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2023-03-07
Una norma ad hoc per mettere in regola le mascherine fake
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«La situazione in Lombardia è drammatica, i medici sono ancora messi nelle condizioni di lavorare con protezioni insufficienti, secondo le notizie che ci arrivano dagli Ordini», denunciava il 12 marzo 2020 Filippo Anelli, presidente della Fnomceo. «Anche in ospedale, mancano i dispositivi individuali di sicurezza, maschere Ffp3 e Ffp2, visiere, guanti, sovracamici monouso», elencava il responsabile della Federazione nazionale degli Ordini dei medici. L’11 marzo, l’ex dg del Welfare lombardo, Luigi Cajazzo, aveva mandato l’ennesimo sollecito all’allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli. «Aiutaci, mandane più che puoi». La risposta doveva essere rassicurante: «Sì sì, stiamo lavorando e piano piano ne avremo sempre di più», è agli atti dell’inchiesta della procura di Bergamo.
Il 12 marzo, furono consegnate 97.000 mascherine chirurgiche e nella notte ne arrivarono altre 185.000, assieme a 25.000 Ffp2. Erano poche, quanto inutili, come risulta dalle chat che si scambiarono all’indomani il vice capo di gabinetto Tiziana Coccoluto e il suo responsabile, Goffredo Zaccardi. «Oggi hanno consegnato in Lombardia mascherine che ci hanno fatto saltare dalla sedia», scrive Coccoluto alle 22.45. Allega la foto di una di quelle vergognose pezzuole di tessuto trasparente, con tagli, e commenta: «Non è possibile che nessuno ci abbia avvertito». Il capo di gabinetto Zaccardi le risponde: «Dobbiamo parlare noi due da soli. A domani o lunedì».
Poche ore prima, l’ex assessore leghista lombardo Davide Caparini aveva pubblicato lo straccio «swiffer» su Fb. «La Protezione civile invia queste mascherine alla Regione Lombardia da destinare a medici e paramedici impegnati nella guerra al coronavirus. Il peggior materiale possibile, non nello standard previsto nei casi di pandemia. In ritardo di settimane e per di più non a norma... E intanto le persone si ammalano e muoiono», accusava, chiedendo le dimissioni di Borelli. L’allora assessore regionale alla sanità, Giulio Gallera, mostrerà ai giornalisti quelle strisce con i buchi per le orecchie. «A noi servono mascherine del tipo Fpp2 o Fpp3 o quelle chirurgiche e invece ci hanno mandato un fazzoletto, un foglio di carta igienica, di Scottex. Le abbiamo ricevuto per proteggere medici e infermieri. Vi pare possibile?». Era una vergogna, aver spedito un materiale simile per la sicurezza dei sanitari. Eppure, il 20 marzo, l’allora ministro per le autonomie e coordinatore del tavolo Covid con le Regioni, Francesco Boccia, pensò trasformò il dramma in pagliacciata e si presentò in conferenza stampa con la mascherina swiffer appesa a un orecchio. Accanto a lui c’era Borrelli, ridente dopo aver annunciato che «avevamo superato i 4.000 morti».
Ma torniamo al 13 marzo 2020, quando sono molti ad accorgersi della porcheria inviata, per proteggere nelle zone più colpite dalla prima ondata. Lo stesso ex ministro della Salute, Roberto Speranza, inoltra via chat una foto di quelle vergogne. Destinatario è il presidente dell’Istituto superiore della sanità, Silvio Brusaferro, che gli gira alcuni messaggi sui controlli dei dpi. «La valutazione di sicurezza biologica ha dato esito favorevole», si legge nel primo. «Stiamo aspettando l’esito delle prove di efficacia filtrante», riporta il secondo. Brusaferro alla fine risponde al suo ministro che «un problema potrebbe essere la vestibilità, vista la forma». Speranza replica: «Di queste ne possiamo avere 1 milione al giorno. Senza, saremmo in grandissima difficoltà. Mi dicevano che il test fatto in California aveva dato esito positivo. Con certificato». Conviene, il capo dell’Iss, ma avverte che bisogna ancora aspettare l’esito delle «prove di efficacia filtrante».
Questione fondamentale, nel caso di mascherine che devono proteggere da agenti patogeni che si trasmettono per via aerea. Poi Brusaferro parla d’altro, di Oms Europa «e del loro piano di mandare a Venezia gente», ma il ministro non vuole cambiare argomento. «Sono terrorizzato da questa cosa delle mascherine» scrive alle 21.46. Non deve averlo tranquillizzato il suo interlocutore, quando prova a spiegare: «Che io sappia hanno fatto autocertificazione in attesa di certificazione definitiva che è in corso in Usa. Lo faranno in pochissimo tempo». Insiste, preoccupato, l’uomo dei lockdown: «A me avevano detto Usa ok». Era così tormentato, dalla sicurezza delle mascherine, che il giorno dopo propone addirittura di fare una norma ad hoc, pur di salvare dispositivi provenienti dalla Cina. «Mascherine alternative», le definisce Speranza, «loro sono in grado di produrne in un numero altissimo». Alla faccia della salute degli italiani. Brusaferro è perentorio: «Sulla base dei dati consegnati non sembrano essere adatte alla componente sanitaria». Speranza non si rassegna e propone soluzioni da piazzista senza scrupoli. «Non è materiale per personale sanitario. E neanche dpi. Sarebbe per cittadini comuni quando escono a fare spesa o altro», ragiona con il capo dell’Iss. Poi chiede: «Non ha nessuna utilità o addirittura può essere dannoso? O comunque un po' di filtro lo fa? Dovremmo avere qualche elemento in più. Volendo potrei anche fare una norma sulla materia». Era pronto a modificare le disposizioni in materia di dispositivi di protezione, capito? Perché i cittadini, travolti dall’irruenza del Covid per la mancanza di un piano pandemico aggiornato, meritavano di proteggersi con inutili mascherine.
Il tecnico del ministero ammetteva: «Sui ventilatori promesse mancate»
Un messaggio Whatsapp inviato da Francesco Paolo Maraglino a un giornalista il 14 aprile 2020 fotografa perfettamente la disorganizzazione che regnava negli uffici del ministero della Salute in pieno lockdown. Cesare Buquicchio, direttore della testata Sanità informazione, aveva chiesto conferma dell’assenza dell’Italia alla riunione del Comitato sicurezza sanitaria dell’Ue. La risposta dell’allora direttore dell’ufficio Prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale è disarmante: «Alla riunione non abbiamo partecipato in quanto per motivi tecnici (documentabili, se serve) non abbiamo ricevuto l’invito per problemi tecnico-informatici (mi si era bloccata la posta). Ovviamente la questione non ha in alcun modo influenzato la partecipazione del nostro paese alla Joint int procurement agreement della Ce al quale stiamo regolarmente partecipando».
Le chat agli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo, raccontano però che anche sugli approvvigionamenti attraverso l’Ue nella stanze del Ministero regnasse il caos. Il 4 marzo 2020, è proprio Maraglino che scrive a Achille Iachino (responsabile della direzione generale dei dispositivi medici) notizie sui ventilatori necessari: «Ciao Achille, il collega mio omologo della commissione europea mi chiede se abbiamo un fabbisogno per il nostro paese su numero di dispositivi per supporto ventilatorio». Iachino risponde dicendo che non è materia di sua competenza: «Ciao Francesco, è una questione di competenza della programmazione. La sta seguendo Urbani (Andrea, dirigente del ministero della Salute, ndr) che ha già qualche dato». Maraglino risponde meravigliato: «Mi ha detto lui di chiedere a te!». Iachino però è ancora più meravigliato: «Strano, lui ha chiesto alle regioni il fabbisogno e ieri ha dato alla protezione civile quello di Emilia, Lombardia e Veneto». Neanche una settimana dopo il 10 marzo, un disperato Giovanni Legnini (ex parlamentare Ds e Pd, all’epoca Commissario straordinario per la ricostruzione post sisma) scrive a Goffredo Zaccardi (capo di gabinetto del ministro Roberto Speranza): «La Regione Abruzzo ha bisogno urgente dei ventilatori, almeno un primo quantitativo dei 130 richiesti... I nostri reparti sono già in crisi e da noi non è ancora arrivata l’onda alta! Capisco la priorità di chi è in grave emergenza, ma di ora in ora i casi di positività crescono esponenzialmente, e in un solo giorno siamo passati da 1 a 9 terapie intensive. Siamo già quasi saturi». Undici giorni dopo, Legnini torna alla carica e i toni (maiuscole comprese), sono ancora più drammatici: «DUE GIORNI FA ho richiesto con forza dei ventilatori descrivendo l’urgenza per l’Abruzzo. Ieri pomeriggio nel corso della videoconferenza con il Governo e le Regioni il ministero della Salute mi ha assicurato l’invio nella serata di 3 ventilatori a turbina + 3 domiciliari, invece sono arrivati sei ventilatore Niv per terapia sub intensiva. Sono utili ma a noi servono ventilatori a turbina per intubati. Abbiamo chiesto ventilatori a turbina non Niv. Di Niv attualmente ne disponiamo, faranno sempre comodo, ma ORA ABBIAMO URGENZA DI ASSISTERE MALATI DA INTUBARE». Zaccardi inoltra a Legnini la risposta di Urbani: «Stiamo distribuendo quello che abbiamo. I ventilatori non ci sono. I prossimi 10 lunedì e abbiamo una Lombardia con 1100 in terapia intensiva […]. Lunedì sera forse atterra un carico dalla Cina e vediamo cosa c’è dentro». Il 24 marzo a due settimane di distanza dalle prime sollecitazioni, Legnini scrive ancora: «I cinque ventilatori in consegna ieri sera per l’Abruzzo, che erano stati promessi sin da venerdì, non sono arrivati». Zaccardi è costernato: «Sono basito non per i ritardi ma per le promesse mancate».
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Il capo dell’Iss Silvio Brusaferro scriveva: «Quei dispositivi non sono a norma». La risposta di Roberto Speranza: cambiamo i parametri.E l’Italia non ricevette l’invito a un vertice Ue d’emergenza a causa di una mail bloccata.Lo speciale contiene due articoli.«La situazione in Lombardia è drammatica, i medici sono ancora messi nelle condizioni di lavorare con protezioni insufficienti, secondo le notizie che ci arrivano dagli Ordini», denunciava il 12 marzo 2020 Filippo Anelli, presidente della Fnomceo. «Anche in ospedale, mancano i dispositivi individuali di sicurezza, maschere Ffp3 e Ffp2, visiere, guanti, sovracamici monouso», elencava il responsabile della Federazione nazionale degli Ordini dei medici. L’11 marzo, l’ex dg del Welfare lombardo, Luigi Cajazzo, aveva mandato l’ennesimo sollecito all’allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli. «Aiutaci, mandane più che puoi». La risposta doveva essere rassicurante: «Sì sì, stiamo lavorando e piano piano ne avremo sempre di più», è agli atti dell’inchiesta della procura di Bergamo.Il 12 marzo, furono consegnate 97.000 mascherine chirurgiche e nella notte ne arrivarono altre 185.000, assieme a 25.000 Ffp2. Erano poche, quanto inutili, come risulta dalle chat che si scambiarono all’indomani il vice capo di gabinetto Tiziana Coccoluto e il suo responsabile, Goffredo Zaccardi. «Oggi hanno consegnato in Lombardia mascherine che ci hanno fatto saltare dalla sedia», scrive Coccoluto alle 22.45. Allega la foto di una di quelle vergognose pezzuole di tessuto trasparente, con tagli, e commenta: «Non è possibile che nessuno ci abbia avvertito». Il capo di gabinetto Zaccardi le risponde: «Dobbiamo parlare noi due da soli. A domani o lunedì». Poche ore prima, l’ex assessore leghista lombardo Davide Caparini aveva pubblicato lo straccio «swiffer» su Fb. «La Protezione civile invia queste mascherine alla Regione Lombardia da destinare a medici e paramedici impegnati nella guerra al coronavirus. Il peggior materiale possibile, non nello standard previsto nei casi di pandemia. In ritardo di settimane e per di più non a norma... E intanto le persone si ammalano e muoiono», accusava, chiedendo le dimissioni di Borelli. L’allora assessore regionale alla sanità, Giulio Gallera, mostrerà ai giornalisti quelle strisce con i buchi per le orecchie. «A noi servono mascherine del tipo Fpp2 o Fpp3 o quelle chirurgiche e invece ci hanno mandato un fazzoletto, un foglio di carta igienica, di Scottex. Le abbiamo ricevuto per proteggere medici e infermieri. Vi pare possibile?». Era una vergogna, aver spedito un materiale simile per la sicurezza dei sanitari. Eppure, il 20 marzo, l’allora ministro per le autonomie e coordinatore del tavolo Covid con le Regioni, Francesco Boccia, pensò trasformò il dramma in pagliacciata e si presentò in conferenza stampa con la mascherina swiffer appesa a un orecchio. Accanto a lui c’era Borrelli, ridente dopo aver annunciato che «avevamo superato i 4.000 morti».Ma torniamo al 13 marzo 2020, quando sono molti ad accorgersi della porcheria inviata, per proteggere nelle zone più colpite dalla prima ondata. Lo stesso ex ministro della Salute, Roberto Speranza, inoltra via chat una foto di quelle vergogne. Destinatario è il presidente dell’Istituto superiore della sanità, Silvio Brusaferro, che gli gira alcuni messaggi sui controlli dei dpi. «La valutazione di sicurezza biologica ha dato esito favorevole», si legge nel primo. «Stiamo aspettando l’esito delle prove di efficacia filtrante», riporta il secondo. Brusaferro alla fine risponde al suo ministro che «un problema potrebbe essere la vestibilità, vista la forma». Speranza replica: «Di queste ne possiamo avere 1 milione al giorno. Senza, saremmo in grandissima difficoltà. Mi dicevano che il test fatto in California aveva dato esito positivo. Con certificato». Conviene, il capo dell’Iss, ma avverte che bisogna ancora aspettare l’esito delle «prove di efficacia filtrante». Questione fondamentale, nel caso di mascherine che devono proteggere da agenti patogeni che si trasmettono per via aerea. Poi Brusaferro parla d’altro, di Oms Europa «e del loro piano di mandare a Venezia gente», ma il ministro non vuole cambiare argomento. «Sono terrorizzato da questa cosa delle mascherine» scrive alle 21.46. Non deve averlo tranquillizzato il suo interlocutore, quando prova a spiegare: «Che io sappia hanno fatto autocertificazione in attesa di certificazione definitiva che è in corso in Usa. Lo faranno in pochissimo tempo». Insiste, preoccupato, l’uomo dei lockdown: «A me avevano detto Usa ok». Era così tormentato, dalla sicurezza delle mascherine, che il giorno dopo propone addirittura di fare una norma ad hoc, pur di salvare dispositivi provenienti dalla Cina. «Mascherine alternative», le definisce Speranza, «loro sono in grado di produrne in un numero altissimo». Alla faccia della salute degli italiani. Brusaferro è perentorio: «Sulla base dei dati consegnati non sembrano essere adatte alla componente sanitaria». Speranza non si rassegna e propone soluzioni da piazzista senza scrupoli. «Non è materiale per personale sanitario. E neanche dpi. Sarebbe per cittadini comuni quando escono a fare spesa o altro», ragiona con il capo dell’Iss. Poi chiede: «Non ha nessuna utilità o addirittura può essere dannoso? O comunque un po' di filtro lo fa? Dovremmo avere qualche elemento in più. Volendo potrei anche fare una norma sulla materia». Era pronto a modificare le disposizioni in materia di dispositivi di protezione, capito? Perché i cittadini, travolti dall’irruenza del Covid per la mancanza di un piano pandemico aggiornato, meritavano di proteggersi con inutili mascherine.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/norma-mettere-regola-mascherine-fake-2659512782.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-tecnico-del-ministero-ammetteva-sui-ventilatori-promesse-mancate" data-post-id="2659512782" data-published-at="1678159477" data-use-pagination="False"> Il tecnico del ministero ammetteva: «Sui ventilatori promesse mancate» Un messaggio Whatsapp inviato da Francesco Paolo Maraglino a un giornalista il 14 aprile 2020 fotografa perfettamente la disorganizzazione che regnava negli uffici del ministero della Salute in pieno lockdown. Cesare Buquicchio, direttore della testata Sanità informazione, aveva chiesto conferma dell’assenza dell’Italia alla riunione del Comitato sicurezza sanitaria dell’Ue. La risposta dell’allora direttore dell’ufficio Prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale è disarmante: «Alla riunione non abbiamo partecipato in quanto per motivi tecnici (documentabili, se serve) non abbiamo ricevuto l’invito per problemi tecnico-informatici (mi si era bloccata la posta). Ovviamente la questione non ha in alcun modo influenzato la partecipazione del nostro paese alla Joint int procurement agreement della Ce al quale stiamo regolarmente partecipando». Le chat agli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo, raccontano però che anche sugli approvvigionamenti attraverso l’Ue nella stanze del Ministero regnasse il caos. Il 4 marzo 2020, è proprio Maraglino che scrive a Achille Iachino (responsabile della direzione generale dei dispositivi medici) notizie sui ventilatori necessari: «Ciao Achille, il collega mio omologo della commissione europea mi chiede se abbiamo un fabbisogno per il nostro paese su numero di dispositivi per supporto ventilatorio». Iachino risponde dicendo che non è materia di sua competenza: «Ciao Francesco, è una questione di competenza della programmazione. La sta seguendo Urbani (Andrea, dirigente del ministero della Salute, ndr) che ha già qualche dato». Maraglino risponde meravigliato: «Mi ha detto lui di chiedere a te!». Iachino però è ancora più meravigliato: «Strano, lui ha chiesto alle regioni il fabbisogno e ieri ha dato alla protezione civile quello di Emilia, Lombardia e Veneto». Neanche una settimana dopo il 10 marzo, un disperato Giovanni Legnini (ex parlamentare Ds e Pd, all’epoca Commissario straordinario per la ricostruzione post sisma) scrive a Goffredo Zaccardi (capo di gabinetto del ministro Roberto Speranza): «La Regione Abruzzo ha bisogno urgente dei ventilatori, almeno un primo quantitativo dei 130 richiesti... I nostri reparti sono già in crisi e da noi non è ancora arrivata l’onda alta! Capisco la priorità di chi è in grave emergenza, ma di ora in ora i casi di positività crescono esponenzialmente, e in un solo giorno siamo passati da 1 a 9 terapie intensive. Siamo già quasi saturi». Undici giorni dopo, Legnini torna alla carica e i toni (maiuscole comprese), sono ancora più drammatici: «DUE GIORNI FA ho richiesto con forza dei ventilatori descrivendo l’urgenza per l’Abruzzo. Ieri pomeriggio nel corso della videoconferenza con il Governo e le Regioni il ministero della Salute mi ha assicurato l’invio nella serata di 3 ventilatori a turbina + 3 domiciliari, invece sono arrivati sei ventilatore Niv per terapia sub intensiva. Sono utili ma a noi servono ventilatori a turbina per intubati. Abbiamo chiesto ventilatori a turbina non Niv. Di Niv attualmente ne disponiamo, faranno sempre comodo, ma ORA ABBIAMO URGENZA DI ASSISTERE MALATI DA INTUBARE». Zaccardi inoltra a Legnini la risposta di Urbani: «Stiamo distribuendo quello che abbiamo. I ventilatori non ci sono. I prossimi 10 lunedì e abbiamo una Lombardia con 1100 in terapia intensiva […]. Lunedì sera forse atterra un carico dalla Cina e vediamo cosa c’è dentro». Il 24 marzo a due settimane di distanza dalle prime sollecitazioni, Legnini scrive ancora: «I cinque ventilatori in consegna ieri sera per l’Abruzzo, che erano stati promessi sin da venerdì, non sono arrivati». Zaccardi è costernato: «Sono basito non per i ritardi ma per le promesse mancate».
Michele Emiliano (Ansa)
Fino ad oggi, però, nessun risultato. Forse la comunicazione non è stata così «forte» come fu la lettera che proprio l’allora governatore dem inviò a tutti i dirigenti e dipendenti della Regione, delle sue agenzie e società partecipate, invitandoli a interrompere i rapporti con il governo di Netanyahu «a causa del genocidio di inermi palestinesi e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro nella Striscia di Gaza».
Ora, dopo l’addio di Emiliano e l’arrivo del neo governatore Antonio Decaro, gli sprechi non sarebbero stati eliminati dalle sette società nel mirino, parzialmente o interamente controllate dalla Regione Puglia: Acquedotto spa, InnovaPuglia, Aeroporti di Puglia, Puglia valore immobiliare, Terme di Santa Cesarea, Puglia sviluppo e Aseco. Infatti, secondo il report approdato in giunta regionale nel corso dell’ultima seduta, è stato evidenziato che non c’è stata riduzione di spesa di funzionamento in nessuna di queste, anzi in tre hanno addirittura superato i limiti per consulenze (Puglia sviluppo, Acquedotto e Terme di Santa Cesarea), mentre il dato peggiore è sulle spese di acquisto, manutenzione, noleggio delle auto o di acquisto di buoni taxi. Quattro società non hanno comunicato alcun dato, mentre Aeroporti ha certificato lo sforamento. Nel dettaglio, Acquedotto pugliese, anziché contenere le spese di funzionamento, le ha incrementate di 17 milioni di euro rispetto al 2024. La giustificazione? Il maggior costo del personale «riconducibile al rinnovo del contratto collettivo nazionale», ma pure «l’incremento delle risorse in forza alla società, spese legali, assicurazioni, convegni, pubblicità e marketing, buoni pasto, costi postali non ribaltabili all’utenza nell’ambito della tariffa del Servizio idrico integrato».
Per quanto riguarda le consulenze, invece, Aqp sostiene che, essendo entrati i Comuni nell’assetto societario, nella fase di trasformazione sono stati necessari 639.000 euro per le consulenze.
Aeroporti di Puglia attribuisce l’aumento di spese all’organizzazione del G7, anche se l’incremento dell’8,44%, secondo la società, «è comunque inferiore all’aumento del traffico registrato nel 2024 rispetto al 2023 (+10,51%) e quindi dei ricavi. Spese superate, alla faccia del risparmio, anche per auto e taxi: 120.000 euro in più. Costi lievitati anche per InnovaPuglia, la controllata che si occupa di programmazione strategica a sostegno dell’innovazione: 12 milioni di euro nel 2024 a fronte dei 7 milioni del 2023, passando, in termini percentuali sul valore della produzione, dal 18,21% al 43,68%. Di Aseco, la società in house controllata da Aqp e Ager che si occupa di smaltimento di fanghi e frazione organica dei rifiuti urbani, non si hanno dati aggiornati al punto che è stata sollecitata dalla stessa Regione a comunicarli.
Insomma, secondo la Regione, se aumentano i costi vanno ridotti i servizi poiché il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede quella di contenere le spese di funzionamento individuando specifici obiettivi di spesa come quelli per il personale e quelli per consulenze, studi e ricerche. E la stessa Regione, che ha potere di vigilanza e di controllo, dove accerta «il mancato e ingiustificato raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa» può «revocare gli incarichi degli organi di direzione, amministrazione e controllo nominati nelle società». La palla passa a Decaro.
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Inizialmente, la presentazione della strategia della Commissione avrebbe dovuto avvenire mercoledì, ma la lettera di Friedrich Merz del 28 novembre diretta a Ursula von der Leyen ha costretto a ritardare la comunicazione. In quel giorno Merz, appena ottenuto dal Bundestag il via libera alla costosa riforma delle pensioni, si era subito rivolto a Von der Leyen chiedendo modifiche pesanti alle regole sul bando delle auto Ice al 2035. Questa contemporaneità ha reso evidente che il via libera alla richiesta di rilassamento delle regole sulle auto arrivava dalla Spd come contropartita al sì della Cdu alla riforma delle pensioni, come spiegato sulla Verità del 2 dicembre.
Se il contenuto della revisione dovesse essere quello circolato ieri, vorrebbe dire che la posizione tedesca è stata interamente accolta. I punti di cui Bloomberg parla, infatti, sono quelli contenuti nella lettera di Merz.
Non è ancora chiaro quale sarà la quota di veicoli ibridi plug-in e ad autonomia estesa che potranno essere immatricolati dopo il 2035, né se la data del 2040 sarà mantenuta. Anche i dettagli tecnici chiave sugli e-fuel e sui biocarburanti avanzati non ci sono. Resta poi ancora da precisare (da anni) quale metodo sarà utilizzato per il Life cycle assessment (Lca), ovvero i criteri con cui si valutano le emissioni nell’intero ciclo di vita dei veicoli elettrici. Non si tratta di un banale dettaglio tecnico, ma dell’architrave delle nuove regole, da cui dipenderanno tecnologie e modelli in futuro. Un Lca avrebbe già dovuto essere definito entro il 31 dicembre di quest’anno dalla Commissione, ma ancora non si è visto nulla. Contabilizzare l’acciaio green nella produzione di veicoli significa dotarsi di un metodo Lca condiviso, così finalmente si saprà quanto emette davvero un veicolo elettrico (sempre se il Lca è fatto bene).
Qualche giorno fa, sei governi Ue, tra cui quello italiano, affiancato da Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Repubblica Ceca, in scia alla Germania, avevano chiesto alla Commissione di proporre un allentamento delle regole sulle auto, consentendo gli ibridi plug-in e le auto con autonomia estesa anche dopo il 2035. In una situazione in cui l’assalto al mercato europeo da parte dei marchi cinesi è appena iniziato, le case del Vecchio continente faticano a tenere il passo. L’incertezza normativa è però anche peggio di una regola fatta male. L’industria europea dell’auto si sta preparando a mantenere in produzione modelli con il motore a scoppio anche dopo il 2035, con la relativa componentistica, ma tutta la filiera, che coinvolge milioni di lavoratori in Europa e fuori, ha bisogno di certezze.
Intanto, l’applicazione al settore auto della norma «made in Europe», che dovrebbe servire a proteggere l’industria europea stabilendo quote minime di componenti fatti al 100% in Europa, è stata rinviata a fine gennaio. La regola, fortemente voluta dalla Francia ma che lascia la Germania fredda, si intreccia con la richiesta di dazi sulle merci cinesi fatta da Macron. Avanti (o indietro) in ordine sparso.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Un concetto già smentito da Fdi che in un dossier sulle fake news relative proprio all’oro di Bankitalia, ha precisato l’infondatezza dell’allarmismo basato sulla errata idea di volersi impossessare delle riserve auree per ridurre il debito. E nello stesso documento si ricordava invece come questa idea non dispiacesse al governo di sinistra di Romano Prodi del 2007. Peraltro nel dossier si precisa che la finalità dell’emendamento è di «non far correre il rischio all’Italia che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani».
Per due volte la Banca centrale europea ha puntato i piedi, probabilmente spinta dal retropensiero che il governo voglia mettere le mani sull’oro detenuto e gestito da Bankitalia, per venderlo. Ma anche su questo punto da Fdi hanno tranquillizzato. Nel documento esplicativo precisano che «al contrario, vogliamo affermare che la proprietà dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia è dello Stato proprio per proteggere le riserve auree da speculazioni». Il capitale dell’istituto centrale è diviso in 300.000 quote e nessun azionista può detenere più del 5%. I principali soci di Via Nazionale sono grandi banche e casse di previdenza. Dai dati pubblicati sul sito Bankitalia, primo azionista risulta Unicredit (15.000 quote pari al 5%), seguono con il 4,93% ciascuna Inarcassa (la Cassa di previdenza di ingegneri e architetti), Fondazione Enpam (Ente di previdenza dei medici e degli odontoiatri) e la Cassa forense. Del 4,91% la partecipazione detenuta da Intesa Sanpaolo. Al sesto posto tra gli azionisti, troviamo la Cassa di previdenza dei commercialisti con il 3,66%. Seguono Bper Banca con il 3,25%, Iccrea Banca col 3,12%, Generali col 3,02%. Pari al decimo posto, con il 3% ciascuna, Inps, Inail, Cassa di sovvenzioni e risparmio fra il personale della Banca d'Italia, Cassa di Risparmio di Asti. Primo azionista a controllo straniero è la Bmnl (Gruppo Bnp Paribas) col 2,83% seguita da Credit Agricole Italia (2,81%). Bff Bank (partecipata da fondi italiani e internazionali) detiene l’1,67% mentre Banco Bpm (i cui principali azionisti sono Credit Agricole con circa il 20% e Blackrock con circa il 5%) ha l’1,51%.
Un motivo fondato quindi per esplicitare che le riserve auree sono di proprietà di tutti gli italiani. Il che, a differenza di quanto sostenuto da politici e analisti di sinistra, «non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. Non si comprende quindi la levata di scudi di queste ore nei confronti della proposta di Fdi. A meno che, ed è lecito domandarselo, chi oggi si agita non abbia altri motivi per farlo».
C’è poi il fatto che «alcuni Stati, anche membri dell’Ue, hanno già chiarito che la proprietà delle riserve appartiene al popolo, nella propria legislazione, mettendolo nero su bianco, a dimostrazione del fatto che ciò è perfettamente compatibile con i Trattati europei». Pertanto si tratta di un emendamento «di buon senso».
La riformulazione della proposta potrebbe essere presentata oggi, come annunciato dal capogruppo di Fdi in Senato, Lucio Malan. «Si tratta di dare», ha specificato, «una formulazione che dia maggiore chiarezza». Nella risposta alle richieste della presidente della Bce, Christine Lagarde, il ministro Giorgetti, avrebbe precisato che la disponibilità e gestione delle riserve auree del popolo italiano sono in capo alla Banca d’Italia in conformità alle regole dei Trattati e che la riformulazione della norma trasmessa è il frutto di apposite interlocuzioni con quest’ultima per addivenire a una formulazione pienamente coerente con le regole europee.
Risolto questo fronte, altri agitano l’iter della manovra. L’obiettivo è portare la discussione in Aula per il weekend. Il lavoro è tutto sulle coperture. Ci sono i malumori delle forze dell’ordine per la mancanza di nuovi fondi, rinviati a quando il Paese uscirà dalla procedura di infrazione, e ieri quelli dei sindacati dei medici, Anaao Assomed e Cimo-Fesmed, che hanno minacciato lo stato di agitazione se saranno confermate le voci «del tentativo del ministero dell’Economia di bloccare l’emendamento, peraltro segnalato, a firma Francesco Zaffini, presidente della commissione Sanità del Senato con il sostegno del ministro della Salute», che prevede un aumento delle indennità di specificità dei medici, dirigenti sanitari e infermieri. In ballo, affermano le due sigle, ci sono circa 500 milioni già preventivati. E reclamano che il Mef «licenzi al più presto la pre-intesa del Ccnl 2022-2024 per consentire la firma e quindi il pagamento di arretrati e aumenti».
Intanto in una riformulazione del governo l’aliquota della Tobin Tax è stata raddoppiata dallo 0,2% allo 0,4%.
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