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2025-01-14
Nuovi testimoni sul Capodanno horror. «Abusate a lungo», ma Sala tace ancora
Ansa
È evidente: qualcuno, qui, ha un problema di loquacità a corrente alternata. Tipo Sergio Mattarella, che redarguì le forze dell’ordine per le cariche sugli studenti a Pisa, ma adesso non trova le parole adeguate a commentare le violenze sugli agenti ai cortei per Ramy. E Beppe Sala, il quale non ha avuto remore a definire un «segnale brutto» le immagini dell’inseguimento dei carabinieri allo scooter del Corvetto, però, sulle molestie a sfondo islamista del Capodanno a Milano, si è limitato a un laconico: «Non sappiamo nulla». Be’, ora sappiamo qualcosa in più. Abbastanza da essere autorizzati a sospettare che, quella notte, nel capoluogo lombardo, siano state perpetrate quelle molestie collettive note, in arabo, con l’espressione «taharrush gamea». È un «segnale brutto» oppure no?
Ieri, la Procura ha ascoltato per tre ore dei nuovi testimoni di questa storiaccia: due ventenni, bersaglio di abusi e angherie di gruppo. Gli esagitati avrebbero provato ad accerchiare lei, all’ingresso della Galleria Vittorio Emanuele: «Mi sono trovata circondata da un corridoio umano di circa 30, 40 persone», «soprattutto stranieri», alcuni dei quali facevano da palo. «Mi hanno messo le mani addosso, mi sono sentita palpeggiata per molto tempo». «Ho visto anche altre ragazze che piangevano». Drammatico il racconto del compagno: «Non riuscivo a tirarla fuori. Ce l’ho fatta strappandola a forza». Al momento, sono cinque i casi - con sette vittime - su cui stanno indagando la procuratrice aggiunta, Letizia Mannella, e la pm Alessia Menegazzo, insieme agli investigatori della Squadra mobile. Costoro hanno raccolto denuncia e verbale di una studentessa belga, la prima ad aver reso noto ciò che era accaduto a poca distanza dal Duomo: Laura Bariber, agli inquirenti, ha riferito, in modo del tutto simile alla coetanea di ieri, di un «muro umano che ci bloccava». Un episodio in merito al quale Sala, almeno fino alla metà della scorsa settimana, era apparso oltremodo prudente: «Non dico che non è successo niente», aveva dichiarato, «però non abbiamo una denuncia formale, non abbiamo immagini di telecamere, quindi prima di parlare e dare giudizi bisogna avere degli elementi». Per dare giudizi sui carabinieri, gli erano stati sufficienti i video della dashcam sulla volante e quello, poco chiaro, dell’incrocio in cui era avvenuto l’incidente mortale. Ormai, le segnalazioni sui misfatti di Capodanno si sono moltiplicate: ci sono le testimonianze di una donna di professione avvocato, quella di una giovane inglese che ha sporto denuncia nel suo Paese e, appunto, quelle della coppia che sostiene di essere stata aggredita. Sarà possibile parlare, dunque? Sarà opportuno dare giudizi?
Non è una scena inedita, quella che vede Milano diventare teatro di violenze di massa. Nella nottata a cavallo tra il 31 dicembre 2021 e il primo gennaio 2022, nove ragazze vennero abusate e rapinate, sempre in piazza Duomo, da una trentina di stranieri. Gli autori del crimine parlarono di «bravata», ma già all’epoca si citò la pratica della «taharrush gamea». Le indagini portarono a 18 perquisizioni, quattro arresti e altrettante condanne a vario titolo, con pene da tre anni e dieci mesi a cinque anni e dieci mesi.
Sembra che l’odioso fenomeno, all’inizio, fosse stato documentato in Egitto nel 2005, quando la molestia collettiva venne sfruttata dalle stesse forze dell’ordine del regime per costringere alla resa le donne che protestavano in piazza Tahrir al Cairo. Nel 2016, l’orrore fece capolino nell’Occidente civilizzato e accogliente. Elemento comune con le vicende milanesi: le celebrazioni per il Capodanno. A Colonia, diverse centinaia di giovani, molti dei quali ubriachi, si abbandonarono ad atti di teppismo e ad assalti sessuali. La notizia, nondimeno, tardò a diffondersi: ci vollero giorni prima di capire che i generici disordini causati da «rifugiati» erano una specie di scorreria con annessi abusi di gruppo. E anche le reticenze delle autorità destarono scalpore.
Il fatto che uno scenario simile si sia ripetuto per ben due volte a Milano dovrebbe preoccupare la Questura e la Prefettura. Ma sarebbe bene si svegliassero anche a Palazzo Marino. L’amministrazione comunale si fregia di un delegato alla Sicurezza, l’ex capo della polizia, Franco Gabrielli, pure lui affetto da logorrea intermittente. Pure lui, incautamente, lesto a bacchettare i militari dell’Arma che erano corsi dietro al TMax con Ramy Elgaml l’amico: «Non è sicuramente la modalità corretta con cui si conduce un inseguimento».
Ieri, in Consiglio comunale, si è accesa la polemica. Silvia Sardone, della Lega, la prima a parlare apertamente di ciò che è accaduto a San Silvestro, ha attaccato il sindaco: «A 13 giorni di distanza, non abbiamo ancora sentito da Beppe Sala mezza parola. Ha parlato di nucleare, nomine Rai, futuro partito di centro, ma sulle ragazze violentate in piazza del Duomo perde la parola. E non è il solo: stanno zitte Schlein, Boldrini e le femministe che parlano di patriarcato, ma non del patriarcato islamico». La soluzione ce l’ha Europa Verde: «La sicurezza va affrontata interrogandosi sulle cause». Sarà colpa del razzismo sistemico?
Più concreto l’operato delle toghe: oggi, il procuratore capo di Milano, Marcello Viola, farà il punto della situazione con le colleghe. Magari Sala recupererà la favella.
Venivano in Italia da turisti e portavano a casa i sussidi
Ancora una truffa ai danni dello Stato legata ai flussi migratori e agli aiuti a pioggia che l’Italia riserva agli stranieri. A smascherare il sistema criminale attraverso l’operazione Easy Money è stata la polizia di Civitavecchia con il coordinamento della locale Procura, diretta dal Procuratore Capo Alberto Liguori. La truffa, che è costata alle casse dell’Inps circa 300.000 euro, era stata messa in piedi da 9 tunisini, da ieri iscritti nel registro degli indagati, con l’accusa di aver fraudolentemente ottenuto denaro pubblico, arrivati a Civitavecchia e in altri porti con traghetti regolari partiti dalla Tunisia e che si fingevano poveri e senza permesso di soggiorno per poter ottenere quei benefici che in Italia spettano ai cittadini meno abbienti. Dopo un anno di indagini gli uomini della Polizia di frontiera marittima di Civitavecchia, attraverso i numerosissimi controlli all’atto dell’imbarco o dello sbarco di cittadini extracomunitari presenti a bordo di traghetti da e per Tunisi, hanno accertato che i tunisini indagati simulavano la presenza continuativa sul territorio italiano e con reddito sotto le soglie previste per i sostegni, al fine di ottenere permessi di soggiorno e svariati altri bonus e benefici economici, come assegno unico, assegno per il nucleo familiare, voucher per l’istruzione e bonus maternità, che però utilizzavano in Tunisia con le loro famiglie. Insomma, venivano come turisti e poi se ne tornavano a casa, ma con in tasca documenti e bonus destinati a chi vive qui.Per ottenere questi sussidi i nove indagati hanno presentato una serie di documenti falsi che attestavano la loro presunta precarietà economica, la presenza stabile in Italia del nucleo familiare nonché la residenza sul territorio italiano.Ma non solo, molti dei tunisini avevano soggiornato in Italia soltanto per brevi periodi ma i minori beneficiari dei bonus educativi non avevano neppure mai frequentato scuole italiane e disconoscevano totalmente la lingua italiana, avendo anche loro soggiornato in Italia solo per brevi periodi, solo come turisti. Tutto ciò è stato scoperto anche grazie a una serie di testimoni che la polizia ha ascoltato a Civitevecchia, nella provincia e in altre città. I dirigenti e il personale degli istituti scolastici dove risultavano iscritti i ragazzini hanno ammesso che quei bambini non avevano frequentato nemmeno un giorno di scuola. Non è la prima volta comunque che stranieri irregolari mettono in atto una truffa sui permessi di soggiorno. Nella prima metà dello scorso anno sono stati 305 i rifugiati pronti a tornare con visto turistico dall’Italia nella loro patria di origine, dalla quale erano fuggiti perché «perseguitati». A proposito di «porti sicuri»... L’inchiesta della Polizia Easy Money, condotta a tappeto su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di Comuni, scuole e Istituti Nazionali di Previdenza Sociale e in collaborazione con le Procure di Genova, Velletri, Tivoli, Siena, Pistoia e Ancona, ha evidenziato ad ora un danno complessivo stimato in 300.000 euro di denaro pubblico indebitamente erogato. Nel frattempo sono state già avviate le procedure per la revoca dei permessi di soggiorno ottenuti illecitamente dagli stranieri, oltre che per il recupero delle somme indebitamente erogate dallo Stato nei loro confronti.
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La Procura di Milano al lavoro su cinque casi con sette vittime: «Finite in un corridoio umano di 40 stranieri e palpeggiate».Truffa da 300.000 euro su permessi e voucher: 9 indagati. I tunisini restavano qui per poco tempo, spacciandosi per residenti. Lo speciale contiene due articoli.È evidente: qualcuno, qui, ha un problema di loquacità a corrente alternata. Tipo Sergio Mattarella, che redarguì le forze dell’ordine per le cariche sugli studenti a Pisa, ma adesso non trova le parole adeguate a commentare le violenze sugli agenti ai cortei per Ramy. E Beppe Sala, il quale non ha avuto remore a definire un «segnale brutto» le immagini dell’inseguimento dei carabinieri allo scooter del Corvetto, però, sulle molestie a sfondo islamista del Capodanno a Milano, si è limitato a un laconico: «Non sappiamo nulla». Be’, ora sappiamo qualcosa in più. Abbastanza da essere autorizzati a sospettare che, quella notte, nel capoluogo lombardo, siano state perpetrate quelle molestie collettive note, in arabo, con l’espressione «taharrush gamea». È un «segnale brutto» oppure no?Ieri, la Procura ha ascoltato per tre ore dei nuovi testimoni di questa storiaccia: due ventenni, bersaglio di abusi e angherie di gruppo. Gli esagitati avrebbero provato ad accerchiare lei, all’ingresso della Galleria Vittorio Emanuele: «Mi sono trovata circondata da un corridoio umano di circa 30, 40 persone», «soprattutto stranieri», alcuni dei quali facevano da palo. «Mi hanno messo le mani addosso, mi sono sentita palpeggiata per molto tempo». «Ho visto anche altre ragazze che piangevano». Drammatico il racconto del compagno: «Non riuscivo a tirarla fuori. Ce l’ho fatta strappandola a forza». Al momento, sono cinque i casi - con sette vittime - su cui stanno indagando la procuratrice aggiunta, Letizia Mannella, e la pm Alessia Menegazzo, insieme agli investigatori della Squadra mobile. Costoro hanno raccolto denuncia e verbale di una studentessa belga, la prima ad aver reso noto ciò che era accaduto a poca distanza dal Duomo: Laura Bariber, agli inquirenti, ha riferito, in modo del tutto simile alla coetanea di ieri, di un «muro umano che ci bloccava». Un episodio in merito al quale Sala, almeno fino alla metà della scorsa settimana, era apparso oltremodo prudente: «Non dico che non è successo niente», aveva dichiarato, «però non abbiamo una denuncia formale, non abbiamo immagini di telecamere, quindi prima di parlare e dare giudizi bisogna avere degli elementi». Per dare giudizi sui carabinieri, gli erano stati sufficienti i video della dashcam sulla volante e quello, poco chiaro, dell’incrocio in cui era avvenuto l’incidente mortale. Ormai, le segnalazioni sui misfatti di Capodanno si sono moltiplicate: ci sono le testimonianze di una donna di professione avvocato, quella di una giovane inglese che ha sporto denuncia nel suo Paese e, appunto, quelle della coppia che sostiene di essere stata aggredita. Sarà possibile parlare, dunque? Sarà opportuno dare giudizi?Non è una scena inedita, quella che vede Milano diventare teatro di violenze di massa. Nella nottata a cavallo tra il 31 dicembre 2021 e il primo gennaio 2022, nove ragazze vennero abusate e rapinate, sempre in piazza Duomo, da una trentina di stranieri. Gli autori del crimine parlarono di «bravata», ma già all’epoca si citò la pratica della «taharrush gamea». Le indagini portarono a 18 perquisizioni, quattro arresti e altrettante condanne a vario titolo, con pene da tre anni e dieci mesi a cinque anni e dieci mesi.Sembra che l’odioso fenomeno, all’inizio, fosse stato documentato in Egitto nel 2005, quando la molestia collettiva venne sfruttata dalle stesse forze dell’ordine del regime per costringere alla resa le donne che protestavano in piazza Tahrir al Cairo. Nel 2016, l’orrore fece capolino nell’Occidente civilizzato e accogliente. Elemento comune con le vicende milanesi: le celebrazioni per il Capodanno. A Colonia, diverse centinaia di giovani, molti dei quali ubriachi, si abbandonarono ad atti di teppismo e ad assalti sessuali. La notizia, nondimeno, tardò a diffondersi: ci vollero giorni prima di capire che i generici disordini causati da «rifugiati» erano una specie di scorreria con annessi abusi di gruppo. E anche le reticenze delle autorità destarono scalpore.Il fatto che uno scenario simile si sia ripetuto per ben due volte a Milano dovrebbe preoccupare la Questura e la Prefettura. Ma sarebbe bene si svegliassero anche a Palazzo Marino. L’amministrazione comunale si fregia di un delegato alla Sicurezza, l’ex capo della polizia, Franco Gabrielli, pure lui affetto da logorrea intermittente. Pure lui, incautamente, lesto a bacchettare i militari dell’Arma che erano corsi dietro al TMax con Ramy Elgaml l’amico: «Non è sicuramente la modalità corretta con cui si conduce un inseguimento».Ieri, in Consiglio comunale, si è accesa la polemica. Silvia Sardone, della Lega, la prima a parlare apertamente di ciò che è accaduto a San Silvestro, ha attaccato il sindaco: «A 13 giorni di distanza, non abbiamo ancora sentito da Beppe Sala mezza parola. Ha parlato di nucleare, nomine Rai, futuro partito di centro, ma sulle ragazze violentate in piazza del Duomo perde la parola. E non è il solo: stanno zitte Schlein, Boldrini e le femministe che parlano di patriarcato, ma non del patriarcato islamico». La soluzione ce l’ha Europa Verde: «La sicurezza va affrontata interrogandosi sulle cause». Sarà colpa del razzismo sistemico?Più concreto l’operato delle toghe: oggi, il procuratore capo di Milano, Marcello Viola, farà il punto della situazione con le colleghe. Magari Sala recupererà la favella. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nuovi-testimoni-sul-capodanno-horror-2670808764.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="venivano-in-italia-da-turisti-e-portavano-a-casa-i-sussidi" data-post-id="2670808764" data-published-at="1736802170" data-use-pagination="False"> Venivano in Italia da turisti e portavano a casa i sussidi Ancora una truffa ai danni dello Stato legata ai flussi migratori e agli aiuti a pioggia che l’Italia riserva agli stranieri. A smascherare il sistema criminale attraverso l’operazione Easy Money è stata la polizia di Civitavecchia con il coordinamento della locale Procura, diretta dal Procuratore Capo Alberto Liguori. La truffa, che è costata alle casse dell’Inps circa 300.000 euro, era stata messa in piedi da 9 tunisini, da ieri iscritti nel registro degli indagati, con l’accusa di aver fraudolentemente ottenuto denaro pubblico, arrivati a Civitavecchia e in altri porti con traghetti regolari partiti dalla Tunisia e che si fingevano poveri e senza permesso di soggiorno per poter ottenere quei benefici che in Italia spettano ai cittadini meno abbienti. Dopo un anno di indagini gli uomini della Polizia di frontiera marittima di Civitavecchia, attraverso i numerosissimi controlli all’atto dell’imbarco o dello sbarco di cittadini extracomunitari presenti a bordo di traghetti da e per Tunisi, hanno accertato che i tunisini indagati simulavano la presenza continuativa sul territorio italiano e con reddito sotto le soglie previste per i sostegni, al fine di ottenere permessi di soggiorno e svariati altri bonus e benefici economici, come assegno unico, assegno per il nucleo familiare, voucher per l’istruzione e bonus maternità, che però utilizzavano in Tunisia con le loro famiglie. Insomma, venivano come turisti e poi se ne tornavano a casa, ma con in tasca documenti e bonus destinati a chi vive qui.Per ottenere questi sussidi i nove indagati hanno presentato una serie di documenti falsi che attestavano la loro presunta precarietà economica, la presenza stabile in Italia del nucleo familiare nonché la residenza sul territorio italiano.Ma non solo, molti dei tunisini avevano soggiornato in Italia soltanto per brevi periodi ma i minori beneficiari dei bonus educativi non avevano neppure mai frequentato scuole italiane e disconoscevano totalmente la lingua italiana, avendo anche loro soggiornato in Italia solo per brevi periodi, solo come turisti. Tutto ciò è stato scoperto anche grazie a una serie di testimoni che la polizia ha ascoltato a Civitevecchia, nella provincia e in altre città. I dirigenti e il personale degli istituti scolastici dove risultavano iscritti i ragazzini hanno ammesso che quei bambini non avevano frequentato nemmeno un giorno di scuola. Non è la prima volta comunque che stranieri irregolari mettono in atto una truffa sui permessi di soggiorno. Nella prima metà dello scorso anno sono stati 305 i rifugiati pronti a tornare con visto turistico dall’Italia nella loro patria di origine, dalla quale erano fuggiti perché «perseguitati». A proposito di «porti sicuri»... L’inchiesta della Polizia Easy Money, condotta a tappeto su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di Comuni, scuole e Istituti Nazionali di Previdenza Sociale e in collaborazione con le Procure di Genova, Velletri, Tivoli, Siena, Pistoia e Ancona, ha evidenziato ad ora un danno complessivo stimato in 300.000 euro di denaro pubblico indebitamente erogato. Nel frattempo sono state già avviate le procedure per la revoca dei permessi di soggiorno ottenuti illecitamente dagli stranieri, oltre che per il recupero delle somme indebitamente erogate dallo Stato nei loro confronti.
Il governatore della banca centrale indiana Sanjay Malhotra (Getty Images)
La decisione arriva dopo i dati ufficiali diffusi la scorsa settimana, che certificano un’espansione dell’8,2% nel trimestre chiuso a settembre. Numeri che mostrano come l’economia indiana abbia finora assorbito senza scosse l’impatto dei dazi al 50% imposti dagli Stati Uniti sulle esportazioni di Nuova Delhi.
Un sostegno decisivo è arrivato dal crollo dell’inflazione: dal sopra il 6% registrato nel 2024 a livelli prossimi allo zero. Un calo che, secondo gli analisti, offre ulteriore margine per nuovi tagli nei prossimi mesi. «Nonostante un contesto esterno sfavorevole, l’economia indiana ha mostrato una resilienza notevole», ha dichiarato Malhotra, pur avvertendo che la crescita potrebbe «attenuarsi leggermente». Ma la combinazione di espansione superiore alle attese e inflazione «benigna» nel primo semestre fiscale rappresenta, ha aggiunto, «un raro periodo Goldilocks».
Sulla scia dell’ottimismo, l’RBI ha rivisto al rialzo la stima di crescita per l’anno fiscale che si chiuderà a marzo: +7,3%, mezzo punto in più rispetto alle previsioni precedenti.
La reazione dei mercati è stata immediata: la Borsa di Mumbai ha chiuso in rialzo (Sensex +0,2%, Nifty 50 +0,3%), mentre la rupia si è indebolita dello 0,4% superando quota 90 sul dollaro, molto vicino ai minimi storici toccati due giorni prima. La valuta indiana è la peggiore d’Asia dall’inizio dell’anno. Malhotra ha ribadito che la banca centrale non persegue un tasso di cambio specifico: «Il nostro obiettivo è solo ridurre volatilità anomala o eccessiva».
Il Paese, fortemente trainato dalla domanda interna, risente meno di altri dell’offensiva tariffaria voluta da Donald Trump, che ad agosto ha raddoppiato i dazi sui prodotti indiani come ritorsione per gli acquisti di petrolio russo scontato. Una rupia debole, inoltre, aiuta alcuni esportatori a restare competitivi. Tuttavia, gli analisti prevedono che gli effetti più pesanti della guerra commerciale si vedranno nell’attuale trimestre e invitano a prudenza anche sulla recente lettura del Pil.
Tra gli obiettivi politici di lungo periodo rimane quello fissato dal premier Narendra Modi: diventare un Paese «sviluppato» entro il 2047, centenario dell’indipendenza. Per riuscirci, servirebbe una crescita media dell’8% l’anno. Il governo ha avviato negli ultimi mesi una serie di riforme strutturali - dalla semplificazione dell’imposta su beni e servizi alla revisione del codice del lavoro - per proteggere l’economia dagli shock esterni.
Malhotra aveva assunto la guida dell’RBI in una fase di rallentamento economico e inflazione oltre il tetto del 6%. Da allora ha accelerato sul fronte monetario: tre tagli consecutivi nei primi mesi del 2025 per un punto percentuale complessivo. L’inflazione retail di ottobre si è fermata allo 0,25% annuo.
Il governatore ha annunciato anche un intervento di liquidità: operazioni di mercato aperto per 1.000 miliardi di rupie e swap dollaro-rupia per 5 miliardi di dollari, per sostenere il sistema finanziario.
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Palazzo Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione europea (Getty Images)
Una di queste si chiama S-info, che sta per Sustainable information. Come si legge sul sito ufficiale, «si tratta di un progetto finanziato dall’Ue, incentrato sui media e ispirato dall’esigenza di rafforzare la democrazia. Ha una durata di due anni, da dicembre 2023 a novembre 2025. Coinvolge organizzazioni di quattro Paesi dell’Unione europea: Italia, Belgio, Romania e Malta. Il progetto esplorerà i modi in cui gli attivisti della società civile e i giornalisti indipendenti possono collaborare per svolgere giornalismo investigativo, combattere la disinformazione, combattere la corruzione, promuovere i diritti sociali e difendere l’ambiente. L’obiettivo finale è quello di creare un modello operativo di attivismo mediatico sostenibile che possa essere trasferito ad altri Paesi e contesti».
La tiritera è la solita: lotta alla disinformazione, promozione dei diritti... S-info è finanziato da Eacea, ovvero l’agenzia esecutiva della Commissione europea che gestisce il programma Europa creativa, il quale a sua volta finanzia il progetto giornalistico in questione con la bellezza di 492.989 euro. E che cosa fa con questi soldi il progetto europeo? Beh, tra le altre cose finanzia inchieste che sono presentate come giornalismo investigativo. Una di queste è stata realizzata da Alice Dominese, la cui biografia online descrive come «laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali tra Italia e Francia, con un master in giornalismo. Collabora con L’Espresso e Domani, e ha scritto per La Stampa, Il Manifesto e The Post Internazionale, tra gli altri. Si occupa principalmente di diritti, migrazione e tematiche di genere».
La sua indagine, facilmente rintracciabile online, è intitolata Sottotraccia ed è dedicata ai temibili movimenti pro vita. «Questo articolo», si legge nella presentazione, «è il frutto di una delle due inchieste finanziate in Italia dal grant del progetto europeo S-info, cofinanziato dalla Commissione europea. La pubblicazione originale si trova sul sito ufficiale del progetto. In questa inchiesta, interviste e analisi di documenti ottenuti tramite una richiesta di accesso agli atti esplorano il rapporto tra movimento antiabortista, sanità e servizi pubblici in Piemonte. Le informazioni raccolte fanno luce sull’uso che le associazioni pro vita fanno dei finanziamenti regionali e sul ruolo della Stanza dell’ascolto, il presidio che ha permesso a queste associazioni di inserirsi nel primo ospedale per numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia».
Niente in contrario ai finanziamenti pubblici, per carità. Ma guarda caso questi soldi finiscono a giornalisti decisamente sinistrorsi che, pronti via, se la prendono con i movimenti per la vita. Non stupisce, dopo tutto i partner italiani del progetto S-info sono Globalproject.info, Melting pot Europa e Sherwood.it, tutti punti di riferimento mediatici della sinistra antagonista.
Proprio Radio Sherwood, lo scorso giugno, ha organizzato a Padova il S-info day, durante il quale è stato presentato il manifesto per il giornalismo sostenibile. Evento clou della giornata un dibattito intitolato «Sovvertire le narrazioni di genere». Partecipanti: «L’attivista transfemminista Elena Cecchettin e la giornalista Giulia Siviero, moderato da Anna Irma Battino di Global project». La discussione si è concentrata «su come le narrazioni di genere, troppo spesso costruite attorno a stereotipi o plasmate da dinamiche di potere, possano essere decostruite e trasformate attraverso un giornalismo più consapevole, posizionato e inclusivo». Tutto meraviglioso: la Commissione europea combatte la disinformazione finanziando incontri sulla decostruzione del genere e inchieste contro i pro vita. Alla faccia della libera informazione.
«Da Bruxelles», ha dichiarato Maurizio Marrone, assessore piemontese alle Politiche sociali, «arriva una palese ingerenza estera per screditare azioni deliberate dal governo regionale eletto dai piemontesi, peraltro con allarmismi propagandistici smentiti dalla realtà. Il nostro fondo Vita nascente finanzia sì anzitutto i progetti dei centri di aiuto alla vita a sostegno delle madri in difficoltà, ma eroga contributi anche ai servizi di assistenza pubblica per le medesime finalità, partendo dall’accompagnamento nei parti in anonimato. Ci troviamo di fronte a un grave precedente, irrispettoso delle autonomie locali italiane e della loro sovranità».
Carlo Fidanza, capodelegazione europeo di Fdi, annuncia invece che presenterà «un’interrogazione parlamentare alla Commissione europea per far luce sui finanziamenti dell’agenzia Eacea a questi attacchi mediatici creati a tavolino per alimentare odio ideologico contro il volontariato pro vita. L’Unione europea dovrebbe sostenere le politiche delle Regioni italiane, non alimentare con soldi pubblici la macchina del fango contro le loro iniziative non omologate al pensiero unico woke».
Insomma, a Bruxelles piace il giornalismo libero. A patto che sia pagato dai contribuenti per prendersela con i nemici ideologici.
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Lo stand della casa editrice Passaggio al bosco a «Più libri più liberi» (Ansa)
Basta guardare la folla che si presenta e, con un pizzico di curiosità, guarda i titoli di questa casa editrice. Titoli che si sono esauriti in pochissimo tempo. La rivoluzione conservatrice, un volume scritto da Armin Mohler, che racconta la storia intellettuale della Germania tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. «Abbiamo dovuto chiedere di portarci nuovi libri», spiegano dalla casa editrice, «perché ormai ne avevamo davvero pochi e alcuni titoli erano completamente esauriti». Oppure Psicopatologia del radical chic, che immaginiamo sia stato parecchio utile in questi giorni di polemica per comprendere come ragiona chi, in nome della libertà, vorrebbe la censura per gli altri. Oppure Coraggio. Manuale di guerriglia culturale. Una virtù, quella del coraggio appunto, che parrebbe mancare a chi, come ad esempio Alessandro Barbero, nel 2019 diceva: «Penso che l’antifascismo non passi necessariamente attraverso il proibire a una casa editrice di destra di avere uno stand». E che oggi invece sottoscrive appelli per boicottare una casa editrice di destra insieme a Zerocalcare, che ha deciso di non partecipare alla kermesse ma di continuare comunque a vendere i suoi libri (come si dice in romanesco pecunia non olet?). Corrado Augias, invece, è riuscito a fare di meglio. Ha scritto una lettera, a Repubblica ovviamente, in cui ha annunciato che non si sarebbe presentato in fiera, dove avrebbe dovuto parlare di Piero Gobetti. Una lettera piena di pathos, quasi che si trovasse al confino, in cui spiegava: «Io sono favorevole alla tolleranza, anzi la pratico - anche con gli intolleranti per scelta, per età, per temperamento. C’è però una distinzione. Un conto sono gli intolleranti un altro, ben diverso, chi si fa partecipe cioè complice delle idee di un regime criminale come il nazismo». Perché si inizia sempre così: sono tollerante, ma fino a un certo punto. Anzi: fino al «però». Fino a dove ci sono quelli che Augias definisce nazisti, anche se in realtà non lo sono.
Dallo stand di Passaggio al bosco, come dicevamo, stanno passando tutti. Alcuni chiedono di parlare con l’editore, Marco Scatarzi, dicendo di condividere poco o nulla di ciò che stampa, ma esprimendo comunque solidarietà nei suoi confronti. Ci sono anche scolaresche che si fermano e pongono domande su quei libri «proibiti». Anche Anna Paola Concia, che certamente non può essere considerata una pericolosa reazionaria, è andata a visitare lo stand esprimendo vicinanza a Passaggio al bosco. Il mondo al contrario, appunto. O solamente un mondo in cui c’è un po’ di buonsenso. Quello che ti fa dire che chiunque può pubblicare qualsiasi testo purché non sia contrario alla legge.
C’è chi, però, continua a non accettare la presenza della casa editrice. Nel pomeriggio di ieri, per esempio, un gruppo di femministe ha prima urlato «siamo tutte antifasciste» e poi ha lanciato un volantino in cui si dà la colpa al capitalismo, che insieme al nazismo è ovunque, se Passaggio al bosco è lì. Oggi, inoltre, una ventina di case editrici ha deciso di coprire, per una mezz’ora di protesta, i propri libri. «Questo è ciò che è accaduto alla libertà di stampa e di pensiero quando i fascisti e i nazisti hanno messo in pratica la loro libertà di espressione. Vogliamo una Più libri più liberi antifascista».
Per una strana eterogenesi dei fini, gli stand delle case editrici più agguerrite contro Passaggio al bosco, tra cui per esempio Red Star, sono vuoti. Pochi visitatori spaesati si aggirano tra i libri su Lenin e quelli su Stalin. Un fantasma si aggira per gli stand: ed è quello degli antifa.
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