
La fazione contraria a Carlo Monti e Gianfranco Ragonesi elegge dieci candidati al Consiglio di indirizzo.Alla fine gli «oppositori» sono diventati maggioranza vincendo una battaglia decisiva nella guerra scoppiata in Fondazione Carisbo. Lo scontro, di cui La Verità ha scritto nei giorni scorsi, si è consumato all'assemblea dei soci riunita a Bologna per quasi quattro ore. E conclusa con l'elezione (con una trentina di voti sui 54 soci presenti sia fisicamente sia online) di dieci candidati per le poltrone del Consiglio di indirizzo, ovvero l'organo chiave che indica consiglio e presidente, approva il bilancio e sceglie i settori cui destinare le erogazioni. Quali sono i nomi approvati ieri? Cristina Boari, docente di scienze aziendali all'università di Bologna, l'avvocato Stefano Borghi, il cardiochirurgo e professore universitario Roberto Di Bartolomeo, la docente di diritto tributario Piera Filippi, l'avvocato Giordano Jacchia, Susi Pelotti, docente universitaria e direttrice della Scuola di specializzazione medicina legale di Bologna, il gastroenterologo Pietro Ricci, l'ex banchiere Gianguido Sacchi Morsiani (una delle anime dell'opposizione), l'industriale Daniele Salati Chiodini e il professore di diritto privato Michele Sesta.La governance della fondazione bolognese, ricordiamolo, è complessa: c'è l'assemblea di circa 100 soci presieduta da Daniele Furlanetto, il Collegio d'indirizzo (votato per dieci componenti dall'assemblea, nove dagli enti territoriali e uno dal collegio d'indirizzo uscente), il cda (a sua volta votato dal Collegio d'indirizzo) presieduto da Carlo Monti e anche un presidente onorario, Gianfranco Ragonesi. La Fondazione si è spaccata in due fazioni, quella che appoggia l'operato di Monti e Ragonesi e gli «oppositori» che contestano la gestione della «cassaforte» della città.La prima battaglia si era consumata il 14 maggio, quando gli oppositori erano riusciti a eleggere tra i «critici» dieci membri del nuovo Collegio di indirizzo. Un risultato definito però illegittimo dal presidente Monti, che per avere un parere aveva interpellato il ministero del Tesoro. In una prima risposta, il Tesoro avrebbe valutato come non valida quell'assemblea e aggiunto che prima di eleggere il «parlamentino» che nomina il cda, bisogna rinnovare l'assemblea stessa, dove alcuni membri sono in scadenza, successivamente si è adoperato per promuovere un accordo tra le parti. II presidente dell'assemblea, Furlanetto, ha quindi convocato l'assise di ieri. Che ha confermato il ribaltone di maggio.Gli attuali vertici della fondazione bolognese potrebbero provare qualche contromossa ma in tal caso il ministero del Tesoro (organo di Vigilanza delle fondazioni) potrebbe decidere di commissariare l'ente bolognese, facendo riferimento alla paralisi degli organi di gestione. Il Mef ha già inviato al collegio dei revisori della Fondazione, a Monti e al cda una lettera chiedendo di fornire «le proprie valutazioni supportate da adeguata documentazione che attesti il pieno e regolare rispetto delle norme sui mandati con particolare attenzione anche al rispetto delle disposizioni in materia di incompatibilità». Senza ricevere, almeno fino a ieri, risposta.Di certo, per il prossimo 22 settembre è stata convocata una nuova assemblea con all'ordine del giorno la nomina dei nuovi soci. Sul tavolo però finirà anche un nuovo confronto sulla lista di doglianze promossa dal gruppo di soci storici che appoggiano il presidente dell'assemblea, Furlanetto. E che ora chiedono la testa di Ragonesi.
L'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (Ansa)
L’ammiraglio Cavo Dragone, capo militare: «Dovremmo essere più aggressivi con Mosca, cyberattacchi per scongiurare imboscate». Ma l’Organizzazione ha scopi difensivi: questa sarebbe una forzatura. Con il rischio che dal conflitto ibrido si passi a quello coi missili.
«Attacco preventivo». L’avevamo già sentito ai tempi dell’Iraq e non andò benissimo. Eppure, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, ha riproposto uno dei capisaldi della dottrina Bush in un’intervista al Financial Times. Si riferiva alla possibilità di adottare una strategia «più aggressiva» con la Russia. Beninteso, l’ipotesi verteva su un’offensiva cyber: «Stiamo studiando tutto sul fronte informatico», ha spiegato il militare.
Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena (Ansa)
I magistrati sostengono che chi ha conquistato l’istituto si è messo d’accordo su cosa fare. Ma questo era sotto gli occhi di tutti, senza bisogno di intercettazioni. E se anche il governo avesse fatto il tifo, nulla cambierebbe: neanche un euro pubblico è stato speso.
Ma davvero qualcuno immaginava che il gruppo Caltagirone, quello fondato da Leonardo Del Vecchio e alla cui guida oggi c’è Francesco Milleri, uniti al Monte dei Paschi di Siena di cui è amministratore Luigi Lovaglio, non si fossero mossi di concerto per conquistare Mediobanca? Sì, certo, spiare dal buco della serratura, ovvero leggere i messaggi che i vertici di società quotate si sono scambiati nei mesi scorsi, è molto divertente. Anche perché come in qualsiasi conversazione privata ci sono giudizi tranchant, alcuni dei quali sono molto gustosi.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.






