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2021-01-02
Siringhe, vaccini e scuole. Ecco tutte le bugie e i ritardi
Ansa
Verrebbe proprio da chiedersi: ci sono o ci fanno? Alla domanda se difende il commissario Domenico Arcuri, definito «nel mirino», il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha risposto al Corriere della Sera: «Certo, è stato maltrattato perché le siringhe sono costate di più, ma grazie a quelle siringhe e all'autorizzazione Aifa sull'utilizzo della sesta dose recuperiamo un 20% del vaccino Pfizer in più, che vale parecchi milioni di euro».
Il ministro non è medico, è laureato in scienze politiche e alla Salute si ritrova non certo per competenze professionali. Però deve difendere Arcuri, ad di Invitalia prestato all'emergenza Covid, che inanella un errore dietro l'altro. Il commissario straordinario ha indetto un bando per 157 milioni di siringhe, scegliendo le costose luer lock perché qualcuno (il ministero della Salute) sostiene che siano più precise e performanti. Una storiella che circola solo in Italia, per difendere una gara incomprensibile oltre confine, costosa e scivolosa nei presupposti.
Le siringhe luer lock richieste hanno un sistema di avvitamento che blocca l'attacco dell'ago, ma questo non ha nulla a che fare con la precisione di dosaggio o con la riduzione dello spreco del farmaco, identica ad altre siringhe utilizzate in tutta Europa. «Dal punto di vista tecnico, ciò che consente a una siringa di non sprecare vaccino è l'annullamento dello spazio morto tra la fine del pistone e l'inizio dell'ago. È la costruzione della siringa che fa la differenza. Non l'aggancio dell'ago», ci aveva spiegato un costruttore di dispositivi per iniettare farmaci e soluzioni. Tra i presìdi medici monouso che annullano lo spreco ci sono le cosiddette tubercoline o quelle con ago termosaldato. Ogni tentativo di giustificare la gara risulta dunque un boomerang per Arcuri, e di conseguenza per Speranza.
Due giorni fa anche Il Foglio tornava sulla questione, con un articolo dal titolo «La verità, vi prego, sulle siringhe di Arcuri». Veniva ricordato quanto già avevamo scritto, ovvero che la Food and drug administration (Fda), l'agenzia normativa degli Stati Uniti, non fa cenno alle luer lock. Nemmeno l'Ema, l'agenzia europea del farmaco le indica come necessarie per somministrare il Comirnaty, nome commerciale del vaccino messo a punto da Pfizer Biontech. La Fda, nelle sue linee guida, consiglia «a low dead-volume syringe», ovvero una siringa con spazio morto ridotto. Lo spazio morto è il fluido residuo che rimane all'interno della siringa dopo che lo stantuffo è stato completamente premuto. Il 31 dicembre, il dipartimento della Salute dello Stato americano del New Hampshire (Dhhs) scriveva a proposito del vaccino Pfizer: «Siringhe con un volume di spazio morto inferiore producono meno spreco di vaccino e consentono una possibile sesta dose; se si utilizzano siringhe o aghi standard, potrebbe non essere possibile estrarre 6 dosi da un singolo flaconcino». Ma non fanno cenno alle luer lock perché evidentemente non ci sono solo questi dispositivi, per la vaccinazione.
Il 29 dicembre, Alison Strath, che sovrintende ai farmaci e alla politica farmaceutica della Scozia, ha scritto ai direttori medici, di farmacia, di infermieristica, ai responsabili delle vaccinazioni, indicando le linee guida raccomandate da Pfizer. «Il volume della fiala è stato ottimizzato per ottenere in modo affidabile cinque dosi indipendentemente dal tipo di siringa utilizzato», informa il dirigente sanitario. Aggiunge: «Quando si utilizzano siringhe e o aghi a basso volume morto, la quantità rimanente nella fiala dopo che sono state estratte cinque dosi può essere sufficiente per una dose aggiuntiva (sesta)». Anche in questo caso, zero riferimento alle costose siringhe scelte da Arcuri su suggerimento del nostro ministero della Salute, che però ufficialmente dichiara che «tutte le siringhe di precisione», vanno bene per estrarre il corretto quantitativo di vaccino da 0,3 ml. «Possono essere impiegate le siringhe da un 1 ml, come quelle da insulina. Basta riempirle per un terzo, ben visibile sulla scala graduata», ha risposto l'Aifa, l'agenzia italiana del farmaco. Allora di che cosa stiamo parlando? Vogliamo difendere l'operato di Arcuri scivolando nel ridicolo, come ha fatto La Repubblica scrivendo: «È la rivincita delle luer lock acquistate da Arcuri e costate il doppio di quelle normali, con un aggravio di spesa di 1,7 milioni. Che però, grazie alle loro caratteristiche che consentono di ricavare anche un'altra dose a fiala, consentono ora un risparmio di 60 milioni, tanto sarebbero costate le altre dosi ricavate»? O Il Fatto Quotidiano, titolando «Spreco? Le super siringhe ora fanno aumentare le dosi»? Per non parlare del Corriere: «Le sei dosi possono essere estratte solo con le siringhe di precisione, le famose luer lock raccomandate dalla stessa Pfizer». Per comprendere, è sufficiente documentarsi sui siti ufficiali di Fda ed Ema, ma sembra quasi prioritario difendere l'operato del commissario straordinario all'emergenza.
Lo stesso viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, aveva detto che era più importante pensare a «siringhe che si incappucciano, mentre sono assolutamente inutili la tenuta e la performance». Devono risultare innocue per i pazienti e gli operatori sanitari una volta che l'ago viene ritratto, caratteristica nemmeno sfiorata nel bando Arcuri. Intanto a oggi, 2 gennaio 2021, non abbiamo ancora i nominativi delle aziende che devono fornire le siringhe, e nemmeno sappiamo quali siano le cinque agenzie per il lavoro che devono procurare i 15.000 vaccinatori da reclutare nella «più grande campagna di massa».
Tegola di Biontech sull’Italia in tilt: «Non abbiamo abbastanza vaccini»
Secondo il Tg1, «è ormai nel pieno e procede spedita». La verità, però, è che la campagna di vaccinazioni anti Covid va a passo di lumaca. Stando all'ultimo aggiornamento ufficiale, le dosi somministrate fino a ieri in Italia, alle 20.40, erano appena 35.850. Imbarazzante il confronto con il resto del mondo: in Italia la percentuale dei vaccinati sul totale della popolazione si attesta solo allo 0,05%, ben al di sotto di altri partner europei come la Danimarca (0,51%), la Germania (0,2%) e il Portogallo (0,16%). Molto più avanti gli Stati Uniti (0,84%), il Regno Unito (1,4%), Bahrein (3,45%) e Israele (11,55%).
Entrando nel dettaglio, le uniche Regioni a doppia cifra con le vaccinazioni rispetto alle dosi consegnate sono il Friuli Venezia Giulia (16,3%), la provincia autonoma di Bolzano (16,2%), il Lazio (13,5%), il Piemonte (12,4%) e il Veneto (10,4%). Maglia nera del Paese, la Sardegna con appena l'1,6% di vaccinati sul totale delle dosi disponibili, seguita a pari merito da Abruzzo e Molise (1,7%). Siamo ancora all'inizio, ma dev'essere ancora inoculato il 92% delle dosi consegnate (469.950) finora al nostro Paese. Facendo i conti della serva, se consideriamo che nel primo trimestre verranno consegnate circa 10 milioni di dosi tra il vaccino Pfizer-Biontech e Moderna, per non maturare arretrati bisognerà effettuare circa 110.000 vaccinazioni al giorno, vale a dire circa dieci volte in più rispetto a quanto fatto fino a oggi.
Un numero destinato a salire ulteriormente se inseriamo nel computo anche la formulazione sviluppata da Astrazeneca, per la quale il commissario straordinario dell'emergenza Domenico Arcuri aveva prospettato 16,155 milioni di dosi nel primo trimestre 2021. Se così fosse, il passo giornaliero di somministrazioni dovrebbe salire addirittura a circa 300.000 al giorno. Numeri inimmaginabili rispetto a quanto si sta facendo al momento: nella giornata di ieri, infatti, l'incremento è risultato pari ad appena 17.000 dosi circa.
E pensare che la prima fase della campagna vaccinale si sta concentrando sul personale medico: medici, infermieri e operatori socio sanitari. Cosa succederà quando la profilassi sarà estesa al personale e agli ospiti delle Rsa, ai cittadini anziani e alle persone con più patologie? Per non parlare del momento in cui le somministrazioni verranno estese anche al resto della popolazione.
«Il punto non è chi somministra prima 1.000 dosi, ma costruire una macchina che consentirà di vaccinare milioni di persone», ha dichiarato giovedì, intervistato dal Corriere della Sera, il ministro della Salute, Roberto Speranza. Tuttavia, in questo contesto la velocità non rappresenta un fattore secondario, in quanto prima si raggiunge la soglia di vaccinati necessaria a garantire l'immunità di gregge (almeno il 70% della popolazione), prima ci si potrà liberare del virus. Occorre ricordare che il vaccino va somministrato in due dosi, e la durata dell'immunizzazione non è ancora certa, anche se non dovrebbe risultare inferiore a 9-12 mesi. Se l'andatura rimane quella odierna, invece, ci vorranno quasi sei anni a tagliare il traguardo prefissato.
Come se non bastasse, sul prosieguo della campagna pesano due grosse incognite. La prima riguarda le cosiddette «primule», i gazebo ospitati nelle principali piazze italiane voluti dal governo e progettati da Stefano Boeri, e nei quali dovrebbe svolgersi la fase della vaccinazione di massa. Poco e nulla è dato sapere sui costi e sulle criticità strutturali. Queste strutture sono poco più che vetrine oppure sono attrezzate anche dal punto di vista medico per gestire l'importante fase di sorveglianza medica immediatamente successiva all'inoculo?
Un altro interrogativo riguarda poi il vaccino Astrazeneca. Quello su cui cioè l'Italia ha puntato tutto o quasi, visto e considerato che ci si aspettava di ricevere entro giugno circa 40 milioni di dosi, un quantitativo sufficiente a coprire circa un terzo della popolazione. E invece il vaccino ancora non c'è. O meglio, il Regno Unito ha già dato l'ok, mentre l'Ema ha fatto sapere in un primo momento di ritenere «improbabile» la sua approvazione prima di febbraio, per poi correggere il tiro e non escludere un via libera già entro questo mese. Complice il «pasticcio» in fase di sperimentazione - l'azienda britannico-svedese ha disposto nuovi approfondimenti a seguito del fortuito risultato sull'efficacia dovuto a un errore nel dosaggio - il ritardo maturato sulla tabella di marcia è già considerevole.
«Si sta creando un buco perché mancano altri vaccini approvati e noi dobbiamo coprire il buco con i nostri», si è lamentato ieri, in un'intervista al quotidiano tedesco Der Spiegel, Ugur Sahin, amministratore delegato di Biontech. Non si parla solo di Astrazeneca, perché all'appello mancano anche Curevac (30,3 milioni di dosi, appena entrato in fase 3), Sanofi (40,4 milioni di dosi, forse slittato al 2022) e Johnson&Johnson (53,8 milioni di dosi, da poco in «rolling review» da parte dell'Agenzia europea del farmaco). Nel frattempo, però, Pfizer e Biontech si sono messe d'accordo con il governo tedesco per la fornitura di 30 milioni di dosi extra rispetto agli negoziati della Commissione. Sottraendo così, di fatto, circa 24 milioni di dosi ai partner europei. Un'intesa sottobanco e in sprezzo agli accordi europei, resa possibile, con tutta probabilità, da un cavillo del documento firmato a giugno dal Consiglio europeo. Impossibile saperlo con certezza, perché i contratti sono coperti dal segreto, ma se le trattative chiuse da Bruxelles non dovessero riportare una clausola di obbligo di acquisto, agli Stati sarebbe concesso sia l'acquisto delle dosi bloccate a prezzi vantaggiosi dalla Commissione, sia di quelle fuori accordo e negoziate con i singoli produttori. Esattamente come sembra abbia fatto la cancelliera Angela Merkel. E così, mentre la nostra campagna vaccinale già arranca e il premier Giuseppe Conte rimane a guardare, gli altri mettono la freccia.
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Roberto Speranza assicura: grazie alle luer lock, recuperiamo il 20% di farmaco. Però esperti e istituzioni lo smentiscono: bastano quelle comuni, conta soltanto l'ago.La divisione tedesca Biontech: «Si approvino altri rimedi, o sarà impossibile coprire il fabbisogno». Qui, poi, è al palo pure la somministrazione delle fiale già pronte: per stare nei tempi, dovremmo andare dieci volte più veloci.Lo speciale contiene due articoli.Verrebbe proprio da chiedersi: ci sono o ci fanno? Alla domanda se difende il commissario Domenico Arcuri, definito «nel mirino», il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha risposto al Corriere della Sera: «Certo, è stato maltrattato perché le siringhe sono costate di più, ma grazie a quelle siringhe e all'autorizzazione Aifa sull'utilizzo della sesta dose recuperiamo un 20% del vaccino Pfizer in più, che vale parecchi milioni di euro». Il ministro non è medico, è laureato in scienze politiche e alla Salute si ritrova non certo per competenze professionali. Però deve difendere Arcuri, ad di Invitalia prestato all'emergenza Covid, che inanella un errore dietro l'altro. Il commissario straordinario ha indetto un bando per 157 milioni di siringhe, scegliendo le costose luer lock perché qualcuno (il ministero della Salute) sostiene che siano più precise e performanti. Una storiella che circola solo in Italia, per difendere una gara incomprensibile oltre confine, costosa e scivolosa nei presupposti.Le siringhe luer lock richieste hanno un sistema di avvitamento che blocca l'attacco dell'ago, ma questo non ha nulla a che fare con la precisione di dosaggio o con la riduzione dello spreco del farmaco, identica ad altre siringhe utilizzate in tutta Europa. «Dal punto di vista tecnico, ciò che consente a una siringa di non sprecare vaccino è l'annullamento dello spazio morto tra la fine del pistone e l'inizio dell'ago. È la costruzione della siringa che fa la differenza. Non l'aggancio dell'ago», ci aveva spiegato un costruttore di dispositivi per iniettare farmaci e soluzioni. Tra i presìdi medici monouso che annullano lo spreco ci sono le cosiddette tubercoline o quelle con ago termosaldato. Ogni tentativo di giustificare la gara risulta dunque un boomerang per Arcuri, e di conseguenza per Speranza. Due giorni fa anche Il Foglio tornava sulla questione, con un articolo dal titolo «La verità, vi prego, sulle siringhe di Arcuri». Veniva ricordato quanto già avevamo scritto, ovvero che la Food and drug administration (Fda), l'agenzia normativa degli Stati Uniti, non fa cenno alle luer lock. Nemmeno l'Ema, l'agenzia europea del farmaco le indica come necessarie per somministrare il Comirnaty, nome commerciale del vaccino messo a punto da Pfizer Biontech. La Fda, nelle sue linee guida, consiglia «a low dead-volume syringe», ovvero una siringa con spazio morto ridotto. Lo spazio morto è il fluido residuo che rimane all'interno della siringa dopo che lo stantuffo è stato completamente premuto. Il 31 dicembre, il dipartimento della Salute dello Stato americano del New Hampshire (Dhhs) scriveva a proposito del vaccino Pfizer: «Siringhe con un volume di spazio morto inferiore producono meno spreco di vaccino e consentono una possibile sesta dose; se si utilizzano siringhe o aghi standard, potrebbe non essere possibile estrarre 6 dosi da un singolo flaconcino». Ma non fanno cenno alle luer lock perché evidentemente non ci sono solo questi dispositivi, per la vaccinazione. Il 29 dicembre, Alison Strath, che sovrintende ai farmaci e alla politica farmaceutica della Scozia, ha scritto ai direttori medici, di farmacia, di infermieristica, ai responsabili delle vaccinazioni, indicando le linee guida raccomandate da Pfizer. «Il volume della fiala è stato ottimizzato per ottenere in modo affidabile cinque dosi indipendentemente dal tipo di siringa utilizzato», informa il dirigente sanitario. Aggiunge: «Quando si utilizzano siringhe e o aghi a basso volume morto, la quantità rimanente nella fiala dopo che sono state estratte cinque dosi può essere sufficiente per una dose aggiuntiva (sesta)». Anche in questo caso, zero riferimento alle costose siringhe scelte da Arcuri su suggerimento del nostro ministero della Salute, che però ufficialmente dichiara che «tutte le siringhe di precisione», vanno bene per estrarre il corretto quantitativo di vaccino da 0,3 ml. «Possono essere impiegate le siringhe da un 1 ml, come quelle da insulina. Basta riempirle per un terzo, ben visibile sulla scala graduata», ha risposto l'Aifa, l'agenzia italiana del farmaco. Allora di che cosa stiamo parlando? Vogliamo difendere l'operato di Arcuri scivolando nel ridicolo, come ha fatto La Repubblica scrivendo: «È la rivincita delle luer lock acquistate da Arcuri e costate il doppio di quelle normali, con un aggravio di spesa di 1,7 milioni. Che però, grazie alle loro caratteristiche che consentono di ricavare anche un'altra dose a fiala, consentono ora un risparmio di 60 milioni, tanto sarebbero costate le altre dosi ricavate»? O Il Fatto Quotidiano, titolando «Spreco? Le super siringhe ora fanno aumentare le dosi»? Per non parlare del Corriere: «Le sei dosi possono essere estratte solo con le siringhe di precisione, le famose luer lock raccomandate dalla stessa Pfizer». Per comprendere, è sufficiente documentarsi sui siti ufficiali di Fda ed Ema, ma sembra quasi prioritario difendere l'operato del commissario straordinario all'emergenza. Lo stesso viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, aveva detto che era più importante pensare a «siringhe che si incappucciano, mentre sono assolutamente inutili la tenuta e la performance». Devono risultare innocue per i pazienti e gli operatori sanitari una volta che l'ago viene ritratto, caratteristica nemmeno sfiorata nel bando Arcuri. Intanto a oggi, 2 gennaio 2021, non abbiamo ancora i nominativi delle aziende che devono fornire le siringhe, e nemmeno sappiamo quali siano le cinque agenzie per il lavoro che devono procurare i 15.000 vaccinatori da reclutare nella «più grande campagna di massa».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/non-servono-le-siringhe-strapagate-da-arcuri-per-la-dose-extra-di-pfizer-2649715429.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tegola-di-biontech-sullitalia-in-tilt-non-abbiamo-abbastanza-vaccini" data-post-id="2649715429" data-published-at="1609543712" data-use-pagination="False"> Tegola di Biontech sull’Italia in tilt: «Non abbiamo abbastanza vaccini» Secondo il Tg1, «è ormai nel pieno e procede spedita». La verità, però, è che la campagna di vaccinazioni anti Covid va a passo di lumaca. Stando all'ultimo aggiornamento ufficiale, le dosi somministrate fino a ieri in Italia, alle 20.40, erano appena 35.850. Imbarazzante il confronto con il resto del mondo: in Italia la percentuale dei vaccinati sul totale della popolazione si attesta solo allo 0,05%, ben al di sotto di altri partner europei come la Danimarca (0,51%), la Germania (0,2%) e il Portogallo (0,16%). Molto più avanti gli Stati Uniti (0,84%), il Regno Unito (1,4%), Bahrein (3,45%) e Israele (11,55%). Entrando nel dettaglio, le uniche Regioni a doppia cifra con le vaccinazioni rispetto alle dosi consegnate sono il Friuli Venezia Giulia (16,3%), la provincia autonoma di Bolzano (16,2%), il Lazio (13,5%), il Piemonte (12,4%) e il Veneto (10,4%). Maglia nera del Paese, la Sardegna con appena l'1,6% di vaccinati sul totale delle dosi disponibili, seguita a pari merito da Abruzzo e Molise (1,7%). Siamo ancora all'inizio, ma dev'essere ancora inoculato il 92% delle dosi consegnate (469.950) finora al nostro Paese. Facendo i conti della serva, se consideriamo che nel primo trimestre verranno consegnate circa 10 milioni di dosi tra il vaccino Pfizer-Biontech e Moderna, per non maturare arretrati bisognerà effettuare circa 110.000 vaccinazioni al giorno, vale a dire circa dieci volte in più rispetto a quanto fatto fino a oggi. Un numero destinato a salire ulteriormente se inseriamo nel computo anche la formulazione sviluppata da Astrazeneca, per la quale il commissario straordinario dell'emergenza Domenico Arcuri aveva prospettato 16,155 milioni di dosi nel primo trimestre 2021. Se così fosse, il passo giornaliero di somministrazioni dovrebbe salire addirittura a circa 300.000 al giorno. Numeri inimmaginabili rispetto a quanto si sta facendo al momento: nella giornata di ieri, infatti, l'incremento è risultato pari ad appena 17.000 dosi circa. E pensare che la prima fase della campagna vaccinale si sta concentrando sul personale medico: medici, infermieri e operatori socio sanitari. Cosa succederà quando la profilassi sarà estesa al personale e agli ospiti delle Rsa, ai cittadini anziani e alle persone con più patologie? Per non parlare del momento in cui le somministrazioni verranno estese anche al resto della popolazione. «Il punto non è chi somministra prima 1.000 dosi, ma costruire una macchina che consentirà di vaccinare milioni di persone», ha dichiarato giovedì, intervistato dal Corriere della Sera, il ministro della Salute, Roberto Speranza. Tuttavia, in questo contesto la velocità non rappresenta un fattore secondario, in quanto prima si raggiunge la soglia di vaccinati necessaria a garantire l'immunità di gregge (almeno il 70% della popolazione), prima ci si potrà liberare del virus. Occorre ricordare che il vaccino va somministrato in due dosi, e la durata dell'immunizzazione non è ancora certa, anche se non dovrebbe risultare inferiore a 9-12 mesi. Se l'andatura rimane quella odierna, invece, ci vorranno quasi sei anni a tagliare il traguardo prefissato. Come se non bastasse, sul prosieguo della campagna pesano due grosse incognite. La prima riguarda le cosiddette «primule», i gazebo ospitati nelle principali piazze italiane voluti dal governo e progettati da Stefano Boeri, e nei quali dovrebbe svolgersi la fase della vaccinazione di massa. Poco e nulla è dato sapere sui costi e sulle criticità strutturali. Queste strutture sono poco più che vetrine oppure sono attrezzate anche dal punto di vista medico per gestire l'importante fase di sorveglianza medica immediatamente successiva all'inoculo? Un altro interrogativo riguarda poi il vaccino Astrazeneca. Quello su cui cioè l'Italia ha puntato tutto o quasi, visto e considerato che ci si aspettava di ricevere entro giugno circa 40 milioni di dosi, un quantitativo sufficiente a coprire circa un terzo della popolazione. E invece il vaccino ancora non c'è. O meglio, il Regno Unito ha già dato l'ok, mentre l'Ema ha fatto sapere in un primo momento di ritenere «improbabile» la sua approvazione prima di febbraio, per poi correggere il tiro e non escludere un via libera già entro questo mese. Complice il «pasticcio» in fase di sperimentazione - l'azienda britannico-svedese ha disposto nuovi approfondimenti a seguito del fortuito risultato sull'efficacia dovuto a un errore nel dosaggio - il ritardo maturato sulla tabella di marcia è già considerevole. «Si sta creando un buco perché mancano altri vaccini approvati e noi dobbiamo coprire il buco con i nostri», si è lamentato ieri, in un'intervista al quotidiano tedesco Der Spiegel, Ugur Sahin, amministratore delegato di Biontech. Non si parla solo di Astrazeneca, perché all'appello mancano anche Curevac (30,3 milioni di dosi, appena entrato in fase 3), Sanofi (40,4 milioni di dosi, forse slittato al 2022) e Johnson&Johnson (53,8 milioni di dosi, da poco in «rolling review» da parte dell'Agenzia europea del farmaco). Nel frattempo, però, Pfizer e Biontech si sono messe d'accordo con il governo tedesco per la fornitura di 30 milioni di dosi extra rispetto agli negoziati della Commissione. Sottraendo così, di fatto, circa 24 milioni di dosi ai partner europei. Un'intesa sottobanco e in sprezzo agli accordi europei, resa possibile, con tutta probabilità, da un cavillo del documento firmato a giugno dal Consiglio europeo. Impossibile saperlo con certezza, perché i contratti sono coperti dal segreto, ma se le trattative chiuse da Bruxelles non dovessero riportare una clausola di obbligo di acquisto, agli Stati sarebbe concesso sia l'acquisto delle dosi bloccate a prezzi vantaggiosi dalla Commissione, sia di quelle fuori accordo e negoziate con i singoli produttori. Esattamente come sembra abbia fatto la cancelliera Angela Merkel. E così, mentre la nostra campagna vaccinale già arranca e il premier Giuseppe Conte rimane a guardare, gli altri mettono la freccia.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
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Merito-Dicembre-2025.pdf
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