2020-08-30
Nella corsa al vaccino contro il Covid-19 c’è un dilemma etico che non va ignorato
Il vescovo di Sydney: ci sono ricerche basate su linee cellulari originate da feti abortiti. Ma esistono alternative.Il nome in codice è HEK-293 e PER.C6, si tratta di due linee cellulari utilizzate in almeno quattro casi per la produzione di un vaccino anti Covid-19, come riportato da Science nel giugno scorso. Sono gruppi di cellule che funzionano da base per produrre enormi quantità di vaccino e che hanno origine in feti umani abortiti volontariamente da donne gravide. La prima linea cellulare è stata isolata da un aborto intorno al 1972, ed è ampiamente usata nella ricerca e nell'industria farmaceutica, la seconda è stata sviluppata da un feto di 18 settimane abortito nel 1985.Tra i vaccini in preparazione contro il Covid e che utilizzano una di queste linee cellulari c'è anche quello studiato a Oxford e prodotto dalla società Astrazeneca, il cui acquisto è stato inizialmente annunciato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, a giugno, salvo poi essere smentito nei giorni scorsi dalla Verità. Anche l'Australia è tra i governi che si sono rivolti ad Astrazeneca per avere il vaccino anti Covid-19 e perciò il vescovo di Sydney, monsignor Anthony Fisher, non l'ha mandata a dire parlando di «dilemma etico». Ha messo il dito nella piaga scrivendo al primo ministro Scott Morrison, chiedendo al governo di perseguire accordi simili per vaccini alternativi. «Attualmente», ha dichiarato Fisher sui social, «sono in fase di ricerca 167 vaccini, molti dei quali non utilizzano cellule fetali nel loro sviluppo. È nel migliore interesse della comunità che la vaccinazione sia ampiamente adottata e questa malattia mortale sconfitta, e questo sarà meglio ottenuto se i vaccini disponibili non creano un dilemma etico».Al di là del Covid-19 quella dell'utilizzo di linee cellulari da feti abortiti è una precisa realtà dell'industria farmaceutica e molti vescovi in giro per il mondo con l'emergenza Covid hanno riportato all'attenzione il dilemma etico che si rileva. Per restare in tema vaccini, ad esempio, per produrre quelli contro morbillo, parotite, rosolia e varicella o contro l'epatite A, si è partiti da feti abortiti. Contro malattie come l'artrite reumatoide e la fibrosi cistica i farmaci sono stati ottenuti sempre da linee cellulari di feti abortiti. Il dilemma, sollevato nel mondo pro life, è quello della liceità della cooperazione al male morale per ottenere un bene, in altri termini si tratta del machiavellico fine che giustifica i mezzi.In casa cattolica l'aborto è definito dal Concilio Vaticano II come «delitto abominevole», un male morale assoluto, tanto che la pontificia accademia per la vita nel 2005 scriveva a proposito dei vaccini ottenuti da feti abortiti che «ai fedeli e ai cittadini di retta coscienza (padri famiglia, medici, eccetera) spetta di opporsi, anche con l'obiezione di coscienza, ai sempre più diffusi attentati contro la vita e alla «cultura della morte che li sostiene». Una posizione che, pur sottolineando che la cooperazione al male dell'utilizzatore finale è da considerarsi «molto remota», tuttavia manteneva un giudizio che oggi sembra un po' attenuato dalla nuova nota emessa nel 2017 dalla Accademia per la vita a cui capo ora c'è monsignor Vincenzo Paglia. Secondo l'ultima nota, forse informata da una nouvelle vague teologico morale, data la distanza temporale dall'aborto originario delle linee cellulari utilizzate, queste «non implicano più quel legame di cooperazione morale indispensabile per una valutazione eticamente negativa del loro utilizzo».Tuttavia Roberto Colombo, docente della facoltà di medicina e chirurgia dell'università Cattolica, su Avvenire del 26 agosto, ha specificato che la liceità dell'utilizzo viene considerata «nella misura in cui essi rappresentino una condizione necessaria e proporzionata per tutelare la salute e salvare la vita dei cittadini». Di fronte a molti vaccini in fase di ricerca che non utilizzano linee cellulari da feti abortiti, come sottolineato dal vescovo di Sydney e da molti vescovi statunitensi, lascia spazio a una testimonianza di obiezione di coscienza per i cattolici. «È stato anche riferito», ha scritto il vescovo Fisher su Catholic weekly, «che se il vaccino (quello in studio a Oxford) viene adottato per l'uso in Australia, sarà il più vicino possibile all'obbligatorio». Per lo meno ci si può aspettare che sia probabile che ci sarà un'enorme pressione sociale e politica sulle persone affinché lo utilizzino». Ma questo creerà divisioni sociali, visto che alcuni potrebbero resistere in coscienza a questo utilizzo: «Ciò di cui le persone hanno bisogno in questo momento», ha concluso, «è una speranza che la vita possa tornare alla relativa normalità. Ma non lo vogliamo a prezzo della coscienza di tante brave persone e della creazione di nuove tensioni sociali. Esistono alternative eticamente incontaminate: perseguiamole».In epoca in cui si facilita l'aborto in tutti i modi, quasi «come bere un bicchier d'acqua», il punto sull'utilizzo dei feti nell'industria farmaceutica solleva molti dilemmi etici. E, in un certo senso, assume toni di attualità all'interno della Chiesa cattolica.«Non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell'aborto e dell'eutanasia», scriveva l'allora cardinale Joseph Ratzinger in una nota «riservata» trasmessa ai vescovi Usa nel 2004. Parole pesanti perché ribadiscono che vi è una precisa priorità tra i principi alla base dell'antropologia cattolica e cioè, scriveva in modo inequivocabile, «ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull'applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all'aborto e all'eutanasia».
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