2023-02-25
Nell’Ue avanza il progetto: «Acquisti congiunti di munizioni per l’Ucraina»
Ursula Von der Leyen rilancia la proposta del premier estone, sponsorizzata da Josep Borrell «Coinvolgiamo le aziende della Difesa». Un affare soprattutto per francesi e tedeschi.La vera partita per la nostra industria si aprirà dopo il 2025, sul cingolato post Leopard.Lo speciale contiene due articoliOccasione migliore per piazzare il colpo non ci poteva essere. Nel primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, annuncia il ricorso ad acquisti centralizzati di armi e munizioni da parte dell’Unione europea. Un grande salto di qualità in termini di potere per Bruxelles e un grande favore specialmente alle industrie belliche di Francia e Germania, che già si fregano le mani. Von der Leyen ieri era a Tallin, in Estonia, con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, per ribadire pieno e totale appoggio all’Ucraina nella guerra con la Russia, un sostegno «finanziario, economico e militare». Fin qui, nulla di nuovo. Ma poi ecco l’annuncio che rischia di cambiare il volto dell’Unione e di stravolgere gli equilibri dell’industria bellica continentale. «Ricorreremo ad acquisti congiunti per fornire forniture militari urgenti all’Ucraina», ha detto il presidente tedesco della Commissione, «come ad esempio le munizioni da 155 millimetri (per i carri armati, ndr)». Per questo, ha rivelato che «stiamo lavorando con la nostra industria della Difesa per produzione di queste munizioni e di altre attrezzature necessarie alle forze ucraine». In sostanza, l’Unione vuole muoversi come committente militare per conto dei diversi Paesi e non più come coordinatore politico dei vari aiuti al governo di Kiev e al suo esercito. Per arrivare a questo salto di qualità, i funzionari della Commissione stanno studiando i i modi per dare vita ad accordi di acquisto anticipato che consentirebbero all’Unione europea di approvvigionarsi collettivamente di armamenti dai grandi produttori del settore Difesa. Su questo punto, del resto, von der Leyen aveva recentemente confermato che ci fossero delle riflessioni in corso. Ieri, l’annuncio. Giovedì Johannes Hahn, commissario europeo per la Programmazione finanziaria e il bilancio, aveva respinto l’ipotesi che l’Unione possa finanziare con le proprie risorse acquisti diretti di materiale militare. «Non sono cose possibili in base ai trattati», aveva detto il politico austriaco, «e su questo sono stato molto chiaro nello spiegare che cosa si può fare e cosa non si può fare in base alle leggi vigenti». In realtà, chi preme per il modello «acquisti congiunti» fa notare che esiste un fondo chiamato European peace facility (Epf), che a dispetto del nome è già stato usato per rimborsare alcuni Stati che hanno donato armi all’Ucraina. L’Epf è un fondo fuori bilancio, intergovernativo, al quale ogni Stato può contribuire e dal quale si può prelevare somme. Piccolo particolare, da un anno a questa parte la dotazione del fondo è quasi esaurita. Ma i sostenitori dell’acquisto collettivo di munizioni puntano sul rafforzamento dell’Epf. L’uscita di Hahn è arrivata dopo che la scorsa settimana, alla conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera, von der Leyen si era avvicinata a dichiarare l’obiettivo. «Adesso è giunta l’ora di accelerare sulla produzione di prodotti standardizzati», aveva detto il presidente, perché «non è più pensabile dover aspettare mesi e anni per essere in grado di riempire nuovamente i nostri magazzini». Va detto che l’idea degli acquisti congiunti di armi non è spuntata dal nulla, ma il processo è stato preparato con una certa cura. A novembre, Josep Borrell, capo della diplomazia Ue, e Thierry Breton, commissario al Mercato interno, avevano scritto una lettera ai ministri della Difesa Ue in cui suggerivano esattamente quello che ha annunciato ieri la von der Leyen. E nel sostenere la bontà della loro proposta avevano fatto un paragone non banale, ovvero l’emergenza Covid e il fatto che sia stata la Commissione Ue a negoziare con Big pharma l’acquisto dei vaccini. Con una trasparenza che tutti ricordano. Poi, il mese scorso, il progetto ha fatto un altro passo avanti con l’appoggio ufficiale del premier estone Kaja Kallas, nel corso di un summit dei leader europei. La proposta della Kallas è stata esattamente di modellare gli acquisti centralizzati di armi su quelli dei vaccini, confermando che è con le emergenze sanitarie che si stabiliscono i precedenti più arditi. Domenica scorsa è stata di nuovo la volta dell’instancabile Borrell. L’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione ha chiuso il cerchio affermando: «Sono completamente d’accordo con la proposta del primo ministro Kallas». E poi ha confermato i lavori in corso: «Stiamo lavorando su questo e funzionerà». La scusa? «L’Ucraina ha una grossa carenza di munizioni che va risolta subito, questione di settimane». La settimana passata Stoltenberg aveva raccontato con soddisfazione che, oltre agli Stati Uniti, anche Francia, Germania e Norvegia avevano firmato contratti con le aziende della Difesa per aumentare la produzione di munizioni e aveva citato, in particolare, gli stessi proiettili da carro armato dei quali ha parlato ieri von der Leyen. Con la rivoluzione degli acquisti congiunti, i contribuenti di tutta Europa finanzieranno i fatturati dei big tedeschi e francesi. Ma naturalmente «ce lo chiede l’Ucraina». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nellue-avanza-il-progetto-acquisti-congiunti-di-munizioni-per-lucraina-2659465509.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="litalia-puo-piazzare-i-suoi-missili-ma-il-nodo-sara-il-blindato-europeo" data-post-id="2659465509" data-published-at="1677267320" data-use-pagination="False"> L’Italia può piazzare i suoi missili ma il nodo sarà il blindato europeo Nel 2021 l’Italia ha esportato armi per un valore indicativo di 4,6 miliardi. Più di 90 i Paesi beneficiari e di questi circa la metà fanno parte dell’Unione europea. Al di là del peso delle singole nazioni il 79% dell’intero valore esportato va sotto la voce materiali. Il prodotto che pesa più è quello dell’ala fissa o, detto in altro modo, dei velivoli militari. Leonardo ha infatti venduto ben sei M346 a Singapore, Polonia e Israele. Seguono blindati leggeri e dopo a ruota i missili. la lista della spesa serve a capire che il resto sono un po’ briciole e in caso di notevole corsa al riarmo la nostra industria dovrebbe darsi una consiste mossa per non rimanere indietro. In occasione della visita in Iraq, il premier Giorgia Meloni ha rilasciato una dichiarazione ambigua. «Ci accorgiamo anche della nostra eccessiva dipendenza in termini di sicurezza dagli Stati Uniti». L’«anche» era riferito a Russia e Cina, visto che in un altro passaggio del discorso ha spiegato che per sostituire partner come Mosca non bisogna mettersi nelle mani di Pechino. Con un riferimento chiaro alla filiera dell’elettrico e delle rinnovabili. Ma allora perché in questi paragoni negativi inserire gli Usa? La prima lettura è che chiaramente per sicurezza non si intende in alcun modo il comparto, ma l’industria della Difesa. Da qui a sua volta derivano due altre osservazioni. Dietro al concetto potrebbe esserci un messaggio ai due alleati Ue, Francia e Germania. Cioè, un tentativo di confermare la nostra disponibilità a mettere tutti e due i piedi nella Difesa comune. Alcuni analisti ci hanno visto il tentativo di tenere buone Parigi e Berlino dopo la firma congiunta con Uk e Giappone del programma del velivolo di sesta generazione Gcap, già Tempest. L’altra ipotesi è che, a fronte di una continua collaborazione con gli Usa, la nostra industria voglia concentrare fondi per sviluppare progetti e contenuti in autonomia. Ecco che la seconda ipotesi può permetterci di rimanere al centro del Mediterraneo e giostrarci tra Bruxelles e Washington. La prima ipotesi sarebbe invece l’ammissione di voler sedere sempre al terzo gradino del podio. Un ragionamento che diventa più che mai pressante in vista del riarmo ai fini ucraini. Da un lato i fondi comuni potranno essere impiegati per rimpinguare i depositi di munizionamento - e qui la nostra industria ha poche pedine da muovere. La partita vera sarà quella successiva al 2025, quando i Paesi Ue dovranno sostituire i carri Leopard che stanno inviando in Ucraina. Da subito si deve partecipare al match del carro comune Ue. Rimanere fuori sarebbe un tremendo problema. A giugno dello scorso anno i tedeschi di Rheinmetall, colosso amministrato da Armin Papperger e celebre soprattutto per gli autoveicoli militari, hanno inviato ad Alessandro Profumo una lettera per l’acquisto del 49% di Oto Melara. L’azienda che è stata pomo della discordia tra Leonardo e l’ex numero uno di Fincantieri, Giuseppe Bono. La proposta non è vincolante, mette sul piatto tra i 190 e i 210 milioni e mira a una partnership di lungo periodo. Ancora più diretta è un’altra lettera spedita il 31 maggio ai ministri Lorenzo Guerini, Giancarlo Giorgetti e Daniele Franco. «Nella nostra visione», scriveva Papperger, «il partenariato in questione porterà alla creazione di un centro di eccellenza nazionale nel settore terrestre, guidato e gestito dalla stessa Oto Melara che dovrà da subito focalizzarsi sul programma per il nuovo carro leggero (Infantry fighting vehicle) e sul futuro carro Ue (European main battle tank)», si legge nella lettera. Tradotto in poche parole, la proposta è un fidanzamento in chiave anti francese. Un posizione di parte, chiaramente. Da allora non si è più fatto nulla. E questo è un problema. Il nostro Paese partecipa al sistema d’arma di sesta generazione ed è ben piazzato nel mondo dei missili grazie a Mbda, ma se perde il posto sul carro rischia di rimanere monco.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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