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2020-08-03
Due sindaci due disastri. De Magistris a Napoli, Orlando a Palermo
Leoluca Orlando e Luigi De Magistris (Ansa)
Il must napoletano di fine legislatura, «migliorare i servizi strategici», gioco forza è stato accantonato. Napoli è ricominciata a sprofondare per colpa di rifiuti, trasporti e decoro urbano. L'alibi è che non si tratta affatto di una città semplice. E Luigi, Giggino, De Magistris questo lo sa bene, visto che è alla scadenza del secondo mandato. Galleggia grazie a una discreta reputazione sui social e a qualche sparata da Masaniello digitale. I servizi erogati dal Comune, dei quali si era riempito la bocca appena rieletto, si sono rivelati il grande flop: gli sono costati la retrocessione al centesimo posto nella classifica del Governance poll 2020, indagine sul gradimento dei sindaci delle città capoluogo realizzata per Il Sole 24 Ore da Noto Sondaggi. E sembrano capottarlo a livello elettorale.
I propagandati punti di forza del già fustigatore delle toghe rotte (è sua l'inchiesta sui magistrati di Potenza che gli costò il trasferimento da Catanzaro a seguito del quale decise di scendere in campo), cioè trasporti, welfare, arredo urbano e verde pubblico, sono in realtà i nervi scoperti dell'amministrazione comunale. Basta percorrere la linea 1 della metropolitana, che va dal quartiere di Piscinola (confinante con Scampia) fino a piazza Garibaldi, sede della stazione progettata dall'architetto Dominique Perrault. Gli otto trenini gialli degli anni Novanta che percorrono quella corsa hanno allungato i tempi. Per ottenere una conferma basta chiamare i bar che costeggiano la stazione dei treni: «Qua la “cunculìna" (attesa ansiosa in slang napoletano, ndr) arriva anche a 20 minuti». Mentre il sito web d'inchiesta Stylo 24 mostra in un video una fila chilometrica all'esterno della stazione di Chiaiano. La causa è l'ennesimo stop sulla linea 1, questa volta per «carenza di personale».
E poi ci sono i guasti a convogli. Una costante. Che spesso riduce i treni funzionanti a 5 o 6 sugli 8 disponibili. I 20 nuovi treni comprati dal Comune, di cui sono arrivati i primi due, dovranno svolgere il collaudo tecnico. Ovvero percorrere 5.000 chilometri senza passeggeri. In sostanza prima di sei mesi non saranno a regime: così ricostruisce il Mattino. Ma i problemi di Giggino non si fermano alle rotaie. La scuderia degli autobus, circa 230, in maggior parte è vetusta e ferma ai box. Solo poco più della metà ha il climatizzatore. Chi sale sa che deve fare la sauna. E all'Asl è arrivato anche un esposto del sindacato Usb che chiede di verificare come avvengono le sanificazioni anti Covid.
Con il welfare non va meglio. Anche se a inizio luglio è stata annunciata l'approvazione di una delibera di giunta da 7.488.292 euro recuperati da fondi in avanzo vincolato, ai napoletani è rimasta impressa nella mente una dura filippica di Toni Nocchetti, presidente dell'associazione Tutti a Scuola onlus: «Su assistenza domiciliare e trasporto scolastico siamo all'anno zero. I trasporti sono centellinati e gli assegni di cura non vengono pagati». L'assessore al Welfare Monica Buonanno ha tentato una replica, avviandosi su un terreno molto scivoloso: «Con il trasporto disabili copriamo circa 50 persone, accompagnate da Napoli servizi, mentre a circa 1.500 diamo un contributo con fondi della Regione. Gli assegni di cura sono in liquidazione».
Ma l'arrivo dei fondi non basta. Le criticità in città sono tante. In via Luigi Franciosa, nel quartiere Ponticelli, periferia Est, in un rione popolare vivono, tra i 350 nuclei familiari residenti, 20 diversamente abili prigionieri delle barriere architettoniche. L'unico ascensore, vecchio di 40 anni, è quasi sempre ko. L'assenza di rampe, poi, rende queste persone prigioniere in casa. E il Comune non ha fatto in tempo a pubblicizzare le navette per disabili che collegano il centro al mare, che ai giornali locali è arrivata una lettera di una quarantenne paraplegica la quale ha denunciato di non essere riuscita a trovare un lido balneare «handicap friendly». Forse prima della navetta era necessario fornire la passerella.
Per non parlare del verde pubblico. I fondi sono pochi e i 5 milioni di euro stanziati dalla Città metropolitana serviranno solo a mettere qualche pezza nei rioni trasformati in una selva. «È emblematico il caso di un'aiuola nella centralissima piazza degli Artisti, trasformatasi durante il lockdown in una sorta di mini savana, con le erbacce che sono cresciute fino a un'altezza di quasi un metro. Un'immagine di sporcizia e d'incuria che non giova alla città», denuncia da tempo Gennaro Capodanno, presidente del Comitato valori collinari. De Magistris, replicando, ha dovuto ammettere la debacle, ridimensionando i suoi progetti: «Per come siamo messi con risorse umane e finanziarie, quasi quasi mi sento di potermi accontentare».
Nella villa comunale almeno le aiuole sono state potate. Tutto attorno, però, lo spettacolo non è dei migliori. La causa? I rifiuti. Il presidente della Commissione ambiente del Comune, Marco Gaudini, denuncia: «Pianura, Fuorigrotta, Soccavo, Vomero, centro storico, la città di Napoli appare nuovamente in difficoltà sul fronte rifiuti». Nell'area di piazza Mancini, a ridosso del mercato del falso, grossi cumuli di materassi sono rimasti accatastati per 20 giorni. L'intervento degli operatori ecologici, ha segnalato l'associazione No comment, è stata solo un palliativo: i cassonetti restano stracolmi, attirando topi e insetti. Il sindaco liquida la questione come «criticità episodica, sulla quale non bisogna abbassare la guardia».
Ma sa bene che non ha strumenti per intervenire. Il suo bilancio è in rosso di 75 milioni di euro. Gli evasori pesano: un napoletano su due non paga la Tari. E non c'è stato nessuno in grado di tappare la falla. Gli uffici scoppiano. E le assunzioni di personale, che dovevano essere 600 quest'anno e 482 nel 2021, sono state rinviate. È l'effetto del debito comunale, cresciuto fino a sfiorare i 2,7 miliardi. Il barile è stato raschiato fino al fondo. Utilizzati su altre voci di bilancio i fondi vincolati che dovevano essere impiegati per pagare debiti. Dismessa una parte del patrimonio. Il ragioniere generale annuncia la chiusura dei rubinetti e il blocco della spesa. Il parere è allegato a una delle ultime delibere: «Si rende necessario limitare l'assunzione delle spese correnti a quelle obbligatorie per legge, o ordinate da provvedimenti giurisdizionali esecutivi, la cui mancata assunzione porterebbe a danni gravi e certi per l'ente». I tempi per Giggino si fanno sempre più cupi.
Palermo: Orlando, cinque mandati e gli abitanti scappano
È sprofondato all'ultimo posto nella classifica di gradimento dei sindaci: solo il 38% dei palermitani lo apprezza. Anche il primo cittadino di Roma, Virginia Raggi, ha fatto meglio. Ed è tutto dire. La parabola del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, è in questo numero, nudo e crudo. Le cause le troviamo in una serie di record: la più alta percentuale in Europa di giovani disoccupati (il 53,6%), 4 giovani su 10 non studiano né lavorano, il maggior numero di percettori del reddito di cittadinanza (il 3,91% degli abitanti usufruisce del bonus), l'incremento delle aziende che chiudono (nel 2019, quindi pre Covid, 1.400 imprese sono scomparse), il dilagare della mafia d'importazione, quella nigeriana.
La buona stella del picciotto puro e duro, che non ha paura della mafia, dei boss e dei padrini della politica, si è appannata. Cinque mandati, le solite promesse puntualmente disattese. Palermo, lentamente, ha cominciato a non credergli più, fino ad averne abbastanza. Il punto di non ritorno Orlando l'ha toccato quando ha attaccato il decreto sicurezza di Matteo Salvini, sperando di risalire nei sondaggi. «In nome dei diritti umani sanciti dalla Costituzione», ha dato disposizione agli uffici di disattendere la norma, in una città che conta oltre 40.000 immigrati e un numero incalcolabile di irregolari. E mentre irrideva al salviniano «prima gli italiani», non si accorgeva di aver imboccato un vicolo cieco. La città sprofondava nel degrado, soffocata da cumuli di rifiuti maleodoranti che bruciano nottetempo e avvolgono interi quartieri di fumi acri. Il degrado interessa tutta la città, non solo i quartieri ghetto delle periferie. Giorni fa, la polizia è intervenuta per una rissa scoppiata in Cortile delle Bisacce, a Ballarò. L'ultima di una serie. Quest'area, a due passi da quel gioiello che è la chiesa di Casa Professa, è uno dei punti di ritrovo dei tossici e della mafia nigeriana. L'integrazione tra immigrati e palermitani si consuma su dosi di crack, litri di alcol, in mezzo al fetore dell'urina.
C'è chi si rassegna, ma chi può se ne va. Negli ultimi 8 anni, oltre 12.000 palermitani tra 18 e 35 anni hanno fatto le valigie. Orlando la chiama mobilità. «Io spingo i giovani ad andar via e poi dico: Palermo è cambiata, potete tornare», è una delle sue celebri frasi. Peccato che dopo aver lasciato la loro città non ci pensano affatto a rientrare. «Orlando non fa che parlare di città dell'accoglienza ma Palermo non è accogliente nemmeno per i palermitani. Noi l'accoglienza la subiamo e i cittadini non vedono l'ora di liberarsi di lui», afferma il capogruppo della Lega al Comune, Igor Gelarda.
In due anni il Comune ha dovuto spendere 7 milioni di risorse europee per risarcire i danneggiati dal dissesto delle strade, persone che si sono fatte male per una buca o un marciapiede rotto. L'elenco delle cause è lungo: il Comune nel 2019 ha sborsato 3,4 milioni di indennizzi. Ogni anno se ne vanno in danni per l'incuria almeno 3 milioni. La manutenzione di strade e marciapiedi, detenuta storicamente dalla partecipata Rap, a breve passerà ai privati secondo una decisione a cui è pervenuto il Consiglio dopo due giorni di discussione e sotto il pressing delle opposizioni guidate dall'ex 5S Forello. In attesa del bando di gara, i servizi continueranno a essere in capo alla partecipata comunale che è riuscita a ottenere però la conferma per altri 15 anni del servizio di igiene ambientale, cioè la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, nonostante la mancanza di un piano industriale aggiornato. Il servizio della manutenzione delle strade è in pesante perdita: sui circa 10 milioni messi a disposizione dal Comune, l'azienda di piazzetta Cairoli ne usa la metà.
Per far quadrare i conti della società, il Comune ha approvato un debito fuori bilancio pari a 9,5 milioni di euro. Soldi dalla Tari, l'imposta sui rifiuti, ne arrivano pochi a causa dell'alta evasione che non si riesce a combattere: 1 palermitano su 3 è moroso. «L'alluvione di un paio di settimane fa è stata aggravata proprio dalla mancanza di pulizia nelle strade con i tombini intasati da anni», dice Gelarda.
La raccolta dei rifiuti è l'altra nota dolente della città. «La società partecipata ha abbandonato il decoro della città, il diserbo non esiste più, lo spazzamento è sconosciuto, la raccolta differenziata è intorno al 13% e non è fatta in tutta Palermo. I cassonetti stracolmi non vengono svuotati mentre oggetti ingombranti come divani o materassi sono abbandonati per strada», elenca Giulio Tantillo, capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale. E indica come principale causa la mancanza di personale. «L'organico della Rap è sottodimensionato di 500 unità. Sono più di dieci anni che non si assume nessuno e intanto ci sono i pensionamenti».
Ad aggravare la situazione si aggiunge l'insufficienza del sistema delle discariche. Anche qui tante promesse mentre le vasche si riempivano fino a tracimare. I rifiuti sono stati portati in altre province con un costo nel 2019 pari a 9,5 milioni di euro. La raccolta differenziata interessa solo un'area limitata della città.
Il sistema dei trasporti è un altro disastro annunciato da anni. I progetti cofinanziati dall'Unione europea non hanno dato i risultati attesi. Palermo ha incassato una sonora bocciatura anche dalla Corte dei conti europea: gli autobus sono troppo vecchi e con frequenti guasti (con un'età media superiore a 12-13 anni) e i costi di esercizio non vengono coperti dai biglietti. Il presidente dell'Amat, Michele Cimino, più volte ha denunciato che 4 passeggeri su 10 non pagano i biglietti. Ogni anno la società ha perdite tra i 3,5 e i 4 milioni. La maggior parte dei palermitani preferisce usare i mezzi privati, tra auto e motorini. La scelta è quasi obbligata.
A Palermo nemmeno i morti hanno il rispetto dell'amministrazione. L'ultimo scandalo è quello del camposanto di Santa Maria dei Rotoli dove 500 bare sono accatastate da mesi in attesa di una collocazione. Manca lo spazio. La storia va avanti da anni e il progetto di un nuovo cimitero è sempre rimasto sulla carta. Sul camposanto pende anche un'inchiesta di corruzione. L'indagine dei carabinieri coordinata dalla procura ruota sul pagamento di soldi per accaparrarsi un loculo anche senza averne diritto.
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A Napoli mezzi pubblici guasti, rioni in abbandono, debiti comunali che sfiorano i 2,7 miliardi: tutti i fallimenti di «Giggino» che si crede una star del Web.A Palermo negli ultimi anni 12.000 giovani hanno fatto le valigie: non ne possono più del degrado e della saldatura tra la mafia storica e quella nigeriana.Lo speciale contiene due articoli.Il must napoletano di fine legislatura, «migliorare i servizi strategici», gioco forza è stato accantonato. Napoli è ricominciata a sprofondare per colpa di rifiuti, trasporti e decoro urbano. L'alibi è che non si tratta affatto di una città semplice. E Luigi, Giggino, De Magistris questo lo sa bene, visto che è alla scadenza del secondo mandato. Galleggia grazie a una discreta reputazione sui social e a qualche sparata da Masaniello digitale. I servizi erogati dal Comune, dei quali si era riempito la bocca appena rieletto, si sono rivelati il grande flop: gli sono costati la retrocessione al centesimo posto nella classifica del Governance poll 2020, indagine sul gradimento dei sindaci delle città capoluogo realizzata per Il Sole 24 Ore da Noto Sondaggi. E sembrano capottarlo a livello elettorale. I propagandati punti di forza del già fustigatore delle toghe rotte (è sua l'inchiesta sui magistrati di Potenza che gli costò il trasferimento da Catanzaro a seguito del quale decise di scendere in campo), cioè trasporti, welfare, arredo urbano e verde pubblico, sono in realtà i nervi scoperti dell'amministrazione comunale. Basta percorrere la linea 1 della metropolitana, che va dal quartiere di Piscinola (confinante con Scampia) fino a piazza Garibaldi, sede della stazione progettata dall'architetto Dominique Perrault. Gli otto trenini gialli degli anni Novanta che percorrono quella corsa hanno allungato i tempi. Per ottenere una conferma basta chiamare i bar che costeggiano la stazione dei treni: «Qua la “cunculìna" (attesa ansiosa in slang napoletano, ndr) arriva anche a 20 minuti». Mentre il sito web d'inchiesta Stylo 24 mostra in un video una fila chilometrica all'esterno della stazione di Chiaiano. La causa è l'ennesimo stop sulla linea 1, questa volta per «carenza di personale». E poi ci sono i guasti a convogli. Una costante. Che spesso riduce i treni funzionanti a 5 o 6 sugli 8 disponibili. I 20 nuovi treni comprati dal Comune, di cui sono arrivati i primi due, dovranno svolgere il collaudo tecnico. Ovvero percorrere 5.000 chilometri senza passeggeri. In sostanza prima di sei mesi non saranno a regime: così ricostruisce il Mattino. Ma i problemi di Giggino non si fermano alle rotaie. La scuderia degli autobus, circa 230, in maggior parte è vetusta e ferma ai box. Solo poco più della metà ha il climatizzatore. Chi sale sa che deve fare la sauna. E all'Asl è arrivato anche un esposto del sindacato Usb che chiede di verificare come avvengono le sanificazioni anti Covid.Con il welfare non va meglio. Anche se a inizio luglio è stata annunciata l'approvazione di una delibera di giunta da 7.488.292 euro recuperati da fondi in avanzo vincolato, ai napoletani è rimasta impressa nella mente una dura filippica di Toni Nocchetti, presidente dell'associazione Tutti a Scuola onlus: «Su assistenza domiciliare e trasporto scolastico siamo all'anno zero. I trasporti sono centellinati e gli assegni di cura non vengono pagati». L'assessore al Welfare Monica Buonanno ha tentato una replica, avviandosi su un terreno molto scivoloso: «Con il trasporto disabili copriamo circa 50 persone, accompagnate da Napoli servizi, mentre a circa 1.500 diamo un contributo con fondi della Regione. Gli assegni di cura sono in liquidazione».Ma l'arrivo dei fondi non basta. Le criticità in città sono tante. In via Luigi Franciosa, nel quartiere Ponticelli, periferia Est, in un rione popolare vivono, tra i 350 nuclei familiari residenti, 20 diversamente abili prigionieri delle barriere architettoniche. L'unico ascensore, vecchio di 40 anni, è quasi sempre ko. L'assenza di rampe, poi, rende queste persone prigioniere in casa. E il Comune non ha fatto in tempo a pubblicizzare le navette per disabili che collegano il centro al mare, che ai giornali locali è arrivata una lettera di una quarantenne paraplegica la quale ha denunciato di non essere riuscita a trovare un lido balneare «handicap friendly». Forse prima della navetta era necessario fornire la passerella.Per non parlare del verde pubblico. I fondi sono pochi e i 5 milioni di euro stanziati dalla Città metropolitana serviranno solo a mettere qualche pezza nei rioni trasformati in una selva. «È emblematico il caso di un'aiuola nella centralissima piazza degli Artisti, trasformatasi durante il lockdown in una sorta di mini savana, con le erbacce che sono cresciute fino a un'altezza di quasi un metro. Un'immagine di sporcizia e d'incuria che non giova alla città», denuncia da tempo Gennaro Capodanno, presidente del Comitato valori collinari. De Magistris, replicando, ha dovuto ammettere la debacle, ridimensionando i suoi progetti: «Per come siamo messi con risorse umane e finanziarie, quasi quasi mi sento di potermi accontentare». Nella villa comunale almeno le aiuole sono state potate. Tutto attorno, però, lo spettacolo non è dei migliori. La causa? I rifiuti. Il presidente della Commissione ambiente del Comune, Marco Gaudini, denuncia: «Pianura, Fuorigrotta, Soccavo, Vomero, centro storico, la città di Napoli appare nuovamente in difficoltà sul fronte rifiuti». Nell'area di piazza Mancini, a ridosso del mercato del falso, grossi cumuli di materassi sono rimasti accatastati per 20 giorni. L'intervento degli operatori ecologici, ha segnalato l'associazione No comment, è stata solo un palliativo: i cassonetti restano stracolmi, attirando topi e insetti. Il sindaco liquida la questione come «criticità episodica, sulla quale non bisogna abbassare la guardia». Ma sa bene che non ha strumenti per intervenire. Il suo bilancio è in rosso di 75 milioni di euro. Gli evasori pesano: un napoletano su due non paga la Tari. E non c'è stato nessuno in grado di tappare la falla. Gli uffici scoppiano. E le assunzioni di personale, che dovevano essere 600 quest'anno e 482 nel 2021, sono state rinviate. È l'effetto del debito comunale, cresciuto fino a sfiorare i 2,7 miliardi. Il barile è stato raschiato fino al fondo. Utilizzati su altre voci di bilancio i fondi vincolati che dovevano essere impiegati per pagare debiti. Dismessa una parte del patrimonio. Il ragioniere generale annuncia la chiusura dei rubinetti e il blocco della spesa. Il parere è allegato a una delle ultime delibere: «Si rende necessario limitare l'assunzione delle spese correnti a quelle obbligatorie per legge, o ordinate da provvedimenti giurisdizionali esecutivi, la cui mancata assunzione porterebbe a danni gravi e certi per l'ente». 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Le cause le troviamo in una serie di record: la più alta percentuale in Europa di giovani disoccupati (il 53,6%), 4 giovani su 10 non studiano né lavorano, il maggior numero di percettori del reddito di cittadinanza (il 3,91% degli abitanti usufruisce del bonus), l'incremento delle aziende che chiudono (nel 2019, quindi pre Covid, 1.400 imprese sono scomparse), il dilagare della mafia d'importazione, quella nigeriana. La buona stella del picciotto puro e duro, che non ha paura della mafia, dei boss e dei padrini della politica, si è appannata. Cinque mandati, le solite promesse puntualmente disattese. Palermo, lentamente, ha cominciato a non credergli più, fino ad averne abbastanza. Il punto di non ritorno Orlando l'ha toccato quando ha attaccato il decreto sicurezza di Matteo Salvini, sperando di risalire nei sondaggi. «In nome dei diritti umani sanciti dalla Costituzione», ha dato disposizione agli uffici di disattendere la norma, in una città che conta oltre 40.000 immigrati e un numero incalcolabile di irregolari. E mentre irrideva al salviniano «prima gli italiani», non si accorgeva di aver imboccato un vicolo cieco. La città sprofondava nel degrado, soffocata da cumuli di rifiuti maleodoranti che bruciano nottetempo e avvolgono interi quartieri di fumi acri. Il degrado interessa tutta la città, non solo i quartieri ghetto delle periferie. Giorni fa, la polizia è intervenuta per una rissa scoppiata in Cortile delle Bisacce, a Ballarò. L'ultima di una serie. Quest'area, a due passi da quel gioiello che è la chiesa di Casa Professa, è uno dei punti di ritrovo dei tossici e della mafia nigeriana. L'integrazione tra immigrati e palermitani si consuma su dosi di crack, litri di alcol, in mezzo al fetore dell'urina. C'è chi si rassegna, ma chi può se ne va. Negli ultimi 8 anni, oltre 12.000 palermitani tra 18 e 35 anni hanno fatto le valigie. Orlando la chiama mobilità. «Io spingo i giovani ad andar via e poi dico: Palermo è cambiata, potete tornare», è una delle sue celebri frasi. Peccato che dopo aver lasciato la loro città non ci pensano affatto a rientrare. «Orlando non fa che parlare di città dell'accoglienza ma Palermo non è accogliente nemmeno per i palermitani. Noi l'accoglienza la subiamo e i cittadini non vedono l'ora di liberarsi di lui», afferma il capogruppo della Lega al Comune, Igor Gelarda. In due anni il Comune ha dovuto spendere 7 milioni di risorse europee per risarcire i danneggiati dal dissesto delle strade, persone che si sono fatte male per una buca o un marciapiede rotto. L'elenco delle cause è lungo: il Comune nel 2019 ha sborsato 3,4 milioni di indennizzi. Ogni anno se ne vanno in danni per l'incuria almeno 3 milioni. La manutenzione di strade e marciapiedi, detenuta storicamente dalla partecipata Rap, a breve passerà ai privati secondo una decisione a cui è pervenuto il Consiglio dopo due giorni di discussione e sotto il pressing delle opposizioni guidate dall'ex 5S Forello. In attesa del bando di gara, i servizi continueranno a essere in capo alla partecipata comunale che è riuscita a ottenere però la conferma per altri 15 anni del servizio di igiene ambientale, cioè la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, nonostante la mancanza di un piano industriale aggiornato. Il servizio della manutenzione delle strade è in pesante perdita: sui circa 10 milioni messi a disposizione dal Comune, l'azienda di piazzetta Cairoli ne usa la metà. Per far quadrare i conti della società, il Comune ha approvato un debito fuori bilancio pari a 9,5 milioni di euro. Soldi dalla Tari, l'imposta sui rifiuti, ne arrivano pochi a causa dell'alta evasione che non si riesce a combattere: 1 palermitano su 3 è moroso. «L'alluvione di un paio di settimane fa è stata aggravata proprio dalla mancanza di pulizia nelle strade con i tombini intasati da anni», dice Gelarda. La raccolta dei rifiuti è l'altra nota dolente della città. «La società partecipata ha abbandonato il decoro della città, il diserbo non esiste più, lo spazzamento è sconosciuto, la raccolta differenziata è intorno al 13% e non è fatta in tutta Palermo. I cassonetti stracolmi non vengono svuotati mentre oggetti ingombranti come divani o materassi sono abbandonati per strada», elenca Giulio Tantillo, capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale. E indica come principale causa la mancanza di personale. «L'organico della Rap è sottodimensionato di 500 unità. Sono più di dieci anni che non si assume nessuno e intanto ci sono i pensionamenti». Ad aggravare la situazione si aggiunge l'insufficienza del sistema delle discariche. Anche qui tante promesse mentre le vasche si riempivano fino a tracimare. I rifiuti sono stati portati in altre province con un costo nel 2019 pari a 9,5 milioni di euro. La raccolta differenziata interessa solo un'area limitata della città. Il sistema dei trasporti è un altro disastro annunciato da anni. I progetti cofinanziati dall'Unione europea non hanno dato i risultati attesi. Palermo ha incassato una sonora bocciatura anche dalla Corte dei conti europea: gli autobus sono troppo vecchi e con frequenti guasti (con un'età media superiore a 12-13 anni) e i costi di esercizio non vengono coperti dai biglietti. Il presidente dell'Amat, Michele Cimino, più volte ha denunciato che 4 passeggeri su 10 non pagano i biglietti. Ogni anno la società ha perdite tra i 3,5 e i 4 milioni. La maggior parte dei palermitani preferisce usare i mezzi privati, tra auto e motorini. La scelta è quasi obbligata. A Palermo nemmeno i morti hanno il rispetto dell'amministrazione. L'ultimo scandalo è quello del camposanto di Santa Maria dei Rotoli dove 500 bare sono accatastate da mesi in attesa di una collocazione. Manca lo spazio. La storia va avanti da anni e il progetto di un nuovo cimitero è sempre rimasto sulla carta. Sul camposanto pende anche un'inchiesta di corruzione. L'indagine dei carabinieri coordinata dalla procura ruota sul pagamento di soldi per accaparrarsi un loculo anche senza averne diritto.
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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