l’opinione di questo giornale sul carattere illiberale, violento e divisivo di queste disposizioni, è cosa già nota ai lettori. Ma ora - per sovrammercato - arriva la certificazione di una beffa, o, se vogliamo vedere le cose da un altro punto di vista, un segnale di coraggio civile da parte di molti che non intendono piegarsi a quella che vivono come una prepotenza. Sono le cifre a parlare chiaro: dall’8 gennaio a oggi, tra gli over 50, le nuove adesioni alla campagna vaccinale sono state circa 650.000, mentre restano ancora lontani dalla siringa 1,516 milioni di italiani sopra i 50 (circa la metà, e si tratta di 681.000 individui, compresi nella fascia tra i 50 e i 59 anni). E anche all’avvicinarsi della fatidica scadenza del 15, non sembra esserci stata alcuna impennata di inoculazioni: nell’ultima settimana ci sono state solo 167.000 nuove vaccinazioni, appena 5.000 in più della media settimanale riscontrata dall’8 gennaio in poi. In sostanza, tra i destinatari della norma, solo uno su tre si è piegato, mentre gli altri due resistono. E allora la domanda sorge spontanea. A cosa è servito avvelenare il clima, calpestare le libertà personali, aggirare in modo discutibile la stessa giurisprudenza costituzionale in materia di vaccinazione, creare un’atmosfera irrespirabile, se poi i numeri - adesso - si incaricano di certificare un mezzo flop? Sarà una notizia sorprendente per Roberto Speranza e per chi la pensa come lui: ma esiste un elemento insopprimibile di libertà e di scelta personale, di autonomia e di determinazione individuale, che non può essere schiacciato nemmeno dalla norma più dura, dalla previsione più poliziesca, dalla campagna mediatica più ossessiva. Anzi: quanto più lo Stato si manifesta in termini autoritari, tanto meno appare autorevole a coloro ai quali si rivolge. Per mesi, abbiamo sentito affermazioni (c’è da ritenere: ipocrite) sulla necessita di persuadere, di convincere, di ascoltare, di comprendere le obiezioni e le paure di chi non voleva vaccinarsi. Ma erano pietose bugie: al momento decisivo, è scattato un riflesso dirigista, statalista, volto a imporre anziché a proporre. Ecco, la notizia è che tutto ciò non ha funzionato, è stato respinto al mittente. C’è chi dice no, dunque. C’è un’Italia che - pur aggredita a reti e testate pressoché unificate - sta facendo valere una sua ribellione dignitosa e silenziosa. E si tratta di un silenzio che fa rumore: di una sorta di «voto di sfiducia» verso il governo e i suoi consulenti, verso i virologi e l’informazione del terrore, verso la pretesa di umiliare ed emarginare i portatori di un dissenso. Da Alexis de Tocqueville in poi, avevamo imparato che il cuore della democrazia era ed è evitare di schiacciare il dissenso: e invece, a quanto pare, c’è oggi qualcuno che sembra intollerante perfino rispetto a quote numericamente contenute di persone portatrici di un dubbio. E che questa pulsione a calpestare una minoranza venga da coloro che, in modo appiccicoso, amano fare prediche a favore della tolleranza e di ogni diversità, è un ulteriore tragicomico paradosso. Da ultimo, un altro aspetto che rischiamo di dimenticare. Tutto il mondo sta riaprendo, come la Verità racconta da giorni. E perfino qui in Italia, purtroppo solo a parole, si riconosce l’esigenza di voltare pagina, di cambiare paradigma, anche in presenza dell’oggettivo alleggerimento del problema sanitario determinato dalla variante Omicron. Eppure proprio adesso, tra quattro giorni, stanno per entrare in vigore le norme più draconiane. Che senso ha tutto ciò?