2020-09-16
Niente «patto di corresponsabilità»? E i bimbi vengono esclusi dalle lezioni
La denuncia dei genitori che hanno rifiutato di firmare un atto giuridicamente non vincolante: i nostri figli sono stati messi alla porta. Ed è panico tra i pediatri: temono guai per i certificati di rientro e i tamponi.Un alunno lasciato fuori dalla scuola perché i genitori si sono rifiutati di sottoscrivere il «patto di corresponsabilità». Accade in una primaria di Alassio, dove Sabina Poggio, dirigente scolastico dell'istituto comprensivo statale nella Riviera di Ponente, non ha voluto far entrare in classe un bimbo senza il documento firmato. «Avevamo spiegato le ragioni del nostro essere contrari, il risultato è stato che lunedì mattina i compagni di Marco sono entrati tutti, nostro figlio no», racconta il padre, che preferisce mantenere l'anonimato. «Con mia moglie siamo andati subito dai carabinieri per presentare querela, ci hanno consigliato di far mandare dall'avvocato una lettera di diffida alla preside. Così abbiamo fatto, ma ieri ancora una volta nostro figlio è rimasto fuori dai cancelli». L'ennesima grana, insidiosissima, per i genitori, sembra dunque essere questo patto, privo di fisionomia giuridica. Voluto dall'allora ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, in nome di una alleanza educativa tra studenti, mamme e papà e istituti scolastici, trasformato in norma nel 2007, oggi quell'accordo arricchito da nuovi regolamenti e impegni anti Covid diventa in molte scuole il pretesto per precludere agli scolari l'accesso in aula, se non viene firmato. Un abuso bello e buono. «Chiariamo che si tratta di un contratto unilaterale», spiega l'avvocato Stefano Sibelja. «Viene proposto come patto educativo ma è predisposto solo da una delle due parti in causa, l'istituto scolastico che lo redige in piena autonomia. Ogni scuola mette all'interno quello che vuole, le linee guida dell'Iss hanno lasciato grande discrezionalità al preside». La normativa, però, non fa cenno a sanzioni nel caso in cui la famiglia non aderisca a questo patto educativo. La formula vaga: «È richiesta la sottoscrizione da parte dei genitori», non può comunque sottintendere che, in caso contrario, si perde il diritto costituzionale all'istruzione. Diritto non soggetto a condizioni che ne limitino l'esercizio. «Eppure anche nostro figlio Nicola ha rischiato di non poter frequentare la quarta primaria nell'istituto comprensivo Sestri Levante», spiega Anna Pettinaroli, consulente finanziaria di Casarza Ligure. «Con mio marito Matteo abbiamo sempre firmato il patto educativo, morale, di condivisione di regole e comportamenti, ma il nuovo documento è altra cosa», precisa la signora. «I genitori devono impegnarsi a rispettare una serie di misure anche nei confronti della comunità scolastica, in cambio non abbiamo garanzie. Nemmeno ci viene detto che le mascherine sono sicure, che i gel non contengono sostanze nocive». Assieme ad altri genitori, Anna e Matteo hanno comunicato che non avrebbero firmato il patto, è stato loro detto che allora potevano tenersi i figli a casa e solo dopo una lettera di diffida, lunedì la preside Donatella Arena ha accolto in classe Nicola. «Nei patti ci sono obblighi, che non hanno un referente normativo», precisa l'avvocato Sibelja. «Così pure il tampone, che è una prestazione sanitaria, non me lo può imporre una linea guida che è un atto amministrativo». A puntualizzare il rischio di abusi ci aveva già pensato il senatore Mario Pittoni: «Ogni istituto concorda con le famiglie un suo patto di corresponsabilità, ma se qualcuno - complice l'emergenza sanitaria - si è fatto prendere la mano fornendo indicazioni diverse, è fuori dalle regole», commentava il referente scuola della Lega e vice presidente della commissione Cultura a Palazzo Madama. Sul fronte responsabilità, oltre ai genitori sono in allarme pure i pediatri. Mamme e papà sanno che devono vigilare, misurando la temperatura corporea della prole senza trascurare colpi di tosse, raffreddore, mal di testa o altri sintomi riconducibili al Covid. Ai primi sospetti terranno a casa il bimbo o tutti i figli, se ne hanno più di uno, con enorme disagio per i genitori che lavorano. Ma in grande difficoltà sono pure i pediatri, che dovranno rilasciare un certificato per la riammissione in classe. Questo significa avere fatto un tampone e per stare tranquille molte famiglie stanno tempestando i medici di prenotazioni. «Sono sommersi dalle telefonate di genitori che richiedono il tampone per i loro figli, preoccupati per sintomi che pure in questa stagione sono nella norma: tosse, febbre, problemi gastrointestinali. Disturbi che, però, ora è necessario distinguere da un'infezione da coronavirus», ha spiegato Paolo Biasci, presidente nazionale della Federazione italiana medici pediatri (Fimp). In caso di forti sospetti, il tampone non viene fatto subito. Il pediatra fa la richiesta all'Asl, dopo il test bisogna aspettare il risultato e può passare una settimana, anche dieci giorni. Se risulta positivo, occorre ripeterlo. Intanto i malesseri stagionali possono essere scomparsi, ma bisogna attendere. Qualche giorno fa Rgu, il quotidiano online di Radiogenteumbra, pubblicava la lettera di un padre che ha dovuto aspettare sei giorni prima di poter fare il tampone al figlioletto «di 8 anni, sintomatico, costretto all'isolamento domiciliare senza una diagnosi verso altre patologie. Impossibilitato, quindi, a spostarsi per ulteriori accertamenti specialistici». Una situazione di sicuro stress per quella famiglia e per altre. I medici che si occupano della salute dei bambini sono preoccupati. «Sappiamo che è appena l'inizio perché le patologie stagionali aumenteranno», considera Biasci, secondo il quale «è prevedibile, quindi, che le richieste di tampone per bambini e ragazzi cresceranno in maniera esponenziale».
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
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