
Dopo le bordate di Vance, il Dipartimento di Stato di Rubio attacca Bruxelles sul controllo dei contenuti online: «I leader proteggono sé stessi dal popolo». Washington ce l’ha con le norme che limitano i suoi colossi del Web.Ricordate le randellate di J.D. Vance all’Europa, durante il suo discorso a Monaco dello scorso febbraio? La severa denuncia del «regresso su alcuni dei suoi valori fondamentali», a partire dalla libertà d’espressione? Ebbene: a Washington non mollano l’osso. L’altra notte, su X, il Dipartimento di Stato americano, guidato da Marco Rubio, ha risposto a un post della rappresentanza francese all’Onu, con cui si celebrava il Digital services act. Ossia, l’insieme di regole imposte ai giganti del Web anche sul controllo dei contenuti online. «In Europa», recitava il tweet dei transalpini, «si è liberi di parlare, ma non liberi di diffondere contenuti illegali». Il ministero degli Esteri Usa ha ripubblicato il «meme», sbarrando la scritta originale e correggendola così: «Tutto ciò che il Dsa protegge sono i leader europei dai loro popoli». Caustica la didascalia: «In Europa, migliaia di persone vengono condannate per il crimine di criticare i loro governi. Questo messaggio orwelliano», cioè quello inviato dalla Francia, «non ingannerà gli Stati Uniti. La censura non è libertà». la lite con la franciaNon sfugge il retroterra del battibecco. L’Eliseo, nel quadro della trattativa sui dazi, premeva su Bruxelles affinché adottasse il pugno duro. Potenzialmente, una lista di contromisure da oltre 90 miliardi di euro. Anche se ieri, nel giorno in cui è finita sul tavolo un’intesa su tariffe al 15%, fonti del ministero dell’Economia francese assicuravano che la priorità, da linea italiana, era di lavorare a un accordo «equilibrato». La querelle sul digitale rientra nel braccio di ferro: gli americani reputano il Dsa una delle barriere indirette che limitano l’accesso al mercato europeo; mentre, nel Vecchio continente, tiene banco la polemica sull’esclusione dei colossi statunitensi di Internet dalla Web tax.Forse non è un caso nemmeno che la piccata replica del dicastero di Rubio, in teoria più moderato del vicepresidente Vance, fosse indirizzata alla delegazione transalpina alle Nazioni Unite: la Francia gode del diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza e - superata dalla sola Spagna - è il Paese europeo che caldeggia con più convinzione il riconoscimento della Palestina.Pure sulla partita del riarmo, Emmanuel Macron è in rotta di collisione con gli Usa: questi ultimi vorrebbero vendere equipaggiamenti all’Europa; Parigi, invece, darebbe la precedenza alle produzioni domestiche, per favorire i propri campioni nel settore della Difesa. Alla faccia delle recenti figure barbine: un Rafale comprato dagli indiani e abbattuto da un jet pakistano di fabbricazione cinese; un Mirage donato agli ucraini, precipitato martedì per un guasto alla strumentazione di bordo.Dopodiché, le questioni materiali non sono secondarie rispetto alla frattura ideologica che si sta generando. La predica di Vance aveva avuto lo stesso effetto di un secchio di acqua gelata rovesciato addosso a un bell’addormentato. «Quando vediamo tribunali europei annullare elezioni e alti funzionari minacciare di annullarne altre», rimproverava il vicario di Donald Trump, alludendo alle presidenziali romene e alle allora imminenti consultazioni tedesche, sulle quali aleggiava lo spettro di Alternative für Deutschland, «dobbiamo chiederci se noi stiamo fissando standard sufficientemente elevati. E dico “noi”, perché credo fermamente che siamo nella stessa squadra. Dobbiamo fare di più che parlare di valori democratici. Dobbiamo viverli ora». «Guardo a Bruxelles», proseguiva Vance, «dove dei kommissar», definiti apposta alla maniera sovietica, «avvertono i cittadini che intendono chiudere i social network in periodi di disordini civili non appena individuano quelli che hanno giudicato - cito testualmente - contenuti di incitamento all’odio». E al Regno Unito, fuori dall’Ue, che «ha accusato […] un fisioterapista di 51 anni ed ex combattente, del crimine odioso di aver pregato in silenzio per tre minuti a 50 metri da una clinica abortiva». «La libertà d’espressione», constatava il golden boy venuto dall’Ohio, «sta regredendo». battaglia culturaleQuesta preoccupazione, per il movimento trumpiano, non è un pretesto utile a occultare meri interessi economici o geopolitici. Dietro le staffilate di Vance e l’ultima sberla di Rubio, c’è una battaglia culturale; c’è una rivendicazione identitaria delle radici morali e politiche che, fino all’epoca della Guerra fredda, avevano davvero unito l’Occidente. Oggi, la massima esponente dell’Ue, Ursula von der Leyen, copre la sua opaca gestione dell’acquisto dei vaccini anti Covid sfruttando il ritornello delle interferenze di Mosca: sarebbe Vladimir Putin il committente della mozione di sfiducia nei suoi confronti, poi bocciata dall’Eurocamera. I trucchi dell’élite per schermarsi dai cittadini. Dottrina Monti: restare «al riparo dal processo elettorale».«Se la vostra democrazia può essere distrutta con qualche centinaio di migliaia di dollari di pubblicità digitale proveniente da un Paese straniero», ammoniva il vicepresidente Usa, allora significa che quella democrazia «non era già molto solida». Tutt’altro: è quasi liquefatta.
Greta Thunberg (Ansa)
L’attivista svedese è l’ultima incarnazione di una figura creata nel ’68: l’anticonformista di facciata. Se i potenti della Terra la omaggiano è solo per le teorie di cui si fa ventriloqua, che mirano a distruggere il tradizionale modo di vivere dei popoli.
2025-09-08
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