Markus Pieper
Il Parlamento europeo ha approvato una direttiva che porta la quota vincolante prodotta con eolico e solare dal 32% al 42,5% entro il 2030. I popolari hanno votato sì come sponda di sinistra e verdi. Astenuti Fdi-Ecr.
Il premier Giorgia Meloni interviene a il Giorno della Verità, intervistata dal direttore Maurizio Belpietro. «Telemeloni? Questo dice il focus sulla presenza media in minuti del presidente del Consiglio nei primi 14 mesi di governo: io sono stata presente 15 minuti, mentre Draghi nello stesso periodo è stato presente per 19 minuti. L'ultimo governo Conte 42. Il Conte uno 25, PaoloGentiloni 28, Matteo Renzi, 37».
«Vorrei spuntare una delle deleghe più importanti in Europa, un commissario che possa garantire un punto di vista italiano. La delega sull'Economia, non indebolita ma piena, la Competitività, il Mercato interno o la Coesione. Ma anche la delega al Green Deal, correggere il tiro come già di fatto si sta correggendo». Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni spiega così a il Giorno della Verità, intervistata dal direttore Maurizio Belpietro, i suoi obiettivi per le prossime elezioni europee. Durante un’intervista a tutto campo, il premier ha ribadito che uno dei suoi obiettivi, oltre ad avere un commissario di peso a Bruxelles, «è confermare il consenso che avevo quando ho iniziato a fare il presidente del Consiglio dei ministri».
Per Meloni sarebbe importante, «abbiamo fatto scelte coraggiose. Confermare quel consenso per me sarebbe importante Perchè io non sono al governo per me stessa, io lo faccio per i cittadini italiani, non è che mi appassioni fare questa vita, ma lo faccio per gli italiani». Meloni ha ammesso anche di non aver mai «mai pensato a fare un rimpasto di governo, è una delle tantissime ricostruzioni forzate che leggo spesso. Anzi, tra gli obiettivi che mi sono data, c'è quello di arrivare a 5 anni con il governo che ho nominato. Non è mai accaduto nella storia d'Italia, sarebbe anche questo un obiettivo molto importante».
E se rispetto all’inchiesta sul governatore della Liguria Giovanni Toti, la premier chiede di aspettare («Toti ha detto che avrebbe letto le carte e avrebbe dato le risposte. Aspettare quelle risposte, e valutare, penso sia il minimo indispensabile per un uomo che ha governato bene quella Regione»), sul confronto con il segretario del Pd Elly Schlein viene respinta ogni critica. «Il confronto mi piace, è il sale della democrazia, mi fa molto sorridere il dibattito di aver dato spazio a questo confronto» ha ammesso Meloni. «In una campagna elettorale è fondamentale raccontare agli italiani che ci sono due modelli d’Europa, una socialista e una dei conservatori. È un modo d’aiutare i cittadini nella loro scelta. Io non ricordo quando ero all’opposizione che chi era al governo si confrontasse, gli altri francamente un po’ eccessiva brigare per non far, ero disponibile, penso sia una cosa buona».
Ma è in particolare sulla Rai che Meloni, numeri alla mano, ha voluto replicare alle accuse delle ultime settimane che hanno accusato la tv pubblica di essere diventata Tele Meloni. «Telemeloni non la voglio, vorrei un servizio pubblico e non sempre l'ho visto: mi sono andata a guardare i dati dell'Osservatorio di Pavia se effettivamente ci fosse uno squilibrio, proprio il Tg1. Questo dice il focus sulla presenza media in minuti del presidente del Consiglio nei primi 14 mesi di governo: io sono stata presente 15 minuti su Telemeloni, mentre Mario Draghi nello stesso periodo c'è stato 19 minuti e già Telemeloni un po' scricchiola. Ma andiamo avanti. Nell'ultimo governo Conte c'è stato 42 minuti. Il Conte uno 25 minuti, Gentiloni 28 minuti, Matteo Renzi, 37 minuti».
L’ultimo panel del Giorno della Verità, I nuovi investimenti sui binari della geopolitica: mercati, export, concorrenza fuori e dentro l’Europa, è affidato alla conduzione di Claudio Antonelli. Il vicedirettore della Verità, insieme al contributo del presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia Marco Hannapel, del Group chief investment officer di Generali Francesco Martorana e del presidente di Simest Gruppo Cdp Pasquale Salzano, ha approfondito i temi in materia di investimenti finanziari nell’economia reale, di valutazioni di export e import nei nuovi equilibri geopolitici e di quella che oggi è l’evoluzione del mercato unico europeo.
Il primo quesito posto sul tavolo da Antonelli è rivolto al presidente di Simest Gruppo Cdp Pasquale Salzano e verte su quali sono stati i cambiamenti che hanno coinvolto l’export italiano negli ultimi quattro anni, da quando tutto il mercato mondiale è stato stravolto dalla pandemia e come quindi l’Italia si pone in Europa e nel mondo nell’ambito della concorrenza e dei mercati sotto l’aspetto della geopolitica. «L’export italiano va molto bene, i numeri sono positivi, l’italia è diventato il quinto esportatore al mondo superando la corea del sud. Il benessere dell'Italia in gran parte deriva dalla domanda esterna, più del 40% del pil deriva dall’export. La crisi del mar rosso, per esempio, tocca direttamente il nostro export perché crea per le nostre merci e per i nostri porti una grande difficoltà. Le nostre imprese devono avere successo all’estero, in che modo? Noi possiamo affiancare le imprese con un’attività di consulenza che diventa sempre più fondamentale. La geopolitica oggi non è solo un elemento di conoscenza, ma anche di business».
L'amministratore delegato di Philip Morris Italia Marco Hannapel, invece, si è focalizzato più su quello che è il tema regolatorio. «Crede che alcune regole imposte dall'Europa abbiano più le caratteristiche di restrizioni giustificate da un'ideologia?» chiede Antonelli. «Quello che oggi rappresenta l’Italia è un pezzo di un puzzle molto complesso» - risponde Hannapel - «Phillip Morris nel 2016 ha firmato una dichiarazione di intenti in cui diceva che voleva uscire dal mercato tradizionale e per farlo ha investito 12 miliardi di dollari in 10 anni e ha creato una fabbrica a Bologna all'avanguardia, per poter creare un prodotto che non esisteva e un ambiente regolatorio adeguato. L’ideologia che l’Europa si è data in questi anni ha ripercussioni molto forti e importanti in ambito agricolo, in ambito di gestione di alcune industrie che sono state messe sotto pressione. Il settore industriale e agricolo in Europa è vissuto sotto un pensiero molto delineato e ideologizzato che però non tiene conto di tanti fattori. Per questo serve un'Europa moderna e unita».
Spostandosi sul tema del mercato unico e della concorrenza, Antonelli chiede a Francesco Martorana, Group chief investment officer di Generali, che cosa può fare l’Italia per rimanere all'interno del mercato unico e dell’unione bancaria del mercato dei capitali, tutelando al tempo stesso la base della propria ricchezza. «L’unione bancaria del mercato dei capitali è un tema centrale. L’Europa ha sfide importanti di fronte, dalla demografia alla transizione energetica, fino alla sicurezza e alla difesa. Per fare questo servono risorse e serve un mercato dei capitali efficiente. Se guardiamo il valore complessivo degli Stati europei, questo si avvicina molto a quello degli Stati Uniti, ma il vero problema è che abbiamo 27 mercati diversi e altrettante realtà molto diverse. Significa che c’è un potenziale enorme per uniformare e semplificare le normative, perché oggi c’è una regolamentazione molto complessa e non uniformata».
A il Giorno della Verità la giornalista Camilla Conti modera il dibattito su «Europa, patto di stabilità, Mes e Pnrr. Quando troppe regole rallentano la crescita», tra Domenico De Angelis, condirettore generale Banco Bpm, Marco Gay, presidente esecutivo di Zest, Marco Fossataro, chief financial officer del Gruppo Fs e Giuliano Noci, prorettore del Politecnico.
L'Italia deve continuare a investire nel proprio sviluppo, ma allo stesso tempo all'Europa serve un bagno di concretezza, sennò rischia di rimanere schiacciata da Stati Uniti e Cina. «Come un vaso di coccio in mezzo a due di ferro» spiega il professore Giuliano Noci prorettore del Politecnico, durante il dibattito su «Europa, patto di stabilità, Mes e Pnrr. Quando troppe regole rallentano la crescita», citando una famosa massima di Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi («Come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro»). Del resto, in Europa «Ursula von dei Leyen ha aperto il suo mandato con il green deal, spingendo sulle auto elettriche: a Pechino non potevano essere più fellici» continua Noci. «Siamo nelle mani di Pechino, il 90 % dei diritti di produzione è in mano a un paese che sia chiama Cina. E la stessa Cina ha un vantaggio di due salti tecnologici rispetto agli Stati Uniti».
Per il professore del Politecnico, «l'Europa ha peccato di idealismo, come quando l'Unione europea in nome di un principio indiscutibile ha bloccato la fusione tra Aston e Siemens, che è stato un favore a americani e cinesi». Proprio Ricci, moderato dalla giornalista Camilla Conti, ha ribadito che anche sul patto di stabilità, «l'Europa ha bisogno di un bagno di concretezza, è l'unico baluardo che noi possiamo avere di fronte ai grandi competitor. Oppure rischiamo di diventare un vaso di coccio tra due vasi di ferro». L'Europa insomma «deve diventare un soggetto politico forte». Per esempio «se non siamo in grado di avere una politica seria sul digitale» non si va da nessuna parte. «Stiamo investendo meno di un miliardo di euro sull'intelligenza artificiale, nonostante le eccellenze italiane».
Anche Marco Gay, presidente esecutivo di Zest, ha aggiunto di non voler essere nemmeno un pezzettino piccolo di quel vaso di coccio. «Siamo un territorio forte, dobbiamo collaborare per rafforzare il sistema. C'è bisogno di innovazione con regole chiare da rispettare. L'Italia può fare la differenza tecnologica». Anche per Marco Fossataro del gruppo Fs, «l'Italia deve continuare a sviluppare la sua infrastruttura ferroviaria». Il green deal europeo è molto sfidante, anche perché il treno deve ridurre le emissioni di anidride carbonica raddoppiando la sua velocità nel 2034 e triplicandola nel 2050. Però va rilevato che servono risorse immediate per collegare tutte le capitali d'Europa» anche per stare al passo della Cina «dove hanno costruito in poco tempo 40000 chilometri» di binari.