2022-02-15
Non è vera storia se non si raccontano i vinti
Un estratto del libro postumo di Giampaolo Pansa in cui il grande giornalista spiega i motivi che l’hanno spinto a indagare le sorti degli sconfitti della Seconda guerra mondiale. Vicende tragiche che «l’antifascismo professionale non ha mai voluto accettare».Pubblichiamo un estratto del prologo Il mio viaggio tra i vinti (Rizzoli, 2017) contenuto in Non è storia senza i vinti. La memoria negata della guerra civile (Rizzoli, 304 pp, 18,50 euro, in libreria dal 15 febbraio) di Giampaolo Pansa (1935 -2020). Nel volume sono pubblicate, oltre ad alcune pagine che compongono il suo «ciclo dei vinti», una parte delle recensioni e delle interviste che i maggiori giornali italiani hanno dedicato ai suoi libri che, nei primi anni Duemila, hanno svelato quanto accaduto tra il 1943 e il 1945, comprese le responsabilità dei «resistenti». Perché scrivere Il mio viaggio tra i vinti, cioè un viaggio nel mondo di chi è stato sconfitto nella guerra civile italiana? Ho almeno tre buone ragioni. La prima è che il punto di vista di questo nuovo lavoro amplia di molto il raggio della bussola che mi aveva guidato nel mio libro più noto, Il sangue dei vinti, uscito nell’ottobre 2003. Quella ricerca riguardava soltanto i fascisti repubblicani sconfitti nell’aprile del 1945 e le sofferenze patite da loro per mano dei partigiani vincitori. Il sangue dei vinti ha conosciuto un successo imprevisto e travolgente. Mi fece scoprire che molti lettori di destra lo aspettavano e si affrettarono a leggerlo. Da quel lavoro ne derivarono altri che scrissi negli anni successivi. E mi guadagnarono il titolo, forse immeritato, di campione italiano del revisionismo storico. Anche nel mio lavoro di giornalista sono sempre stato contrario alle etichette. Preferivo di gran lunga vedere da vicino i fatti e i personaggi che intendevo descrivere. Mi sono comportato nello stesso modo di fronte alla guerra tra il 1940 e il 1945. E mi sono reso conto di una verità banale: il mondo dei vinti era molto più vasto e complesso di quello degli sconfitti nello scontro militare. E comprendeva molti italiani che dapprima la guerra e poi la guerra civile avevano travolto anche quando si erano tenuti lontano da quel caos coperto di sangue. E senza che avessero mai imbracciato un fucile. La novità delle pagine del Mio viaggio tra i vinti consiste nella narrazione di un contesto umano che di solito gli storici tradizionali trascurano. Oppure liquidano con un’immagine avara, diventata abituale: la zona grigia. L’immagine usata per indicare una parte della popolazione italiana rimasta ai margini di un conflitto mondiale e che non meritava di essere ricordata. Ecco, il mio libro vuole andare contro la corrente e presenta una serie di storie spero sorprendenti, proprio perché inaspettate. È innanzitutto il ritratto veritiero dei comunisti di quegli anni. Pronti a uccidere con indifferenza anche gli antifascisti che non accettavano la supremazia del partito di Palmiro Togliatti. E insieme le loro debolezze esistenziali, come rivela la vicenda del federale reggiano malato di sifilide e praticamente pazzo. I contrasti violenti tra i reduci delle Garibaldi e i loro oppositori, un inferno di provincia che in seguito venne chiamato il «Triangolo della morte». […] Ma il tempo della guerra e della guerra civile ha visto andare allo sbaraglio un’infinità di esistenze private, soprattutto di donne. Di solito non erano coinvolte con nessuna delle parti in lotta. Eppure venivano considerate fasciste e spie dei tedeschi per la professione che facevano: l’insegnante elementare, l’ostetrica, la postina, o la prostituta come nel caso delle donne di vita che erano accorse nella repubblica partigiana di Montefiorino. Le loro storie descrivono meglio di altre la follia di un’epoca di conflitti senza misericordia che si insinuavano nell’esistenza di tutti. La seconda ragione che ha reso inevitabile questo viaggio è che l’uscita del Sangue dei vinti risale a ben quattordici anni fa. Da quel momento ho ricevuto parecchie migliaia di lettere che mi raccontavano fatti accaduti tra il 1943 e il primo dopoguerra che non comparivano nel mio lavoro. Le scrivevano soprattutto donne di ogni età e di condizioni sociali spesso molto diverse. Iniziavano quasi sempre nello stesso modo: «Caro signor Pansa, nel Sangue dei vinti non ho trovato una storia che riguarda la mia famiglia. Provo a raccontargliela, ne faccia l’uso che crede...». In quattordici anni, chi allora era un ragazzo è diventato adulto. Ha scoperto quello che non conosceva poiché i famigliari avevano scelto di non rivelarglielo. Non è semplice spiegare a un adolescente in che modo sia stato ucciso il padre, un nonno, uno zio, una zia che aveva combattuto dalla parte considerata sbagliata. Ed era stato soppresso in modo barbaro, quando la guerra civile era già terminata. Questo libro è dedicato specialmente a loro. Nella speranza che comprendano che non tutti gli antifascisti, come ritengo di essere anch’io, sono accecati dall’odio politico. Un sentimento sterile che non ha più senso. E andrebbe bandito nei rapporti personali e politici. Il terzo motivo riguarda me stesso. Ho iniziato a occuparmi della guerra civile italiana quando avevo ventuno anni e stavo preparando la mia tesi di laurea, poi discussa nel luglio 1959 e in seguito pubblicata da Laterza. Oggi sono un signore ottantenne, un giornalista che seguita a lavorare, dopo essere passato per molti quotidiani e settimanali. […] Il mio viaggio nel mondo dei vinti, compiuto insieme a Adele Grisendi, da anni la compagna della mia vita, è soprattutto un viaggio dell’anima, forse l’ultimo che farò prima di andarmene. Con Adele abbiamo ripercorso un itinerario che ci ha portato in luoghi cruciali della guerra civile e delle tragedie che nascondevano. Entrambi eravamo e siamo guidati da una verità che ci è chiara da sempre: la storia non appartiene soltanto ai vincitori, ma anche ai vinti. L’antifascismo professionale non ha mai accettato questa verità. Lo abbiamo constatato ancora una volta il 25 aprile del 2017. Quel giorno, un migliaio di giovani si sono raccolti in un’area del Cimitero Maggiore milanese, il campo numero 10 che conserva le spoglie di tanti caduti della Repubblica sociale. E hanno ricordato i loro morti con il saluto fascista. Questo gesto, in fondo naturale e identitario, ha acceso lo sdegno di alcuni pennacchioni governativi. Dai palazzi della Casta politica si sono levati strilli grotteschi, scomuniche, richieste di denunce alla magistratura. Ma che cosa dovevano fare quei giovani? Salutare i propri morti con il pugno chiuso? […] Il mio viaggio tra i vinti è figlio di tutto questo. E della scelta, neppure tanto faticosa, di ritornare alla storia che mi è passata davanti agli occhi, non soltanto quella dei vincitori. Dopo aver scritto tanto sui ragazzi che hanno lottato per la libertà, [...] sono andato a frugare tra le vergogne che una parte di loro aveva commesso. Per i motivi più diversi. Il fanatismo ideologico. La voglia di vendetta. Oppure per la ferocia che èinsita in tutti gli esseri umani. Un virus con tante vittime, non soltanto nere, pure bianche e rosse. Ecco la scoperta che ho fatto scrivendo questo nuovo libro. L’Italia è un Paese di sconfitti. E noi italiani non siamo affatto brava gente. Ci odiamo e vorremmo ammazzarci a vicenda. Accade anche oggi, nel caos di una Repubblica tenuta in vita da partiti screditati, corrotti e abbastanza mafiosi.