2022-05-10
Se i nazi di Azov tornano «sporchi e cattivi»
Il reggimento con simpatie hitleriane vive un contrappasso. Ora che nell’acciaieria di Mariupol i civili sono salvi, i suoi servigi non servono più. Anzi, creano imbarazzo a Kiev. E ai miliziani non resta che attaccare: «Ci hanno abbandonati qui a morire».Amara è la sorte degli eroi. Combattono soli, e soli vanno incontro alla morte. Tutt’attorno, canzoni di lode e parole di ammirazione. Ma con la carta si fabbricano pistole che non sparano, e che non garantiscono la sopravvivenza sul campo. Spietata è la realtà, per chi la vive in prima linea, sotto il fuoco. Gli schermi occidentali fanno rimbalzare le immagini di Bono e The Edge - colonna sonora ufficiale del Pensiero Prevalente da tempi non sospetti - che portano le luci dei riflettori sotto la metropolitana di Kiev. Ma è nei sotterranei di Mariupol che altri rimangono sepolti, e rimandano all’Europa una versione dei fatti molto diversa. Lontana dalla propaganda, dolorosa. E in parte già scritta.Fin dall’inizio del conflitto, gli uomini del fu battaglione e ora reggimento Azov hanno occupato il centro della scena. I più, dalle nostre parti, hanno passato il tempo a dipingerli come combattenti per la libertà, partigiani, guerrieri coraggiosi pronti a morire non soltanto per la patria, ma per tutti noi europei imbelli, incapaci di difenderci da soli. C’era chi gettava fiori immaginari a questi soldati. Chi ne narrava le gesta come un aedo. Chi s’affannava a descriverli come boyscout. Soprattutto, la quasi totalità dei cronisti ha impiegato tempo ed energie ad allontanare dai soldati l’accusa di nazismo. Azov ha rappresentato il più spettacolare cortocircuito del pensiero per l’Occidente liberale. Da dove venissero questi giovani militari era noto a tutti, da anni. Erano evidenti i simboli che esibivano, erano palesi le loro idee. Ispirati dal socialismo nazionale, marchiati dalle rune e - qualcuno - dalla svastica, si battevano per la loro patria, per la bandiera, non certo per la liberaldemocrazia. Ma tutto questo era inaccettabile agli occhi dei propagandisti euroatlantici. Da queste parti, il Fascista è il Nemico Assoluto, il Mostro totale. Come giustificare una battaglia per «il nostro modo di vivere» (il globalismo, in buona sostanza) combattuta da nemici giurati di questa stessa visione del mondo? Così è cominciata una grottesca corsa alla negazione. Sono spariti e riapparsi vecchi articoli di giornale che descrivevano - alla solita maniera italica molto allarmata - l’ascesa dell’estrema destra in Ucraina. Chiunque, e per qualsiasi motivo, ricordasse la provenienza ideologica dei combattenti è stato accusato di filoputinismo impenitente. I soldati di Azov dovevano essere i nuovi partigiani, e così sono stati ottusamente presentati, guai a sostenere il contrario. Loro non si sono mai nascosti, e quando sono stati interpellati sulle loro simpatie politiche hanno ridimensionato, certo, ma senza mai negare, cancellare o rinnegare del tutto. I nostri intellettuali, giornalisti e opinionisti, nel frattempo, costruivano impalcature di menzogne e si convincevano con ostinazione che si trattasse della verità. Infine, i nodi hanno iniziato a venire al pettine. Azov, un tempo, era scomodo per Zelensky. I militanti del battaglione non amavano granché i politici filo occidentali e le loro promesse. Il presidente ucraino li ha inizialmente avversati, ne ha chiesto il disarmo. Poi, all’improvviso, si è reso conto di averne bisogno. Ha persino adottato convintamente un loro slogan: gloria all’Ucraina! Li ha spediti in prima linea affinché continuassero il lavoro iniziato anni fa nel Donbass, li ha celebrati appunto come eroi. I cantori di regime hanno proseguito l’opera, componendo versi umidicci sui valorosi asserragliati nella acciaieria Azovstal assieme a decine di civili (forse «scudi umani volontari»). Adesso però l’evacuazione dei civili è stata finalmente organizzata e concretizzata. E i soldati del reggimento sono tornati a essere ciò che erano prima: un fastidio. Una corrente contraria d’imbarazzo nel mare della propaganda. A farlo notare non è certo qualche pericoloso giornalista russo al soldo dello Zar, ma addirittura Ylia Samoilenko, capo dell’intelligence di Azov. Ha rilasciato alcune dichiarazioni ruvide alla stampa occidentale, riportate ieri dalla Stampa. Frasi dure, che smontano tante narrazioni pelose. «Il nostro governo ha fallito la difesa di Mariupol, non ha garantito prima di tutto la sicurezza via mare. La gente ci chiama eroi viventi. Molte persone hanno rinunciato alla loro vita per la città, per il Paese, per il popolo dell’Ucraina. Sapete, potremmo facilmente ritirarci da Mariupol. Molti mesi fa, quando abbiamo visto la situazione diventare critica, abbiamo deciso di stare. Abbiamo anche avuto l’ordine di difendere Mariupol. Il problema è che molte delle autorità ufficiali hanno sabotato la difesa dell’Ucraina negli ultimi due anni. La guerra è iniziata otto anni fa e non il 24 febbraio. Il governo ci ha lasciati soli, ci sentiamo abbandonati», dice Samoilenko. Ed è interessante che sia proprio lui a retrodatare l’inizio delle ostilità. Non nega il «passato oscuro», ma spiega che lui e i suoi commilitoni hanno nel tempo acquisito «professionalità». Fornisce anche qualche cifra, giusto per chiarire: «L’unica cosa per cui siamo radicali è la difesa della nostra terra. Abbiamo ucciso quasi 2.500 soldati nemici, feriti più di 5.000, il 15% delle perdite nemiche in tutto il Paese». Non vuole arrendersi, Azov. Attacca i politici «che hanno delle carriere» e che «stanno cercando di negoziare con questi animali, barbari, dimenticando cos’hanno fatto all’Ucraina». Punge il governo che non fornisce adeguato supporto. E ne ha pure per gli europei ipocriti: «Riceviamo sostegno, ma a parole, anche dai giornalisti internazionali». Non che ci sia da prendere tutto per oro colato. Di armi dall’Occidente ne sono arrivate, di addestratori pure. Ma ciò non rende meno impressionante il disvelamento. Quali fossero gli scopi di Azov era risaputo. Che i suoi uomini fossero disposti a morire e non volessero cedere un millimetro era più che chiaro. Che il battaglione-reggimento fosse in guerra dal 2014/2015 era evidente. E che tutta la retorica sui partigiani fosse ridicola era cristallino. Dal profondo della terra, Azov ora grida la sua verità, e stona con la fanfara degli italici guerrafondai per interposta persona. Amaro il destino degli eroi. Traditi, pugnalati alle spalle, sfruttati. E magari, un giorno, una brutta statua ne ricorderà le gesta, opportunamente ripulite.