2020-04-03
Nessuno dei sindaci del Pd può impartire lezioni. Non avevano capito niente
Beppe Sala e Alessandro Cattelan durante un aperitivo con l'hashtag #Milanononsiferma (Instagram)
C'è un problema di decenza e uno di opportunità politica. Entrambi avrebbero dovuto sconsigliare i sindaci lombardi del Pd di scrivere al governatore Attilio Fontana una lettera di attacco alla gestione dell'emergenza. Nessuno dei suddetti ha infatti titolo per impartire lezioni di ciò che si doveva fare e, forse, non si è fatto. Primo perché nessuno dei primi cittadini di Milano, Brescia e Bergamo (questi i più rappresentativi fra i firmatari) è esperto in virologia e dunque sa di che cosa si parla quando (...)(...) si discute di tamponi, test sierologici e sperimentazione vaccinale. E secondo perché fino a ieri i sottoscrittori della lettera erano in prima fila a predicare comportamenti che hanno consentito ancora di più la diffusione dell'epidemia.Eh, già. Come può Beppe Sala impancarsi a censore dei comportamenti altrui quando fino a poche settimane fa indossava la maglietta con l'hastag «Milano non si ferma»? All'epoca c'erano già stati i primi morti e mentre Attilio Fontana - con grande scandalo di chi oggi lo censura - si metteva in diretta tv una mascherina chirurgica, annunciando di essere in auto isolamento dopo che una sua collaboratrice era stata scoperta positiva al coronavirus, il sindaco della capitale economica del Paese invitava la città a non fermarsi, cioè sollecitava i milanesi a continuare a fare la vita di prima. Uscendo la sera con gli amici, facendosi un aperitivo e frequentando i locali pubblici come se a pochi chilometri non si stesse diffondendo il contagio. All'epoca il primo cittadino di Milano sembrava più preoccupato dal virus della sfiducia (economica) che da quello cinese. Prova ne sia che, oltre ad abbracciare gli abitanti della Chinatown meneghina, rilanciava sulla sua pagina Instagram una foto con Alessandro Cattelan mentre insieme, sui Navigli, si bevevano una birra. Messaggio chiaro anche se non scritto: non c'è da preoccuparsi, possiamo continuare a brindare, ad andare al cinema, a vedere i musei e a socializzare. Quanto non ci fosse di che allarmarsi lo abbiamo visto qualche settimana dopo. Ma nel frattempo l'amministrazione comunale guidata da Sala si era già preoccupata di ridurre le corse urbane dei mezzi pubblici e così, in barba a qualsiasi norma di distanziamento sociale, i viaggiatori sono stati costretti a stare vicini vicini, proprio come dicono a Striscia la notizia. E ora il sindaco-manager ci viene a parlare di tamponi e di test? Ma ci faccia il piacere: stia in auto isolamento fino a che questa storia non sia passata e speri che i milanesi se ne dimentichino prima delle prossime elezioni.Non molto diversa è la situazione di Giorgio Gori, primo cittadino di Bergamo, anche lui manager e dunque molto attento alle cose economiche, e come Sala a caccia di visibilità per futuri ruoli nazionali. Quando cominciarono a circolare i primi allarmi per il coronavirus, l'ex direttore di Canale 5 si preoccupò dei concittadini cinesi. Temendo che l'epidemia ne danneggiasse gli affari, si fece ritrarre con un involtino primavera, contornato dai suoi assessori e dai ristoratori Made in Pechino: uno spot perfetto per i tg della sera. Poi, non contento, il primo marzo, quando il virus già dilagava ad Alzano Lombardo e a Nembro, due paesi a un passo dal capoluogo, il sindaco invitò tutti a partecipare alla Fiera dell'artigianato, offrendo anche un biglietto speciale e sperando in una maxi affluenza per rilanciare l'economia locale. Niente di diverso è stato fatto da Emilio Del Bono, altro sindaco firmatario della lettera contro Fontana. Agli inizi dell'epidemia, lui e il vescovo di Brescia si dimostrarono allarmati per i ristoratori cinesi che vedevano diminuire la clientela. Una preoccupazione che il Giornale di Brescia sintetizzò così: «Bacchette alla mano, sindaco e vescovo sono pronti a mangiare nuvole di drago, ravioli al vapore e pollo alle mandorle per lanciare un messaggio a tutti i bresciani: i ristoranti cinesi hanno registrato un crollo ingiustificato delle presenze - spiega Emilio Del Bono - dobbiamo combattere questo clima di diffidenza che si è creato». Di lì a poco il sindaco si trovò a combattere contro un ben altro clima, ma prima che migliaia di morti piegassero la provincia e la sua città, la giunta da lui guidata fece in tempo a sollecitare i bresciani a visitare le mostre cittadine, offrendo addirittura biglietti gratis per i musei.Sì, quelli che ora firmano petizioni per chiedere conto di come mai non si sono fatti i tamponi e perché non si sperimenta un test per il coronavirus sono gli stessi che, in perfetta sintonia con il loro segretario Nicola Zingaretti, che il 27 febbraio si trasferì a Milano per un aperitivo sui Navigli, dicevano che non c'era ragione di fermarsi. La loro lezione era semplice: bisognava continuare a produrre e fatturare. Poi è arrivato il virus, sono cominciate le morti a grappolo e Milano, Bergamo e Brescia si sono dovute fermare per forza. Gli unici a non fermarsi sono sempre loro, i sindaci. Che dall'alto della loro competenza vogliono darci un'altra lezione. Speriamo che il coronavirus passi presto e che prima o poi si torni a votare.