2024-06-14
La Nato rompe un altro tabù: «Dare soldi e armi a Kiev deve diventare obbligatorio»
Jens Stoltenberg esige «impegni» su addestramenti e forniture belliche, con stanziamenti da 40 miliardi l’anno per l’Ucraina. La linea è chiara: il conflitto deve durare a lungo.In Israele si infiamma la frontiera col Libano: sulla Galilea il lancio più massiccio dal 7 ottobre. Intanto le trattative sono ferme al palo. Gli Usa: «Il mondo intero prema su Hamas».Lo speciale contiene due articoli.È come se non fosse successo niente. È come se, alle Europee, i cittadini non avessero randellato i leader politici e i partiti che stanno trascinando un continente in guerra. Con buona pace - ah, la pace! - del verdetto delle urne, alla ministeriale Nato di Bruxelles, il segretario generale dell’Alleanza, anziché il «lascia», ha scelto il «raddoppia»: gli aiuti economici e le forniture militari all’Ucraina non dovranno più essere erogati su base volontaria, bensì sotto forma di «impegni di lungo termine» dell’Organizzazione nordatlantica. Sarebbe un altro passo verso l’escalation. Finora, per evitare un coinvolgimento diretto, la Nato aveva evitato di mettere il cappello sulle consegne di armi a Kiev. Jens Stoltenberg, però, è stato chiaro: «Abbiamo visto che gli Stati Uniti hanno impiegato sei mesi a mettersi d’accordo su un ulteriore pacchetto per l’Ucraina. Abbiamo visto anche che alcune delle (forniture, ndr) promesse dagli alleati europei non sono state consegnate. E se trasformiamo questo in contributi non volontari, bensì impegni Nato, di sicuro [l’aiuto, ndr] diventerà più solido, diventerà più affidabile».Che tipo di «impegno» abbia in mente il norvegese, lo ha spiegato ieri. L’idea è che, oltre alle armi, alle contraeree, all’«assistenza per la sicurezza» e all’addestramento per le truppe, cui parteciperebbe la struttura di comando dell’Alleanza, si debba garantire a Kiev un supporto economico da 40 miliardi l’anno. Cifra che, secondo Stoltenberg, è in linea con il livello di finanziamento sostenuto dal 2022 e che verrebbe corrisposta in base al Pil dei singoli membri. «L’Ucraina ha bisogno di pianificazione», ha insistito il funzionario. «I nostri ritardi hanno avuto delle conseguenze e non dobbiamo permettere che ciò accada di nuovo».Le riunioni proseguiranno oggi, la decisione finale arriverà al summit di Washington a luglio. Ma vista la distensione concordata con l’Ungheria di Viktor Orbán, che si terrà fuori dall’iniziativa e in cambio non porrà alcun veto, l’orientamento ormai è cristallino: la Nato lavora affinché la guerra si protragga, benché il segretario affermi che impegni di lungo periodo, scoraggiando Vladimir Putin, facilitino una tregua. La prospettiva di un allargamento del conflitto sembra non spaventare più.Mentre la Germania ha dichiarato che non potrà inviare altri sistemi Patriot, hanno allarmato le parole di Soltenberg sulla deterrenza, sul rinnovamento degli arsenali nucleari e sulla capacità degli F-35 olandesi di lanciare testate atomiche. Ma a far saltare la prossima linea rossa potrebbero essere altri velivoli: gli F-16, per i quali stiamo istruendo i piloti ucraini e che entro qualche mese dovrebbero entrare in servizio, purché il Paese superi l’estate «difficile» che intravede l’Alleanza. Il nemico, difatti, aumenterà la pressione sul campo e intensificherà la campagna ibrida per creare una «narrazione sfavorevole» alla Nato.Stando all’aeronautica di Kiev, i caccia saranno di stanza nelle basi delle nazioni confinanti. Dove - se ci atteniamo alla versione ufficiale - riceveranno manutenzione e rifornimenti, data l’inadeguatezza della maggioranza delle infrastrutture ucraine, costruite seguendo gli standard sovietici e con piste troppo corte per i nostri jet. In realtà, l’intenzione sarebbe di utilizzarli come hub di partenza delle missioni, scommettendo che Mosca non abbia il coraggio di bombardare gli aeroporti militari di un membro Nato. Gli aerei decollerebbero dalla Polonia o dalla Romania; farebbero scalo a Lutsky, Ozernoye, oppure in Transcarpazia; e poi si rialzerebbero in volo per compiere raid su obiettivi nemici. Si limiteranno a presidiare i cieli ucraini, o compiranno incursioni nella Federazione? La risposta che ha dato ieri Stoltenberg è inquietante. «I diversi alleati hanno diversi tipi di restrizioni sull’uso delle loro armi. Ma sono lieto che abbiano ridotto o eliminato le loro restrizioni sull’uso delle armi anche contro obiettivi militari dentro la Russia […]. Non entrerò nei dettagli operativi, ma voglio dire che l’Ucraina ha il diritto di colpire obiettivi militari sul territorio russo, è parte del diritto all’autodifesa e noi abbiamo il diritto di supportarli nell’autodifesa».Cosa accadrebbe se Putin interpretasse in modo speculare l’offensiva degli F-16 a partire dalle basi Nato? Aveva già formulato la sua minaccia a marzo. Pochi giorni fa, si è espresso il capo del Comitato di difesa della Duma, il generale Andrey Kartapolov: Mosca tollererebbe l’uso degli aeroporti polacchi, rumeni o bulgari a scopo di deposito e riparazioni. Se, invece, gli F-16 decollassero da quelle piste, «entrassero nello spazio aereo dell’Ucraina, lanciassero missili e poi tornassero lì», anche le basi occidentali diventerebbero un «obiettivo legittimo».Si capisce come mai il viceministro degli Esteri russo, Alexander Grushko, abbia detto che l’Alleanza atlantica si sta preparando «per un possibile scontro militare» con la Federazione. In ballo non c’è solo il potenziale dispiegamento ai confini Est di ordigni nucleari; piuttosto, la superiorità aerea sul teatro dei combattimenti. Un aspetto cruciale, che metterebbe pure lo zar dinanzi a un’alternativa drammatica: lascia o raddoppia?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nato-soldi-armi-kiev-obbligatorio-2668522121.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="hezbollah-bersaglia-israele-coi-razzi" data-post-id="2668522121" data-published-at="1718321989" data-use-pagination="False"> Hezbollah bersaglia Israele coi razzi Mentre si continua a discutere di trattative e piani per raggiungere una tregua sempre più lontana, a Gaza non cessano i combattimenti e nel Nord di Israele continuano a piovere razzi. Il fronte più caldo in queste ultime ore, infatti, è proprio quello al confine tra lo Stato ebraico e il Libano, dove i miliziani di Hezbollah hanno intensificato i loro attacchi sparando in due giorni ben 215 missili verso la Galilea e le alture del Golan. Si tratta di una vendetta promessa dal Partito di Dio in seguito all’uccisione del comandante dell’unità Nasr Sami Taleb Abdullah, rivendicata dall’Idf lo scorso mercoledì dopo un raid condotto dall’aeronautica nel Sud del Libano. La maggior parte dei razzi - è il lancio più consistente e massiccio registrato dal 7 ottobre 2023 - è stata intercettata dal sistema di difesa aereo israeliano Iron Dome, mentre alcuni hanno causato incendi e ferito in maniera non grave due persone nei pressi di Katzrin. Esercito israeliano e gruppo terroristico libanese continuano a promettersele, con Hezbollah che minaccia di voler aumentare gli attacchi e il portavoce del governo israeliano, David Mencer, che annuncia la volontà di rispondere alla pioggia di missili «attraverso sforzi diplomatici o meno» per ripristinare la sicurezza sul confine settentrionale. Una tensione che ha innalzato il livello di preoccupazione in tutta la regione, al punto che la Casa Bianca ha reso noto di essere al lavoro per scongiurare una pericolosa escalation che possa trascinare Israele verso una guerra molto più ampia di quella che sta affrontando ora. Anche in Iraq si teme un allargamento del conflitto che possa avere gravi ripercussioni in tutta l’area, con il ministro degli Esteri di Baghdad, Fuad Hussein, che ha ribadito la necessità di raggiungere il prima possibile un cessate il fuoco permanente nella Striscia di Gaza. Trattative per il cessate il fuoco che però rimangono ferme a causa della presenza di ancora molti nodi da sciogliere. Tra questi alcune condizioni poste da Hamas, definite da Antony Blinken «difficili da accettare». Il segretario di Stato americano ha lasciato ieri il Medio Oriente dicendo che Stati Uniti, Egitto e Qatar continueranno a lavorare per raggiungere un accordo di cessate il fuoco, spiegando che «più a lungo dura questa guerra, più persone soffriranno e che è ora di fermare le contrattazioni». Tuttavia, da Hamas fanno sapere che le modifiche richieste alla proposta di tregua, tra cui il ritiro completo delle forze israeliane dalla Striscia e 100 prigionieri palestinesi con lunghe condanne da rilasciare, non sono significative al punto da meritare obiezioni. Da Borgo Egnazia in Puglia, dove è in corso il G7, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan ha ribadito che tutto il mondo dovrebbe esercitare pressione su Hamas affinché accetti la proposta israeliana di una tregua di 8 mesi. Una dichiarazione rispedita al mittente dal gruppo terroristico che governa la Striscia di Gaza dal 2006, visto che attraverso una nota diffusa dai media proprio Hamas chiede al governo di Joe Biden di «esercitare pressioni su Israele affinché accetti un accordo che porti a un cessate il fuoco permanente». In Puglia si è discusso però anche di come fermare l’offensiva israeliana a Rafah: «Siamo preoccupati per le conseguenze sulla popolazione civile delle operazioni di terra e per la possibilità di un’offensiva militare su vasta scala che avrebbe ulteriori conseguenze disastrose sui civili», si legge in una bozza di un comunicato che dovrà essere approvato dai capi di stato e di governo. «Chiediamo al governo di Israele di astenersi da tale offensiva, ai sensi del diritto internazionale».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)