2020-12-09
Nel Corno d’Africa che ribolle l’Italia può ancora contare qualcosa
La crisi etiope del Tigrai sposta gli equilibri in una regione chiave del Continente nero, sempre più infiltrato dall'espansione cinese. Roma ha ottimi canali diplomatici: deve usarli bene nei rapporti con le superpotenze. La situazione dell'Etiopia e del conflitto interno nel Tigrai, già tracimato con la fuga di migliaia di profughi in Sudan, è da settimane oggetto di riflessione da parte degli analisti di tutto il globo. Stato chiave nel Corno d'Africa, l'Etiopia non rischia solo di vedere compromessa la propria unità, ma anche di esportare instabilità in Sudan, Eritrea e Somalia. Il Corno d'Africa come i Balcani negli anni Novanta del secolo scorso, insomma. O forse molto, molto peggio. In ballo non vi sono solamente massicce ondate migratorie - l'Etiopia è il secondo Stato più popoloso dell'Africa - pronte a riversarsi nel Mediterraneo e sulle nostre sponde. La partita ha ripercussioni geopolitiche enormi. L'area in questione è una fondamentale cerniera tra Mediterraneo, Oceano Indiano e Mar della Cina, ed è un elemento indispensabile delle «catene di perle» della strategia marittima cinese. È proprio il Corno d'Africa «sinizzato» a far trasecolare gli strateghi occidentali. Solo il Corno d'Africa ha il potenziale per saldare lo spauracchio eurasiatico (Russia più Cina più Europa) con il continente africano. Il super continente afro-eurasiatico è quello che il grande stratega inglese Halford Mackinder chiamava «Isola-Mondo». Nello schema, l'Eurasia costituisce il cuore della Isola-Mondo intesa come la grande massa afro-eurasiatica. O, per dirla con il linguaggio mistico di Mackinder, «chi controlla l'Heartland (il «Cuore del mondo»), controlla l'Isola-Mondo (World Island), chi controlla l'Isola-Mondo, domina il mondo».Desta preoccupazione anche la mezzaluna sciita, la rotta terrestre che consente all'Iran - e dunque anche al suo partner cinese - di tuffarsi nel Mediterraneo, in un evidente tentativo di coordinarsi con la «strategia degli stretti» cinese che va da quello di Malacca a Suez. Ma nel Levante il presidio iraniano appare meno solido di qualche tempo fa, e non è escluso che la stessa Siria possa cambiare posizionamento. Il Grande Gioco è nel Corno d'Africa. In attesa di capire che piega prenderà il conflitto in Etiopia, le grandi e medie potenze hanno tutte immancabilmente iniziato a posizionare le proprie pedine nel Corno d'Africa. I turchi sono in Somalia, gli emiratini in Eritrea, i russi in Sudan. Gli americani stanno ancora meditando sul da farsi, oscillano tra la tentazione di un «alleggerimento» e la volontà di presidiare un ganglio geopolitico vitale. I cinesi, in compenso, sono ovunque. Sull'Etiopia hanno puntato da tempo, dell'Etiopia hanno sottoscritto metà del debito sovrano e costruito le principali infrastrutture. Al momento Pechino ha scelto di non prendere posizione nel conflitto che dilania il Paese, con l'etnia del Tigrai da una parte e il governo guidato da Abiy Ahmed Ali dall'altra. In passato i cinesi hanno avuto ottimi rapporti con il fronte del Tigrai, ma Pechino preferisce cooptare chiunque sia al potere. Non può permettersi, in ogni caso, di mollare la presa e sparire ancora una volta come la flotta cinese nel quindicesimo secolo. La concorrenza è ormai agguerrita, così come è formidabile l'accelerazione impressa da australiani, indiani e giapponesi al concetto strategico del Free and Open Indo-Pacific, risposta democratica e navale alle autoritarie Vie della Seta cinesi. Non mancano adesioni europee di primissimo livello, come quella tedesca. E l'Italia? Allungata com'è al centro del Mediterraneo, si trova costretta a osservare l'orizzonte di un Est vicino e un Ovest lontano. Un tempo non troppo lontano, Nord Africa, Balcani e Corno d'Africa erano considerate sfere di influenza di Roma. Oggi non resta che ragionare su ruoli di mediazione, per i quali l'Italia avrebbe le carte in regola. È amica dell'Egitto, in ottimi rapporti con la Turchia, di casa in Etiopia e Sudan. Ed italiana, non a caso, è la gigantesca Diga del Rinascimento (Gerd) sul Nilo Azzurro, la più grande del continente. Forse, una volta tanto, c'è spazio per l'Italia. E potrebbe fare bene.