2018-12-21
La Francia riapre il processo politico a Céline: «Collaborò alle epurazioni razziali»
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Ci sono processi destinati a non chiudersi mai. Uno di questi è quello che riguarda il caso Louis-Ferdinand Céline, anche se le prove sul tavolo degli inquirenti stanno lì da un bel po' e danno un quadro piuttosto chiaro e assodato. E quindi sì, il dottor Destouches, quando vestiva i panni del suo alter ego letterario (Céline, per l'appunto), è stato uno dei più grandi scrittori del Novecento, un rivoluzionario della lingua, un piromane del pensiero. E sì, è stato anche un feroce antisemita. Le due cose non sono in contraddizione, come una valanga di esempi tratti dalla storia della letteratura, della filosofia, della musica, dell'arte, della religione può testimoniare. Degli scritti antiebraici di Céline (Bagatelles pour un massacre, del 1937, L'École des cadavres, 1938, e Les Beaux draps, 1941) si discute da anni. E, in linea di massima, ciò che c'era da sapere è ormai di dominio pubblico, ognuno poi può scegliere se tuffarsi nelle atmosfere sulfuree di queste invettive, se prediligere solo “l'altro" Céline, magari quello antimilitarista e anarcoide del Viaggio al termine della notte, o se cestinare tutto l'autore in blocco e dedicarsi a letture più tranquillizzanti. Cos'altro c'è da dire sul tema, quindi? Quali prove portare per riaprire il caso e appellarsi a un'eterna Cassazione del pensiero? Due studiosi francesi hanno trovato il modo di rilanciare la damnatio memoriae: attenzione, Céline non era solo un libellista antisemita, visionario e rabbioso, ma comunque limitatamente alla letteratura. No, lo scrittore fu anche collaboratore attivo della persecuzione. Segnalò nomi e indirizzi, fece arrestare la gente. La tesi è proposta in un mattone di 1175 pagine, scritto a quattro mani da Annick Duraffour e Pierre André Taguieff, intitolato Céline, la race, le juif (Fayard). Un volumone che, lo si capisce, nelle intenzioni degli autori vorrebbe dire la parola definitiva sulla questione del razzismo e dell'antisemitismo dello scrittore. La gran parte del ponderoso testo fa tuttavia il punto su una serie di cose che gli studiosi dello scrittore conoscono da anni. Il vero coniglio tirato fuori dal cilindro è appunto la “rivelazione" del Céline confidente delle autorità poliziesche, quello che passa dall'ossessione letteraria alla prassi sterminazionista. A questa accusa pesante hanno reagito due studiosi di Céline, David Alliot e Éric Mazet, nel loro Avez-vous lu Céline? (Pierre Guillaume De Roux). Ci vuole un certo coraggio per spiegare, in appena 127 pagine (scritte grandi), che gli autori di un saggio ampio dieci volte tanto (e scritto piccolo) non hanno davvero letto l'oggetto del loro studio. Ma le argomentazioni dei due coraggiosi appassionati céliniani sono convincenti. Facciamo un solo esempio, quello del dottor Joseph Hogarth. Medico di origine haitiana (quindi di colore) in servizio a Bezons, a 25 chilometri da Parigi, nel 1940 venne rimosso dal suo incarico per ragioni razziali. Una misura a cui, sembra, non fu estraneo l'interesse del collega Céline, che avrebbe brigato per far perdere il posto all'uomo facendo leva sul mutato clima politico e poi ottenere il suo posto. Alliot e Mazet, tuttavia, fanno ordine con le date e le verità storiche per ristabilire il giusto ordine delle cose. La legge che vieta di esercitare ai medici stranieri viene infatti promulgata dal governo di Vichy il 16 agosto 1940. È poi vero che, nell'ottobre successivo, Céline scrive alle autorità cittadine di Bezons una lettera in cui è molto duro con Hogarth e il 21 novembre 1940 ottiene il posto lasciato vacante dal collega, nel frattempo licenziato. La cui sorte, tuttavia, era già segnata dalla legge dell'estate precedente. Hogarth non viene del resto rimandato nel suo Paese, né di lui si occuperò mai la Gestapo, a quanto risulta ai due studiosi. Sua moglie, inoltre, anch'ella medico, resterà al suo posto al dispensario di Bezons, collaborando amichevolmente con il nuovo dottore, cioè… Céline. Dopo la guerra, Joseph riprenderà il suo posto, ma, in pieno clima di resa dei conti, non pronuncerà mai una parola contro lo scrittore, nel frattempo caduto in disgrazia. Il quale, da questa storiella, emerge certamente come una canaglia e come un… razzista. Ma queste sono, appunto, tutte cose già note agli studiosi. E si tratta francamente di prove che non sembrano giustificare la riapertura di un processo politico fuori tempo massimo.