2023-12-05
I nuovi aristocratici? Sono i «competenti»
Nella prefazione alla riedizione di «Potere», Lorenzo Castellani indica l’attualità del libro di Guglielmo Ferrero: il problema della legittimità. Che accompagna la politica di ogni tempo passando dalla monarchia al voto fino, all’appartenenza all’élite.[...] Per Guglielmo Ferrero quello di Bonaparte era un regime che precorreva quei totalitarismi del Novecento, che egli aveva visto affermarsi all’indomani del primo conflitto mondiale. Pur con tutti i limiti dell’analogia tra bonapartismo, autoritarismo e totalitarismo, ancora una volta la storia serviva all’intellettuale italiano per penetrare in profondità i segreti del tempo presente, per rintracciare le cause di trasformazione e decadenza al fine di comprendere quel tempo, piuttosto tormentato, che gli era toccato in sorte di vivere. E questa lezione serve a chi legge Potere oggi, nel ventunesimo secolo, per analizzare le tendenze profonde del potere nel nostro tempo. Pur in un’epoca di democrazie multilivello, istituzioni sovranazionali e globali, mercati estesi e sofisticati, enti tecnocratici e tecnologie digitali pervasive, i principi di legittimità continuano ad essere il motore su cui poggia la politica nelle sue molteplici forme. Oggi i «geni della città» si presentano in forma diversa da quella individuata da Ferrero: il principio aristo-monarchico è oramai superato mentre quello elettivo-democratico, almeno nel mondo occidentale, è consolidato da molti decenni. Eppure nel nostro tempo l’impressione è che il principio rappresentativo non riesca a saturare tutto lo spazio e le forme del potere. Oggi non esiste più una legittimazione per via ereditaria, di sangue, fondata sulla nobiltà famigliare, ma ciò non significa che il principio aristocratico non sia tornato nei sistemi liberal-democratici sotto altre forme.La manifestazione principale di esso è senza dubbio il criterio della competenza che oggi ordina gran parte della società occidentale in modo gerarchico tanto nel privato quanto nel pubblico. I competenti, le élite con le credenziali accademiche, mostrano una capacità di influenza politico-culturale e un benessere economico che soverchia chi è sprovvisto di tali titoli. Non è un caso che nelle democrazie più avanzate la spesa delle famiglie per l’istruzione sia in costante e forte espansione e che lo status conferito da una competenza certificata dall’università venga considerato di grande importanza dalla parte più ambiziosa della popolazione. La globalizzazione, la finanziarizzazione, l’economia dei servizi, le istituzioni sovranazionali a trazione burocratica hanno accresciuto in modo esponenziale la rilevanza del merito scolastico e della competenza specialistica nell’occupazione dei posti di maggior prestigio nel pubblico e nel privato. Ha avuto origine quella che circa cinquant’anni fa è stata chiamata economia della conoscenza, presto evoluta in società della conoscenza. Ciò ha condotto alla costruzione di molte istituzioni pubbliche e private - si pensi alle banche centrali, alle autorità e alle agenzie amministrative, alla ricerca e alla scienza, alle società di consulenza, alle grandi aziende, alla finanza - fondate sul principio aristocratico della competenza. Così come Ferrero annotava uno scontro tra il principio aristo-monarchico e quello elettivo-democratico nell’era della Rivoluzione francese, oggi si può allo stesso modo rintracciare un contrasto tra il principio rappresentativo e quello della competenza. Si pensi alla polemica, emersa nell’ultimo decennio, dei nuovi partiti radicali e populisti contro gli esperti, alla contestazione della legittimità delle istituzioni tecnocratiche e sovranazionali, all’oscillazione tra governi tecnici e forze politiche anti-establishment, al disprezzo mostrato da alcune élite della competenza contro i «deplorevoli» non istruiti. Potere di Ferrero ci riconduce dunque ad un’idea della storia sinusoidale, in cui la curva si snoda tra picchi di legittimazione e stabilità e cadute repentine della civiltà verso la decadenza e il disordine. Una storia che non si presenta mai identica a sé stessa ma che lascia intravedere dei caratteri comuni nella trasformazione dei sistemi politici. Il libro si rivela dunque un’opera utilissima non soltanto per la comprensione dei cicli politici e per la fisiologia delle élite, ma anche per capire quanto sia importante il rapporto tra cittadini e istituzioni per reggere uno stato su solide basi. In questo, difatti, Ferrero guardava più alla lezione della ragion di Stato e dell’arte di governo di Machiavelli e Botero che ai suoi contemporanei: il potere deve seguire le sue ragioni laiche e i suoi interessi, ma non deve mai dimenticare di poggiarsi su istituzioni che garantiscano consenso, identità, regole, simboli e rituali condivisi tra governati e governanti. Altrimenti, quando gli eventi determinano uno scollamento interno alla popolazione, la paura prende il sopravvento sia su chi comanda che su chi obbedisce e gli stati deperiscono, si rovinano e si decompongono nel caos. In questo contesto di decadenza, le élite perdono forza etica, prestigio, riconoscimento agli occhi del popolo e vengono incalzate da nuovi aspiranti al potere che si presentano con metodi più aggressivi e idee più radicali. In definitiva questa sembra essere la più profonda lezione di Potere ai fini della conservazione e del benessere di un regime politico: e cioè che quest’ultimo si fondi su di una legittimità concreta, in cui la comunità si riconosca in istituzioni ed élite capaci di generare al tempo stesso autorità e consenso, di contenere tradizione e innovazione. Serve insomma che si preservi quello che lo storico Denis Richet chiamava lo «spirito delle istituzioni» - cioè unità d’intenti tra individui, società e potere politico e sovrapposizione virtuosa tra diritto e comportamenti sociali - e che si custodisca una prudente capacità di discernimento nel momento in cui un regime politico entra in una parabola decadente che può condurre all’illegittimità, così da poterlo riparare e, nei casi migliori, riformare in tempo. È una visione che si deve tenere a mente sempre quando si osserva la politica nel suo complesso, anche oggi che il principio democratico si misura con il nuovo principio aristocratico della competenza. In definitiva, ci rammenta Ferrero, l’antico e virtuoso compito della politica è coltivare la sapienza nel gestire i conflitti attraverso le istituzioni, che vanno con costanza curate e riequilibrate, al fine di evitare che i regimi politici scivolino nell’artificio e nella illegittimità, subdoli veleni che possono distruggere le libertà, i simboli e le tradizioni su cui contano i popoli.