2021-02-24
La nuova frontiera dell’antirazzismo. Gli occidentali devono «sbiancarsi»
Il caso più celebre è quello della Coca Cola, che ha organizzato un corso per insegnare ai dipendenti a essere «meno bianchi». Ma la rieducazione si sta diffondendo ovunque. In nome della «discriminazione positiva».Missione compiuta. Dopo decenni di militanza aggressiva, polemiche, piagnistei e scontri di piazza, gli antirazzisti di professione sono finalmente riusciti a resuscitare il razzismo biologico. Rispetto ai tempi del positivismo, della misurazione dei crani e delle teorie eugenetiche cambia soltanto il bersaglio: questa volta a essere oggetto di discriminazione sono i bianchi. I quali vengono presi di mira, attaccati e insultati per il colore della loro pelle. Di più: secondo gli esperti di antirazzismo, alla carnagione chiara è associato un particolare modo di pensare, un preciso modo di comportarsi. Un po' come, secoli fa, si associavano ai neri determinati comportamenti sessuali o un basso livello di intelligenza. Ecco dove siamo tornati: alla definizione antica di razzismo. E ci siamo tornati proprio grazie alle teorie «antirazziste». La nuova moda è quella dello «sbiancamento». Emblematico è il caso della Coca Cola, di cui hanno dato notizia - senza troppo sconcerto, per la verità - anche alcuni media italiani. La multinazionale ha organizzato un corso di formazione per i dipendenti all'interno di un percorso chiamato «Better Togheter» il cui scopo è quello di «aiutare a costruire un ambiente di lavoro inclusivo». Gli impiegati potevano accedere alla piattaforma Linkedin Learning e venire istruiti sull'antirazzismo tramite lezioni e slide. Alcuni di loro, giustamente scandalizzati da ciò che hanno dovuto leggere, hanno fatto circolare online immagini di alcuni materiali del corso. Tra questi, una slide dal titolo «prova a essere meno bianco». Già, perché l'obiettivo reale dell'iniziativa era proprio questo: insegnare ai lavoratori bianchi della Coca Cola a «sbiancarsi». E per quale motivo uno dovrebbe sbiancarsi? Perché - come dicevamo poc'anzi - alla pelle bianca oggi vengono associate alcune caratteristiche, ad esempio il fatto di sentirsi «intrinsecamente superiori». La Coca Cola si è difesa sostenendo che il corso fosse «facoltativo», ma già il fatto che un'azienda organizzi un'iniziativa simile è inquietante. Soprattutto perché come docente di sbiancamento è stata scelta Robin DiAngelo, professionista (bianca) della formazione sul tema della razza. Questa signora è autrice di un libro intitolato White Fragility, rimasto per oltre settanta settimane nella classifica dei bestseller del New York Times, diventando un incredibile caso editoriale in tutto il mondo anglofono. «Il mio libro non è pensato per i suprematisti bianchi. Ma per quella parte di società civile e progressista che può e vuole fare meglio», ha spiegato la DiAngelo in una recente intervista. Se vi sembrano follie d'Oltreoceano, temo che vi toccherà cambiare idea. Il saggio della DiAngelo è stato da poco tradotto anche in Italia (Fragilità bianca, Chiarelettere), e i concetti che veicola stanno cominciando a diffondersi anche qui. Secondo la nostra consulente per la razza, «in senso biologico le razze non esistono, ma come costrutti sociali hanno un peso enorme e informano ogni aspetto delle nostre vite». Capito? Le razze non esistono, ma in realtà esistono, ed esercitano la propria influenza su ogni ambito. Per la DiAngelo, la razza è come il genere sessuale: è un «costrutto sociale» creato dai bianchi per opprimere tutte le altre minoranze, a partire dai neri. I bianchi, insomma, sono razzisti proprio in quanto bianchi (niente male come paradosso). Essi sono responsabili del «razzismo sistemico», e della sottomissione di chiunque sia diverso da loro. Ma poiché la razza è un «costrutto sociale», allora la si può decostruire. Bisogna «diventare meno bianchi», distruggere la «bianchezza» che è in noi. Da qui i corsi di «sbiancamento». I quali non sono affatto una esclusiva della Coca Cola, anzi. Lo spiega bene un articolo della prestigiosa rivista Forbes. «A seguito di quella che alcuni chiamerebbero la rivoluzione razziale del 2020, le aziende in lungo e in largo hanno annunciato il loro impegno per la diversità, l'equità e l'inclusione (Dei) e l'antirazzismo», scrive Janice Gassam Asare, anche lei consulente sui temi della razza. Secondo l'esperta, i corsi su Diversity, equity and inclusion (Dei, appunto) sono «aumentati in modo esponenziale dall'uccisione di George Floyd nel 2020. Sembra che ogni azienda si sia affrettata a mostrare il proprio impegno e a promettere di promuovere ambienti più inclusivi assumendo professionisti della Dei ed educatori contro il razzismo». A parere della Asare, però, tutto questo ancora non basta. «Negli ultimi anni e più precisamente dall'estate del 2020, le organizzazioni sono state più aperte alle discussioni sulla supremazia dei bianchi, i privilegi dei bianchi e l'antirazzismo», spiega. «Sebbene questo sviluppo sia promettente, c'è ancora una forte attenzione ai sentimenti e alle emozioni dei bianchi nel lavoro della Dei e negli sforzi contro il razzismo». Che fare, dunque? Semplice: bisogna «decentrare la bianchezza», cioè sbiancare. «Chi pratica la Dei e gli educatori contro il razzismo devono resistere all'impulso di annacquare l'educazione alla diversità per placare i sentimenti bianchi», conclude l'esperta di Forbes. Come si traduca tutto ciò nella pratica è noto. Prima bisogna rieducare, cioè far capire ai bianchi che, per il solo fatto di avere la pelle chiara, essi sono oppressori, violenti, arroganti e razzisti. Poi bisogna iniziare ad applicare la discriminazione. Come scrive l'attivista nero Ibram X. Kendi, «l'unico rimedio alla discriminazione razzista è la discriminazione antirazzista. L'unico rimedio alla discriminazione passata è la discriminazione presente. L'unico rimedio alla discriminazione presente è la discriminazione futura». In pratica, i bianchi devono diventare vittime di razzismo, e devono pure esserne contenti. Altrimenti, vengono accusati di essere razzisti da chi vuole discriminarli per il colore della loro pelle.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)