True
2021-12-06
Un altro giro di apartheid manda il turismo a picco
Ansa
Aumento dei contagi oltre confine, Paesi che chiudono le frontiere ai voli, super green pass; per il turismo sarà un altro Natale da dimenticare. Dopo la debole ripresa dell’estate scorsa in cui agli operatori era sembrato di vedere la fine del tunnel, ora è tornato l’incubo delle chiusure con la quotidiana minaccia di un’Italia divisa in zone colorate. È evidente che in queste condizioni anche i più temerari, prima di prenotare un viaggio o un semplice soggiorno a pochi chilometri di distanza, ci pensano due volte. A parte alcune località sempre gettonate come Cortina, dove camere in alberghi a tre stelle vengono vendute a 1.000 euro, o Dubai (uno dei corridoi turistici Covid free), che i tour operator si contendono e dove è impossibile trovare per dormire anche una tenda nel deserto, il resto piange.
Le località sciistiche devono fare i conti con una comunicazione governativa poco chiara che ha fatto proliferare interpretazioni diverse sull’uso del super green pass sugli impianti di risalita. Così i maestri di sci come insegnanti usano il certificato normale ma come utenti degli impianti devono essere provvisti della versione super. In Alto Adige le prenotazioni si sono bloccate dopo che una ventina di Comuni sono finiti in lockdown e l’intera provincia autonoma da oggi in giallo. In Veneto, come riferisce il presidente regionale di Federalberghi, Massimiliano Schiavon, mentre il tasso di occupazione medio delle strutture dal 26 dicembre al 2 gennaio è del 68%, sono bloccate le prenotazioni per il periodo successivo: «Ciò che ci preoccupa maggiormente è che al momento il riempimento degli alberghi dal 10 gennaio al 14 febbraio è solo del 26% e successivamente, fino all’8 marzo, è del 31%». Confesercenti Venezia prevede un calo addirittura dell’80% per musei, strutture ricettive, guide turistiche, attività commerciali e ristorazione. Piange Roma dove il 50% degli alberghi è chiuso. Il direttore di Federalberghi Roma, Tommaso Tanzilli, dice che il 20% delle camere prenotate è stato disdetto. E il trend è in peggioramento con altre cancellazioni in arrivo e i turisti che chiamano chiedendo chiarimenti. Le grandi piattaforme come Booking, Trivago, Expedia offrono camere a prezzi stracciati.
coprire i costi
Nella capitale un albergo quattro stelle sull’Aventino, per due notti, chiede sui 300 euro. Ormai nessuna struttura pretende l’anticipo. La formula più ricorrente è che non si paga nulla fino all’arrivo e si può disdire all’ultimo minuto senza alcuna penale. L’obiettivo per tanti alberghi è di riuscire a coprire almeno i costi con la speranza che la situazione possa volgere al meglio nel giro di un paio di settimane e si riempia qualche camera in più. Per gli alberghi rimasti chiusi e quelli con riempimenti fino al 30%, c’è la spada di Damocle della fine della cassa integrazione per i dipendenti, prevista per dicembre. Gennaio è un salto nel buio e tanti saranno costretti a licenziare. A Roma sono circa 100.000 gli addetti al settore dell’ospitalità. Gli alberghi subiscono la concorrenza dei b&b e delle case vacanza, dove l’obbligo del green pass è rimasto nel limbo ed è più facile sfuggire ai controlli. Per chi non vuole avere il nuovo certificato verde è la soluzione ideale.
Assoutenti ha ricevuto numerose segnalazioni di utenti che avevano prenotato le vacanze in Austria, Olanda o Slovacchia e che dopo il peggioramento della situazione pandemica non possono più usufruire dei biglietti aerei e dei soggiorni, perdendo quanto pagato a causa del rifiuto di compagnie aeree e strutture ricettive di rimborsare quanto pagato. Manca infatti una normativa adeguata, come sottolinea Assoutenti, per regolare i rimborsi in questa situazione di emergenza in cui migliaia di italiani stanno annullando le partenze.
Un’indagine di Confturismo-Confcommercio, in collaborazione con Swg, condotta tra il 15 e il 19 novembre, dà la misura della situazione buia del turismo. Appena un mese fa le partenze degli italiani per le festività di fine anno erano stimate in 35 milioni: 10 milioni per il ponte dell’Immacolata, 12 milioni per Natale e 13 milioni per Capodanno. Al 19 novembre le disdette erano già a quota 2,5 milioni. Ci sono poi 8,5 milioni di italiani che dichiarano di avere cambiato meta scegliendone una più vicina, o hanno ridotto i giorni di vacanza, che peraltro erano in media ampiamente al di sotto dello stesso periodo del 2019. A indurre un cambio di programma, secondo il report, sarebbero state le notizie sulla diffusione dei contagi.
C’è comunque uno «zoccolo duro» del 35,5% (oltre 12 milioni) costituito da coloro che non cambiano idea per nessuno dei periodi programmati e dichiarano che partiranno. Va però specificato che, nella metà dei casi, si tratta di persone che trascorreranno le vacanze presso familiari o amici, e con un impatto di spesa in servizi turistici veri e propri ridotto rispetto alla media.
effetto freezer
Dati sul trend a ridosso del varo del super green pass non ve ne sono ancora, ma da quanto dicono gli operatori ci sarebbe stato un ulteriore «effetto freezer» sulla stagione. Molti si spostano in auto propria ed erano abituati ad entrare in albergo senza il filtro del certificato. Ora chi si muove in famiglia e non vuole far fare il tampone ai figli, o raggiunge parenti e amici o sceglie le case vacanza. Il turismo straniero che in condizioni di normalità rappresenta oltre la metà del flusso sarà quasi assente. Austria, Germania e Svizzera tedesca sono sempre state capofila, ma ora sono alle prese con l’esplosione dei contagi interni. A questo va aggiunto il crollo dei movimenti intercontinentali, con voli ridotti all’osso e costosissimi. Mancano americani e giapponesi. In allarme le compagnie aeree. Il ceo di Ryanair, Michael O’Leary, si aspetta un periodo difficile per Natale. La fiducia dei viaggiatori, secondo il manager, è compromessa nel periodo dell’anno in cui di solito iniziano le prenotazioni per la stagione estiva. Le preoccupazioni per la quarta o quinta ondata del Covid hanno fatto precipitare una situazione che, dice O’Leary, si stava riprendendo. Sparito l’ottimismo nato il mese scorso dopo la riapertura dei voli intercontinentali, ora un’ombra scura si proietta sulla prossima estate.
«Da due anni a Roma chiuso un hotel su tre. Rischiano il posto migliaia di persone»
«Questa estate si intravedeva la luce in fondo al tunnel, ora l’hanno spenta. Quando si paventa che il virus è in agguato e si lanciano messaggi di pessimismo prospettando chiusure e nuove restrizioni, le persone si spaventano con conseguenze disastrose sul turismo. Il green pass rafforzato di sicuro non aiuta». Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma, sciorina i numeri del dramma del settore alberghiero nella capitale.
Che cosa dicono le cifre?
«La situazione è sempre più preoccupante. Su 1.250 strutture presenti a Roma, 380 sono ancora chiuse da marzo 2020: ormai sono due anni. Di queste, circa il 50% potrebbe non riaprire o essere destinato alla vendita. Alcuni albergatori pensano di riavviare l’attività tra marzo e aprile del prossimo anno, ma altri sono propensi ad abbandonare tutto».
Quanto sta incidendo il super green pass sulle prenotazioni natalizie?
«Questa operazione mica l’ho capita. Sia chiaro, per gli albergatori controllare il certificato non è un problema, ma è un ulteriore filtro. Per un anno e mezzo non è stato necessario nessun lasciapassare per accedere negli hotel, eppure c’erano 1.000 morti al giorno e 50.000 contagi. Con tutto questo, non si è registrato nessun focolaio negli alberghi».
E oggi?
«Adesso che la situazione è molto migliorata, ecco l’obbligo del certificato. È evidente che la decisione è stata dettata non dalla situazione sanitaria, ma dalla volontà di aumentare il numero dei vaccinati e spingere verso la terza dose. Però questa cosa andrebbe spiegata ai turisti che non capiscono ciò che sta succedendo».
In che senso?
«Fino a una settimana fa potevano accedere negli alberghi senza limitazioni, ora tutto è cambiato a fronte di un calo dei contagi».
Ma il green pass era già richiesto a chi viaggia in aereo e in treno o sui pullman a lunga percorrenza. Che cosa cambia?
«Cambia per chi viaggia in auto e proviene dai Paesi limitrofi come Austria, Germania, Francia e Spagna. Così si favoriscono le case vacanza e i bed & breakfast dei privati che non richiedono il green pass. Si accentua la concorrenza sleale di queste strutture, molte delle quali operano in modo fiscalmente irregolare».
Quante disdette sono arrivate finora?
«Difficile dare un numero o una percentuale. Di sicuro le prenotazioni si sono bloccate. Sono aumentate le richieste last minute. E per last minute intendo anche il giorno prima. Per gli alberghi è davvero un problema. Non si possono fare programmi, impossibile pianificare una stagione, si naviga a vista».
In varie zone d’Italia molti piccoli albergatori hanno deciso di cedere l’attività. Succede anche a Roma?
«So che gruppi stranieri stanno approfittando di prezzi di acquisto vantaggiosi. I ribassi superano il 30% rispetto al mercato del 2019».
Se ci sono compravendite significa che comunque qualcuno scommette sulla ripresa del turismo anche a breve.
«Sono grandi catene internazionali e fondi stranieri che possono investire con una logica di medio-lungo termine. E mentre imperversa la crisi, fanno i lavori di ristrutturazione. Il turismo riprenderà, ne siamo tutti convinti, ma bisogna vedere quando. Chi si era affacciato nel settore alberghiero tra il 2010 e il 2020, il periodo d’oro del mercato in cui era più facile aprire una struttura ricettiva, ora si trova spiazzato da questo crollo e se non ha le spalle forti rischia di fallire. Non bisogna poi dimenticare che a fine anno termina la cassa integrazione».
In prospettiva quindi ci sono chiusure?
«In prospettiva ci sono i licenziamenti oltre alla definitiva chiusura delle strutture in crisi. Senza un prolungamento della cassa integrazione, gli alberghi ora chiusi saranno costretti a licenziare. Un migliaio di posti sono a rischio».
«Nelle agenzie siamo allo stremo schiacciati anche dai colossi Web»
«Siamo ripiombati nel tunnel. Il settore è paralizzato. Contiamo solo le disdette. Ogni giorno c’è una nuova destinazione che chiude e l’incertezza aumenta. Ma le agenzie di viaggio non ne possono più, sono allo stremo e a fine anno terminerà la cassa integrazione. Oltre 40.000 posti sono a rischio. La crisi è aggravata dalla concorrenza delle piattaforme di prenotazione online, che continuano a fare affari e non devono sottostare ai nostri obblighi fiscali». Ivana Jelinic, presidente della Fiavet (Federazione delle imprese di viaggi), è un fiume in piena: «Senza un intervento dello Stato le 10.000 imprese del settore rischiano di essere falcidiate». Le agenzie turistiche avevano appena riacceso i motori, dopo un’estate di lieve ripresa degli spostamenti e ora sono ripiombate nella crisi nera. «Ci sono stati proclami trionfalistici sull’andamento della scorsa stagione ma non è sufficiente che la macchina giri per due mesi per dire che è tutto a posto. Equivale a curare un malato terminale con la tachipirina».
Quali sono le previsioni per questo inverno?
«La stagione è compromessa. L’attività turistica è paralizzata, le persone hanno paura di spostarsi. Nelle ultime due settimane le agenzie hanno ricevuto disdette del 70% delle prenotazioni. I corridoi turistici Covid free sono partiti con il contagocce, i flussi sono molto contenuti. A fine dicembre termina la cassa integrazione. Il prolungamento è necessario per evitare il tracollo di tante imprese che hanno preso commesse dagli alberghi, hanno investito e ora devono far fronte alle disdette. In estate chi ha lavorato bene ha recuperato solo il 30%. Ancora oggi tante aziende lamentano cali del 70% rispetto al pre Covid. I viaggi all’estero sono crollati dell’80%. Gli italiani che hanno scelto di passere il Natale oltre confine sono meno del 13% rispetto a un periodo normale».
Ma il turismo italiano la scorsa estate è stato intenso e anche questo inverno potrebbe fare il bis. Non compensa la mancanza degli stranieri?
«È una visione del settore sbagliata. Un americano in visita in Italia soggiorna per almeno due settimane e spende 4 volte un italiano che si sposta per sette giorni. Oltre la metà delle presenze è di stranieri. La verità è che c’è stato il boom delle case vacanza, affittate in nero a prezzi da capogiro. Se non riprendono provvedimenti c’è il pericolo che le nostre aziende di viaggi siano sostituite dai grandi gruppi internazionali. C’è già lo strapotere delle agenzie online».
Si riferisce a Booking?
«Sì e non solo Booking. Sono piattaforme che esercitano in Italia ma senza gli oneri a cui sono sottoposte le aziende che operano in Italia. Se ne discute da anni ma non è stata applicata nemmeno una minima tassa. Il fenomeno delle prenotazioni su tali piattaforme si è amplificato con in Covid. Anche il semplice sul territorio nazionale è scelto su Internet. Bene l’uso della tecnologia ma il problema è la parte fiscale. Le piattaforme usufruiscono di fiscalità più vantaggiose e possono applicare prezzi più bassi».
Quante agenzie di viaggio hanno chiuso e quante rischiano di smettere l’attività?
«In due anni è scomparso il 20% delle aziende e ora con il disastro invernale un altro 10% rischia. Avete mai visto proclami di aiuto da parte di Booking?».
Non sarà che sulle piattaforme di prenotazione si trovano soluzioni a buon mercato?
«È un’illusione. Spesso sono prezzi civetta che attirano l’utente. Poi però vengono inseriti una serie di servizi e il costo del viaggio lievita. Inoltre prima appare il prezzo più basso che però sale appena le richieste aumentano. Le strategie di marketing sul Web sono sofisticate. I vantaggi sono apparenti».
Continua a leggereRiduci
Macché strumento di libertà per non chiudere. Le restrizioni per milioni di italiani non sono solo inutili ma già devastanti sul piano economico. Agenzie di viaggi, città d’arte e settore neve sono in ginocchio per le disdetteIl presidente degli albergatori Giuseppe Roscioli: «I viaggiatori sono disorientati. Senza cassa integrazione ci saranno moltissimi licenziamenti»La numero uno Fiavet Ivana Jelinic: «Non basta una ripresa di due mesi per dire che tutto è a posto»Lo speciale contiene tre articoliAumento dei contagi oltre confine, Paesi che chiudono le frontiere ai voli, super green pass; per il turismo sarà un altro Natale da dimenticare. Dopo la debole ripresa dell’estate scorsa in cui agli operatori era sembrato di vedere la fine del tunnel, ora è tornato l’incubo delle chiusure con la quotidiana minaccia di un’Italia divisa in zone colorate. È evidente che in queste condizioni anche i più temerari, prima di prenotare un viaggio o un semplice soggiorno a pochi chilometri di distanza, ci pensano due volte. A parte alcune località sempre gettonate come Cortina, dove camere in alberghi a tre stelle vengono vendute a 1.000 euro, o Dubai (uno dei corridoi turistici Covid free), che i tour operator si contendono e dove è impossibile trovare per dormire anche una tenda nel deserto, il resto piange. Le località sciistiche devono fare i conti con una comunicazione governativa poco chiara che ha fatto proliferare interpretazioni diverse sull’uso del super green pass sugli impianti di risalita. Così i maestri di sci come insegnanti usano il certificato normale ma come utenti degli impianti devono essere provvisti della versione super. In Alto Adige le prenotazioni si sono bloccate dopo che una ventina di Comuni sono finiti in lockdown e l’intera provincia autonoma da oggi in giallo. In Veneto, come riferisce il presidente regionale di Federalberghi, Massimiliano Schiavon, mentre il tasso di occupazione medio delle strutture dal 26 dicembre al 2 gennaio è del 68%, sono bloccate le prenotazioni per il periodo successivo: «Ciò che ci preoccupa maggiormente è che al momento il riempimento degli alberghi dal 10 gennaio al 14 febbraio è solo del 26% e successivamente, fino all’8 marzo, è del 31%». Confesercenti Venezia prevede un calo addirittura dell’80% per musei, strutture ricettive, guide turistiche, attività commerciali e ristorazione. Piange Roma dove il 50% degli alberghi è chiuso. Il direttore di Federalberghi Roma, Tommaso Tanzilli, dice che il 20% delle camere prenotate è stato disdetto. E il trend è in peggioramento con altre cancellazioni in arrivo e i turisti che chiamano chiedendo chiarimenti. Le grandi piattaforme come Booking, Trivago, Expedia offrono camere a prezzi stracciati. coprire i costiNella capitale un albergo quattro stelle sull’Aventino, per due notti, chiede sui 300 euro. Ormai nessuna struttura pretende l’anticipo. La formula più ricorrente è che non si paga nulla fino all’arrivo e si può disdire all’ultimo minuto senza alcuna penale. L’obiettivo per tanti alberghi è di riuscire a coprire almeno i costi con la speranza che la situazione possa volgere al meglio nel giro di un paio di settimane e si riempia qualche camera in più. Per gli alberghi rimasti chiusi e quelli con riempimenti fino al 30%, c’è la spada di Damocle della fine della cassa integrazione per i dipendenti, prevista per dicembre. Gennaio è un salto nel buio e tanti saranno costretti a licenziare. A Roma sono circa 100.000 gli addetti al settore dell’ospitalità. Gli alberghi subiscono la concorrenza dei b&b e delle case vacanza, dove l’obbligo del green pass è rimasto nel limbo ed è più facile sfuggire ai controlli. Per chi non vuole avere il nuovo certificato verde è la soluzione ideale. Assoutenti ha ricevuto numerose segnalazioni di utenti che avevano prenotato le vacanze in Austria, Olanda o Slovacchia e che dopo il peggioramento della situazione pandemica non possono più usufruire dei biglietti aerei e dei soggiorni, perdendo quanto pagato a causa del rifiuto di compagnie aeree e strutture ricettive di rimborsare quanto pagato. Manca infatti una normativa adeguata, come sottolinea Assoutenti, per regolare i rimborsi in questa situazione di emergenza in cui migliaia di italiani stanno annullando le partenze. Un’indagine di Confturismo-Confcommercio, in collaborazione con Swg, condotta tra il 15 e il 19 novembre, dà la misura della situazione buia del turismo. Appena un mese fa le partenze degli italiani per le festività di fine anno erano stimate in 35 milioni: 10 milioni per il ponte dell’Immacolata, 12 milioni per Natale e 13 milioni per Capodanno. Al 19 novembre le disdette erano già a quota 2,5 milioni. Ci sono poi 8,5 milioni di italiani che dichiarano di avere cambiato meta scegliendone una più vicina, o hanno ridotto i giorni di vacanza, che peraltro erano in media ampiamente al di sotto dello stesso periodo del 2019. A indurre un cambio di programma, secondo il report, sarebbero state le notizie sulla diffusione dei contagi.C’è comunque uno «zoccolo duro» del 35,5% (oltre 12 milioni) costituito da coloro che non cambiano idea per nessuno dei periodi programmati e dichiarano che partiranno. Va però specificato che, nella metà dei casi, si tratta di persone che trascorreranno le vacanze presso familiari o amici, e con un impatto di spesa in servizi turistici veri e propri ridotto rispetto alla media.effetto freezerDati sul trend a ridosso del varo del super green pass non ve ne sono ancora, ma da quanto dicono gli operatori ci sarebbe stato un ulteriore «effetto freezer» sulla stagione. Molti si spostano in auto propria ed erano abituati ad entrare in albergo senza il filtro del certificato. Ora chi si muove in famiglia e non vuole far fare il tampone ai figli, o raggiunge parenti e amici o sceglie le case vacanza. Il turismo straniero che in condizioni di normalità rappresenta oltre la metà del flusso sarà quasi assente. Austria, Germania e Svizzera tedesca sono sempre state capofila, ma ora sono alle prese con l’esplosione dei contagi interni. A questo va aggiunto il crollo dei movimenti intercontinentali, con voli ridotti all’osso e costosissimi. Mancano americani e giapponesi. In allarme le compagnie aeree. Il ceo di Ryanair, Michael O’Leary, si aspetta un periodo difficile per Natale. La fiducia dei viaggiatori, secondo il manager, è compromessa nel periodo dell’anno in cui di solito iniziano le prenotazioni per la stagione estiva. Le preoccupazioni per la quarta o quinta ondata del Covid hanno fatto precipitare una situazione che, dice O’Leary, si stava riprendendo. Sparito l’ottimismo nato il mese scorso dopo la riapertura dei voli intercontinentali, ora un’ombra scura si proietta sulla prossima estate.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/natale-in-bianco-2655923877.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-due-anni-a-roma-chiuso-un-hotel-su-tre-rischiano-il-posto-migliaia-di-persone" data-post-id="2655923877" data-published-at="1638729670" data-use-pagination="False"> «Da due anni a Roma chiuso un hotel su tre. Rischiano il posto migliaia di persone» «Questa estate si intravedeva la luce in fondo al tunnel, ora l’hanno spenta. Quando si paventa che il virus è in agguato e si lanciano messaggi di pessimismo prospettando chiusure e nuove restrizioni, le persone si spaventano con conseguenze disastrose sul turismo. Il green pass rafforzato di sicuro non aiuta». Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma, sciorina i numeri del dramma del settore alberghiero nella capitale. Che cosa dicono le cifre? «La situazione è sempre più preoccupante. Su 1.250 strutture presenti a Roma, 380 sono ancora chiuse da marzo 2020: ormai sono due anni. Di queste, circa il 50% potrebbe non riaprire o essere destinato alla vendita. Alcuni albergatori pensano di riavviare l’attività tra marzo e aprile del prossimo anno, ma altri sono propensi ad abbandonare tutto». Quanto sta incidendo il super green pass sulle prenotazioni natalizie? «Questa operazione mica l’ho capita. Sia chiaro, per gli albergatori controllare il certificato non è un problema, ma è un ulteriore filtro. Per un anno e mezzo non è stato necessario nessun lasciapassare per accedere negli hotel, eppure c’erano 1.000 morti al giorno e 50.000 contagi. Con tutto questo, non si è registrato nessun focolaio negli alberghi». E oggi? «Adesso che la situazione è molto migliorata, ecco l’obbligo del certificato. È evidente che la decisione è stata dettata non dalla situazione sanitaria, ma dalla volontà di aumentare il numero dei vaccinati e spingere verso la terza dose. Però questa cosa andrebbe spiegata ai turisti che non capiscono ciò che sta succedendo». In che senso? «Fino a una settimana fa potevano accedere negli alberghi senza limitazioni, ora tutto è cambiato a fronte di un calo dei contagi». Ma il green pass era già richiesto a chi viaggia in aereo e in treno o sui pullman a lunga percorrenza. Che cosa cambia? «Cambia per chi viaggia in auto e proviene dai Paesi limitrofi come Austria, Germania, Francia e Spagna. Così si favoriscono le case vacanza e i bed & breakfast dei privati che non richiedono il green pass. Si accentua la concorrenza sleale di queste strutture, molte delle quali operano in modo fiscalmente irregolare». Quante disdette sono arrivate finora? «Difficile dare un numero o una percentuale. Di sicuro le prenotazioni si sono bloccate. Sono aumentate le richieste last minute. E per last minute intendo anche il giorno prima. Per gli alberghi è davvero un problema. Non si possono fare programmi, impossibile pianificare una stagione, si naviga a vista». In varie zone d’Italia molti piccoli albergatori hanno deciso di cedere l’attività. Succede anche a Roma? «So che gruppi stranieri stanno approfittando di prezzi di acquisto vantaggiosi. I ribassi superano il 30% rispetto al mercato del 2019». Se ci sono compravendite significa che comunque qualcuno scommette sulla ripresa del turismo anche a breve. «Sono grandi catene internazionali e fondi stranieri che possono investire con una logica di medio-lungo termine. E mentre imperversa la crisi, fanno i lavori di ristrutturazione. Il turismo riprenderà, ne siamo tutti convinti, ma bisogna vedere quando. Chi si era affacciato nel settore alberghiero tra il 2010 e il 2020, il periodo d’oro del mercato in cui era più facile aprire una struttura ricettiva, ora si trova spiazzato da questo crollo e se non ha le spalle forti rischia di fallire. Non bisogna poi dimenticare che a fine anno termina la cassa integrazione». In prospettiva quindi ci sono chiusure? «In prospettiva ci sono i licenziamenti oltre alla definitiva chiusura delle strutture in crisi. Senza un prolungamento della cassa integrazione, gli alberghi ora chiusi saranno costretti a licenziare. Un migliaio di posti sono a rischio». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/natale-in-bianco-2655923877.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="nelle-agenzie-siamo-allo-stremo-schiacciati-anche-dai-colossi-web" data-post-id="2655923877" data-published-at="1638729670" data-use-pagination="False"> «Nelle agenzie siamo allo stremo schiacciati anche dai colossi Web» «Siamo ripiombati nel tunnel. Il settore è paralizzato. Contiamo solo le disdette. Ogni giorno c’è una nuova destinazione che chiude e l’incertezza aumenta. Ma le agenzie di viaggio non ne possono più, sono allo stremo e a fine anno terminerà la cassa integrazione. Oltre 40.000 posti sono a rischio. La crisi è aggravata dalla concorrenza delle piattaforme di prenotazione online, che continuano a fare affari e non devono sottostare ai nostri obblighi fiscali». Ivana Jelinic, presidente della Fiavet (Federazione delle imprese di viaggi), è un fiume in piena: «Senza un intervento dello Stato le 10.000 imprese del settore rischiano di essere falcidiate». Le agenzie turistiche avevano appena riacceso i motori, dopo un’estate di lieve ripresa degli spostamenti e ora sono ripiombate nella crisi nera. «Ci sono stati proclami trionfalistici sull’andamento della scorsa stagione ma non è sufficiente che la macchina giri per due mesi per dire che è tutto a posto. Equivale a curare un malato terminale con la tachipirina». Quali sono le previsioni per questo inverno? «La stagione è compromessa. L’attività turistica è paralizzata, le persone hanno paura di spostarsi. Nelle ultime due settimane le agenzie hanno ricevuto disdette del 70% delle prenotazioni. I corridoi turistici Covid free sono partiti con il contagocce, i flussi sono molto contenuti. A fine dicembre termina la cassa integrazione. Il prolungamento è necessario per evitare il tracollo di tante imprese che hanno preso commesse dagli alberghi, hanno investito e ora devono far fronte alle disdette. In estate chi ha lavorato bene ha recuperato solo il 30%. Ancora oggi tante aziende lamentano cali del 70% rispetto al pre Covid. I viaggi all’estero sono crollati dell’80%. Gli italiani che hanno scelto di passere il Natale oltre confine sono meno del 13% rispetto a un periodo normale». Ma il turismo italiano la scorsa estate è stato intenso e anche questo inverno potrebbe fare il bis. Non compensa la mancanza degli stranieri? «È una visione del settore sbagliata. Un americano in visita in Italia soggiorna per almeno due settimane e spende 4 volte un italiano che si sposta per sette giorni. Oltre la metà delle presenze è di stranieri. La verità è che c’è stato il boom delle case vacanza, affittate in nero a prezzi da capogiro. Se non riprendono provvedimenti c’è il pericolo che le nostre aziende di viaggi siano sostituite dai grandi gruppi internazionali. C’è già lo strapotere delle agenzie online». Si riferisce a Booking? «Sì e non solo Booking. Sono piattaforme che esercitano in Italia ma senza gli oneri a cui sono sottoposte le aziende che operano in Italia. Se ne discute da anni ma non è stata applicata nemmeno una minima tassa. Il fenomeno delle prenotazioni su tali piattaforme si è amplificato con in Covid. Anche il semplice sul territorio nazionale è scelto su Internet. Bene l’uso della tecnologia ma il problema è la parte fiscale. Le piattaforme usufruiscono di fiscalità più vantaggiose e possono applicare prezzi più bassi». Quante agenzie di viaggio hanno chiuso e quante rischiano di smettere l’attività? «In due anni è scomparso il 20% delle aziende e ora con il disastro invernale un altro 10% rischia. Avete mai visto proclami di aiuto da parte di Booking?». Non sarà che sulle piattaforme di prenotazione si trovano soluzioni a buon mercato? «È un’illusione. Spesso sono prezzi civetta che attirano l’utente. Poi però vengono inseriti una serie di servizi e il costo del viaggio lievita. Inoltre prima appare il prezzo più basso che però sale appena le richieste aumentano. Le strategie di marketing sul Web sono sofisticate. I vantaggi sono apparenti».
Da domani in Arabia Saudita al via la final four. A inaugurare il torneo saranno Milan e Napoli, in campo giovedì (ore 20 italiane) per la prima semifinale. Venerdì tocca a Inter e Bologna contendersi un posto nella finalissima di lunedì 22 dicembre.
Il primo trofeo della stagione si assegna ancora una volta lontano dall’Italia. Da domani la Supercoppa entra nel vivo a Riyadh con la formula della final four: giovedì la semifinale tra Milan e Napoli, venerdì quella tra Inter e Bologna, lunedì 22 dicembre la finale che chiuderà il programma e consegnerà il titolo.
Riyadh si prepara ad accogliere di nuovo la Supercoppa italiana,. Tre partite secche, quattro squadre e una posta che va oltre il campo: Napoli, Inter, Milan e Bologna portano in Arabia Saudita storie diverse, ambizioni opposte e un equilibrio che negli ultimi anni ha reso la competizione meno scontata di quanto dicano le statistiche.
Il Napoli arriva da campione d’Italia, il Bologna da vincitore della Coppa Italia, l’Inter da seconda forza del campionato e il Milan da detentore del trofeo. È soltanto la terza edizione con il formato a quattro, ma è già sufficiente per raccontare una Supercoppa che ha cambiato volto: nelle ultime due stagioni hanno vinto squadre che non partivano con lo scudetto cucito sul petto, un’inversione rispetto a una tradizione che per decenni aveva premiato quasi sempre i campioni d’Italia.
Proprio il Milan è il simbolo di questo ribaltamento. Campioni in carica, i rossoneri hanno spezzato una serie di finali perse all’estero e hanno riscritto la storia della manifestazione vincendo prima da finalista di Coppa Italia e poi da seconda classificata in campionato. In Arabia Saudita tornano con l’obiettivo di agganciare la Juventus in vetta all’albo d’oro, dove oggi i bianconeri comandano con nove successi, uno in più di Inter e Milan.
Il primo incrocio, giovedì 18 dicembre, è contro il Napoli. Gli azzurri inseguono invece un ritorno al passato: l’ultima Supercoppa vinta risale al 2014, una finale rimasta negli archivi per durata e tensione. Da allora, tentativi falliti e una presenza costante tra semifinali e finali mancate. Per la squadra di Antonio Conte, il confronto con il Milan è anche un passaggio chiave per evitare una prima volta storica: mai la squadra campione d’Italia in carica è rimasta fuori dall’atto conclusivo della competizione.
Dall’altra parte del tabellone, Inter e Bologna. I nerazzurri sono ormai una presenza abituale nella Supercoppa a quattro, protagonisti nelle ultime due edizioni e detentori di record individuali che raccontano la continuità del loro percorso. Il Bologna, invece, vivrà un esordio assoluto: sarà il tredicesimo club a partecipare alla manifestazione, chiamato subito a misurarsi con una dimensione internazionale che rappresenta una novità anche simbolica per il club. Negli ultimi anni la Supercoppa si è decisa spesso senza supplementari e rigori, ma resta una competizione capace di ribaltare copioni già scritti. Lo dimostrano le rimonte, i gol decisivi negli ultimi minuti e una storia che, pur ricca di record individuali e panchine vincenti, continua a sorprendere.
Fuori dal campo, la tappa di Riyadh diventa anche una vetrina per il calcio italiano. La Lega Serie A ha annunciato iniziative dedicate all’inclusione di tifosi con disabilità sensoriali, che accompagneranno tutte le partite del torneo. Da un lato, l’utilizzo di una mappa tattile interattiva permetterà a tifosi ciechi e ipovedenti di seguire l’andamento della gara attraverso il tatto; dall’altro, magliette sensoriali trasformeranno i suoni dello stadio in vibrazioni per tifosi sordi. Un progetto che coinvolgerà complessivamente trenta spettatori per ciascuna iniziativa, inserendosi nel programma ufficiale della competizione.
A rappresentare visivamente la Supercoppa sarà invece il nuovo Trophy travel case, realizzato dal brand fiorentino Stefano Ricci. Un baule pensato per accompagnare il trofeo nelle tappe internazionali, simbolo di un’italianità che la Serie A continua a esportare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, dove la Supercoppa si gioca per il quarto anno consecutivo.
Il calcio d’inizio è fissato. A Riyadh non si gioca soltanto una coppa, ma un racconto che intreccia campo, storia recente e immagine del calcio italiano nel mondo. E, come spesso accade in Supercoppa, i numeri potrebbero non bastare per spiegare come andrà a finire.
Continua a leggereRiduci
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
Continua a leggereRiduci
Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
Continua a leggereRiduci
Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
Continua a leggereRiduci