
«Se fanno la separazione delle carriere sul serio, io ci sono», dice il leader di Italia viva.«Se fanno la separazione delle carriere sul serio, ci sono. Se abbassano le tasse, ci sono. Se fanno una riforma costituzionale seria, con superamento del bicameralismo, ci sono»: Matteo Renzi in una intervista al Giornale del 31 dicembre, tra varie accuse al governo e al centrodestra, lancia anche un avvertimento al centrosinistra. I 14 parlamentari di Italia viva (7 deputati e 7 senatori) possono essere determinanti per consentire alla maggioranza di raggiungere alcuni obiettivi fino ad ora sfumati, a partire dall’elezione dei giudici della Corte costituzionale, elezione che ha bisogno di un quorum di 3/5 dei parlamentari riuniti in seduta comune. Un quorum che il centrodestra da solo non riesce a raggiungere, ma a sfiorare sì: basterebbe un «aiutino» di Renzi e la situazione si sbloccherebbe senza dover ricorrere a una trattativa con le opposizioni. Fantapolitica? Quando c’è di mezzo Matteo Renzi, il confine tra realtà e fantasia è sempre assai labile; quando poi il Renzi di cui sopra è pure nervosetto allora di impossibile non c’è nulla. Nervosetto Renzi in queste settimane lo è, perché in quell’area di centro che il leader di Italia viva ha fino ad ora presidiato insieme a Carlo Calenda si sta muovendo qualcosa di serio. Il prossimo 18 gennaio, infatti, a Milano, presso il palazzo della Regione Lombardia, il senatore Dem Graziano Delrio, storico alfiere dei temi cari al cattolicesimo democratico, presenta Comunità Democratica, per molti addetti ai lavori embrione del nuovo partito di centro che dovrebbe raggranellare quel 7-8% di voti necessari al centro-sinistra per vincere le elezioni politiche del 2027. Un remake del Partito Popolare Italiano che vedrà come padrini di battesimo due pezzi grossi della tradizione democristiana come Romano Prodi e Pierluigi Castagnetti, mentre in prima fila ci sarà Ernesto Maria Ruffini, ex capo della Agenzia delle Entrate pronto per il grande salto in politica, dipinto dalla stampa pure troppo amica come possibile «federatore» del centrosinistra. Una operazione destinata a tagliare fuori dai giochi proprio Renzi, appena rientrato nel centrosinistra e grande sostenitore della candidatura a premier di Elly Schlein, prospettiva che (eufemismo) non entusiasma gran parte del Pd, quella cosiddetta riformista, lontana anni luce dalle posizioni radicali della segretaria e soprattutto del cerchietto magico che la circonda, composto da protagonisti politici di sinistra più o meno estrema. In estrema sintesi, se la Schlein sta trasformando il Pd nel nuovo Pci-Pds-Ds, tanto vale rimettere in piedi la Margherita e costruire una coalizione di centro-sinistra col trattino guidata da un leader che non sia il capo di uno dei partiti che la compongono, come ai tempi dell’Unione di Prodi. Una operazione che ha una sua logica, ma che finisce col mettere ai margini proprio Renzi, non a caso ruvido nel giudizio: «Chi guida», ha detto Renzi alla Stampa, «il centrosinistra? Chi ha più voti. Vedo in atto i soliti giochini delle correnti Pd per fare le scarpe alla Schlein: la storia del federatore, il Papa straniero. Per me la coalizione la guida chi ha più voti. E il centro lo guida chi ha più idee». In poche righe un colpo a Ruffini e uno a Delrio, un assist alla Schlein e uno a sé stesso: difficile immaginare che chi ha più idee, secondo Renzi, non sia Renzi. «Un partito di centro», ha detto ancora Renzi, «serve. E sarà decisivo. Senza un centro cattolico, liberale, riformista accanto al Pd di Schlein, le elezioni non si vincono. Ho l’ambizione di costruirlo, non di guidarlo». Qualcuno questo partito lo sta già costruendo, tuttavia fino al 2027 tutto sarà virtuale, mentre i 14 parlamentari renziani sono lì in carne e ossa, pronti magari a offrire un sostegno alla maggioranza, in nome naturalmente dell’interesse supremo dell’Italia.
Galeazzo Bignami (Ansa)
Malan: «Abbiamo fatto la cosa istituzionalmente più corretta». Romeo (Lega) non infierisce: «Garofani poteva fare più attenzione». Forza Italia si defila: «Il consigliere? Posizioni personali, non commentiamo».
Come era prevedibile l’attenzione del dibattito politico è stata spostata dalle parole del consigliere del presidente della Repubblica Francesco Saverio Garofani a quelle del capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio Galeazzo Bignami. «L’onorevole Bignami e Fratelli d’Italia hanno tenuto sulla questione Garofani un comportamento istituzionalmente corretto e altamente rispettoso del presidente della Repubblica», ha sottolineato il capo dei senatori di Fdi, Lucio Malan. «Le polemiche della sinistra sono palesemente pretestuose e in mala fede. Ieri un importante quotidiano riportava le sorprendenti frasi del consigliere Garofani. Cosa avrebbe dovuto fare Fdi, e in generale la politica? Bignami si è limitato a fare la cosa istituzionalmente più corretta: chiedere al diretto interessato di smentire, proprio per non tirare in ballo il Quirinale e il presidente Mattarella in uno scontro istituzionale. La reazione scomposta del Pd e della sinistra sorgono dal fatto che avrebbero voluto che anche Fdi, come loro, sostenesse che la notizia riportata da La Verità fosse una semplice fake news.
Giorgia Meloni e Sergio Mattarella (Ansa)
Faccia a faccia di mezz’ora. Alla fine il presidente del Consiglio precisa: «Non c’è nessuno scontro». Ma all’interlocutore ha rinnovato il «rammarico» per quanto detto dal suo collaboratore. Del quale adesso auspicherebbe un passo indietro.
Poker a colazione. C’era un solo modo per scoprire chi avesse «sconfinato nel ridicolo» (come da sprezzante comunicato del Quirinale) e Giorgia Meloni è andata a vedere. Aveva buone carte. Di ritorno da Mestre, la premier ha chiesto un appuntamento al presidente della Repubblica ed è salita al Colle alle 12.45 per chiarire - e veder chiarite - le ombre del presunto scontro istituzionale dopo lo scoop della Verità sulle parole dal sen sfuggite al consigliere Francesco Saverio Garofani e mai smentite. Il colloquio con Sergio Mattarella è servito a sancire sostanzialmente due punti fermi: le frasi sconvenienti dell’ex parlamentare dem erano vere e confermate, non esistono frizioni fra Palazzo Chigi e capo dello Stato.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Altro che «attacco ridicolo», come aveva scritto il Quirinale. Garofani ammette di aver pronunciato in un luogo pubblico il discorso anti premier. E ora prova a farlo passare come «chiacchiere tra amici».
Sceglie il Corriere della Sera per confermare tutto quanto scritto dalla Verità: Francesco Saverio Garofani, ex parlamentare Pd, consigliere del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, finito nella bufera per alcune considerazioni politiche smaccatamente di parte, tutte in chiave anti Meloni, pronunciate in un ristorante e riportate dalla Verità, non smentisce neanche una virgola di quanto da noi pubblicato.






