2021-02-21
Noi, appesi all’archetipo della Ricostruzione
In psicologia si tratta di una forza potentissima, legata all'inconscio collettivo: tutti, in un modo o nell'altro, siamo stati distrutti da qualcosa o qualcuno. Il premier l'ha evocata nel suo discorso e l'Italia l'ha conosciuta nel dopoguerra. Sfruttiamo l'occasione.La Nuova Ricostruzione, citata velocemente (seppure con le maiuscole) da Mario Draghi, è un programma forte; se si riuscirà a realizzarlo. Non è un concetto, uno slogan appeso al niente, alle mode, a impressioni superficiali; ma un fatto, un evento personale e collettivo, un processo storico ricorrente nella biografia di uomini e donne, e interi Paesi e nazioni. Tutti, persone e Stati, siamo stati in qualche modo e da qualche parte distrutti, e tutti abbiamo dovuto ricostruirci, o cercare di farlo. Per questo è un vero archetipo dell'inconscio collettivo, narrato nei miti, nelle tradizioni religiose, e naturalmente nella storia dell'umanità, come anche dai casi clinici della psicologia, personale o collettiva.Come ogni archetipo, la Ricostruzione possiede la sua propria psicologia, antropologia, economia, specifiche scienze ad essa dedicate. Chissà se Draghi ad esse pensava, o se gli è venuta così (anche se non sembra uno che parla a vanvera). Non ha comunque importanza, perché quando si è entrati nel fascio di energie consce e inconsce rappresentate dall'archetipo (in questo caso la Ricostruzione), sono esse che (per così dire) comandano, guidano le danze, ispirando idee, azioni, anche politiche. Non è, infatti, un fenomeno solo razionale. Quando ti ci avvicini, l'archetipo in un certo modo ti prende, ti ispira e ti organizza. L'importante, per la buona riuscita della cosa, è nutrirne i miti con immagini, narrazioni, storie, che possano appunto ispirare programmi, azioni, cose. È certo poi che la Ricostruzione necessita (e quindi anche promuove, fa nascere, rafforza) l'unità, richiesta da Draghi e anche dallo Sguardo selvatico: non si può ricostruire ciascuno per conto suo. È anzi proprio il processo ricostruttivo che riunisce, crea unità, soprattutto se nutrito con prospettive buone, positive, con immagini e programmi fertili, e non astratti, ma operativi.Insomma, Ricostruzione è già, in sé, un programma di governo, di cui oggi si sente fortemente l'esigenza. Il che ci conferma che molto, troppo, è stato distrutto. L'arrivo di Mario Draghi, e il suo parlare (senza insisterci troppo) di Nuova Ricostruzione non è solo - mi sembra - un'operazione politica. È anche - visto con gli strumenti della psicologia analitica - il farsi strada dell'archetipo della Ricostruzione nel conscio e inconscio collettivo, mettendo in moto quelle spinte unificanti che sempre l'accompagnano.Chi scrive ha otto anni in più di Mario Draghi, e forse anche per le orrende faide quotidiane della politica italiana è da molti mesi inseguito dai ricordi infantili del dopoguerra e dal suggestivo miscuglio che vi regnava tra contrapposizioni molto forti ed esibite e, dietro, un saldissimo accordo su cosa si dovesse fare e dove bisognasse andare. Esibita era, con tranquilla e convinta ostentazione, l'opposizione tra comunismo e anticomunismo. Non tra destra e sinistra: anche a sinistra infatti era presente la posizione anticomunista, culturalmente molto forte. Mentre l'antifascismo era pochissimo nominato, praticamente invisibile: il fascismo aveva clamorosamente e rovinosamente perso, nessuno ne parlava più. Gli antifascisti più informati, piuttosto, cominciavano a interessarsi alla condizione degli intellettuali dissidenti e degli ebrei in Unione Sovietica e nei Paesi comunisti, da cui arrivavano notizie tutt'altro che rassicuranti. Su altro, invece, la gente, i genitori, i fratelli grandi, tutti erano d'accordo: bisognava ricostruire subito tutto, le case, la fabbriche, le scuole. Ma anche costruire ex novo e diventare più ricchi, perché la maggior parte della gente era troppo povera ed era stufa di esserlo. Anche il contatto con le truppe alleate, il chewing-gum, il jazz avevano fatto venire voglia agli italiani di vivere meglio e più allegramente. Milano divenne subito dopo la guerra un'officina a cielo aperto. Si ricostruiva, e soprattutto si lavorava, dappertutto: nei corridoi, nelle cantine; dovunque si potesse piazzare una macchina che fabbricasse qualcosa da vendere, con guadagno. La leggendaria Fiera campionaria, attiva fin dall'inizio del secolo e completamente distrutta dai bombardamenti del 1943, fu ricostruita subito e riaprì i cancelli già nell'anno successivo alla liberazione. La inaugurarono le massime autorità: il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, e il capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Grande attrazione fu la prima lavabiancheria italiana, il modello 50 della Candy, per cui impazzirono tutte le donne, e naturalmente anche i loro mariti. Gli oggetti di consumo facevano notizia, ma il nocciolo duro della Fiera (come veniva familiarmente chiamato questo supermercato della Ricostruzione) erano ogni anno le migliaia di macchine utensili che consentivano a chi voleva lavorare (magari finito il primo lavoro) di diventare un piccolo industriale. Nel 1948 la ricostruzione della Fiera era compiuta e quella dell'Italia era un fenomeno ormai inarrestabile. Il Fronte popolare tra Partito comunista e Partito socialista di Pietro Nenni perse le elezioni e gli italiani di entrambi gli schieramenti, continuando a lavorare entusiasticamente, come niente fosse, diventarono ricchi e piuttosto felici. La Ricostruzione diventò il miracolo economico italiano, e i giovani svegli arrivarono da tutto il mondo per studiare come funzionasse.I problemi iniziarono (come sempre accade) quando gli italiani cominciarono a considerare la ricchezza un dato acquisito, non una conquista da rinnovare ogni giorno, e smarrirono l'unità, pratica e ideale insieme, per nulla ideologica, fornita dal potente archetipo della Ricostruzione. Fu allora che al posto dell'eroica spinta di affermazione si sviluppò l'edonismo fine a sé stesso. In Rocco e i suoi fratelli, diretto da Luchino Visconti dalla straordinaria storia di Giovanni Testori, il fratello minore di Rocco finisce in brutti giri. Erano già arrivate le droghe leggere e pesanti, reclamizzate e distribuite dalla varie mafie, da quelle della stampa a quelle della politica. Il 1968, nei suoi vari volti, da quelli squinternati e permissivisti all'invece austero movimento studentesco milanese, fu una delle manifestazioni della crisi e insieme della difficoltà di uscirne. Il fatto è che i padri della patria, soprattutto il cattolico De Gasperi e l'economista liberale Luigi Einaudi (governatore della banca d'Italia, ministro del Bilancio, e presidente della Repubblica), non avevano avuto eredi, anche se Draghi è una versione attuale di Einaudi, per forza di cose ibridata con la scuola di John Maynard Keynes. In campo democristiano poi, Amintore Fanfani fu un disastro, e Aldo Moro venne addirittura ucciso. Quella del socialismo, e di Bettino Craxi, fu una vera tragedia, personale e collettiva. È così che nei decenni di fine secolo lo sperpero e l'ostentazione presero il posto della ricostruzione e del rigore, e cominciò la fuga all'estero dei giovani italiani più qualificati, gradualmente divenuta negli anni un fenomeno di massa. È da quei decenni sciagurati che si impennò lo sviluppo dell'assurdo debito pubblico, il cappio al collo dell'Italia che ancora produce (anche se meno) e lavora. Nuova Ricostruzione, dunque, non sono due parole, ma il nostro presente. Ci piaccia o no, dobbiamo entrarci con convinzione, studio, passione. È il nostro unico futuro possibile. Garantito da un archetipo potente, con cui è meglio tornare a familiarizzarsi.
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)